venerdì 13 marzo 2015

Non è così che si fa

Premessa ed antefatto


Torino, 13 dicembre (credo). Mi trovo in San Salvario, davanti al Carrefour che sta aperto 24 ore al giorno. Vicino all'entrata c'è un automobile dall'aria familiare che m'incuriosisce. Decido di non indagare a proposito, perché non è quel genere di giornata in cui sono in grado di farmi guidare dalla curiosità. Mi girano troppo i coglioni. Ho un concerto tra due giorni  e la mia voce fa schifo, sono sommerso dai catarri e quest'ultimo esame imprevisto mi ha arrugginito le dita. Non è così che si fa. Sono fottuto. Fuori fa freddo, piove, ho indosso un doppio cappuccio, giacca sopra e maglia pelosa sotto. Entro nel supermercato, prendo un paio di bottiglie di Nebbiolo al volo, ma alla cassa mi si parano davanti due conoscenze del liceo. Una perdita di tempo da evitare. Sono due coglionazzi che non vedo da un pezzo, ma hanno una filosofia spiccia e precisa: l'obbligo del sorriso smagliante, della sparata esplosiva. Gente che scambia la conversazione con l'agonismo, ma oggi non sono proprio in vena. Non mi hanno ancora visto in faccia, decido di non incrociare i loro sguardi. I due cappucci abbassati mi vengono in aiuto. La carta di credito mi fa saltare un po' di fila e fa il resto. 
Ciao, "amici" tamarri travestiti da universitari qualunque. Ciao, buttafuori rasato. Ciao, zingara che fai l'elemosina. Ciao, ragazzi UNICEF.
Esco, finalmente.
La macchina è ancora lì. Adesso ne comprendo la familiarità. Vicino ad essa, in piedi, c'è Emanuele Via. Eugenio Cesaro è un po' più in là, e poi c'è Lorenzo Federici. Me lo immaginavo un po' più alto, sarà l'effetto del palco. Paolo Di Gioia non c'è. Entrano in macchina, ma non me li faccio scappare. Busso al finestrino, facendo attenzione alle bottiglie che ho in mano.
“Ciao ragazzi, voi siete gli Eugenio in Via Di Gioia?” Emanuele, alla guida, mi conferma positivamente, con una calma quasi eterea, sebbene i suoi occhi siano quelli di una persona ormai irrimediabilmente in ritardo. “Piacere," rispondo io, barricato dietro ai miei cappucci "io ho scritto un articolo su di voi”. Ed è festa grande. Grida e sorrisi. Saltano fuori dalla macchina, mi scoprono il capo, cominciano a stringermi la mano, mi chiedono come mi chiamo e facciamo conoscenza. Sono belli simpatici. Mi regalano il cd ed una spilletta, fanno perfino i complimenti per come scrivo. Io non ho niente in cambio. Forse il modo migliore per ricambiare potrebb'essere entrare dentro alla macchina, afferrare i dischi dei Mumford & Sons e volarli fuori dalla finestra e sostituirli con, ad esempio, i primi due dischi degli Incubus. Invece accetto. Un regalo, alla fine, è un regalo.
La conversazione che viene fuori è piuttosto piacevole. Senza moine, senza darsi ragione a vicenda, senza autoreferenzialismo. Tutto è così semplice e spontaneo allo stesso tempo. Siamo anni luce distanti dallle situazioni del Margot, dell'Astoria o dei collettivi universitari. C'è molta umanità, ma soprattutto, disinteressata. La passione ci accomuna.
“Siamo a corto coi soldi, e pieni di debiti” Mi dice Emanuele. Il macchinone è loro, lo utilizzano per spostarsi in giro per l'Italia ed a quanto ho capito forse devono ancora finire di pagare le rate. Suonare è quindi una questione di passione, anche perché, dovendo fare leva solo sui loro mezzi, spesso, ci rimettono di tasca loro. “Però” – penso io “Che esperienze che si fanno! Chissà quante cose avranno da raccontare ai loro figli.”
Mi accorgo che la mia ammirazione non è inquinata dall'invidia e, per un attimo, i miei problemi si dissolvono e ritorno ad essere felice. Sono riuscito finalmente a dimostrare la tesi che sostenevo fin da ottobre e cioè che gli "artisti" sono persone e basta e che gli Eugenio In Via Di Gioia fanno della bella musica e dei bei concerti perché sono delle Belle persone, capaci di trasmettere i loro lati positivi (di trasmetterSI, appunto!) attraverso le loro canzoni.
Se non che, la mia gioia cessa con un sibilo, una frase, un monito, un pettegolezzo: “Certo che hai sparato a zero su tutti, nel tuo articolo, specie su Johnny Fishborn”. È la voce di Eugenio che parla. Ritorno alla realtà. Ritorno ai miei problemi. Eugenio non è mica uno stupido. Forse anch'io, un paio d'anni addietro, quand'ero un musicista in erba (in tutti i sensi) avrei potuto fare un commento analogo. Forse Eugenio è solo abituato a doversi rivolgere in questi termini in determinati ambienti, perché è così che funziona. Devi cavalcare l'onda, finché sei a a galla.
Godi fanciullo mio: stato soave, stagion lieta è cotesta
avrebbe detto il gobbo più celebre d'Italia. Ecco che mi ritrovo ad essere Leopardi (chissà, magari mi sono pure ingobbito) di fronte a tanto entusiasmo fine a sé stesso. Guardo gli Eugenio con gli occhi di un vecchio - sarà che io ho smesso di suonare quando lui ha cominciato? - o di un adulto che ha sofferto troppo. Scruto nei suoi occhi l'autocompiacimento che a suo tempo mi distrusse. Illuso di poter cambiare il mondo, mentre non stavo facendo un cazzo per migliorarmi, né stavo producendo qualcosa di buono per gli altri. Convinto che nella vita il rispetto me lo sarei guadagnato sul palco. Finché la realtà non si palesò in tutta la sua amarezza e cioé che a vent'anni, io, ero solo un povero stronzo.


 Ora, assumendo che Eugenio sia una persona intelligente, o almeno, con una sensibilità un poco più spiccata rispetto alla media, mi chiedo che diavolo avranno capito gli altri musicisti che hanno letto il mio articolo. Al mio ritorno a casa rientro con un'idea: definire meglio il mio messaggio, stendendo una classifica di cinque artisti che, a mio giudizio, hanno rappresentato il meglio delle novità torinesi dell'anno 2014. Tirando anche in ballo conoscenti ed amici, perché, il mio, vuol'essere un discorso universale. La musica emergente, così come i programmi televisivi, sono espressione del substrato sociale e culturale da cui provengono. Il mio approccio è volto alla comprensione del dilemma – senza per questo fare a meno di una bella analisi appassionata delle canzoni – che sta alla base del nostro vivere quotidiano, attraverso l'analisi delle ragioni intrinseche della musica che ne è il frutto.
 Soppesare arte e confezione, scatola e contenuto, mettere gli artisti sulla bilancia dei due aspetti per carpire meglio la psicologia e la ragione stessa della loro musica e raccontarla a loro stessi, attraverso una critica che non può che essere indirizzata alla crescita. Più mi rendo conto di quello che faccio e più mi rendo conto di quanto questo Paese abbia bisogno di persone che scrivano in questa maniera. I risultati sono stati abbastanza sconcertanti. Sono stato accusato d'essere invidioso e pieno di rimorso. Non è così che si fa. Ci vuole sportività. Le recensioni positive sono floride di visualizzazioni. Le recensioni negative, invece, vengono puntualmente represse, censurate. Su facebook c'è spazio solo per il like.
In questa classifica, invece, non c'è spazio per gli Eugenio In Via Di Gioia. Il perché ve lo spiego dopo.
Ritornando al tema delle dinamiche sociali, senza avere la pretesa di  darmi uno spessore intellettuale (per quanto ne possa conseguire: ma siete bravi anche voi a copiare un testo da un libro), ma anzi ai fini del discorso, vorrei citare le parole che il grande Aldous Huxley scrisse nel saggio Ritorno al Nuovo Mondo. Sono parole che ormai hanno una sessantina d'anni, ma che sono quantomai terribilmente attuali:

 […] al nostro sistema etico tradizionale (in esso l'individuo ha importanza primaria) si va sostituendo un'Etica Sociale. Le parole chiave di questa etica sono: adattamento, condotta socialmente orientata, appartenenza, acquisizione di capacità sociali, lavoro di squadra, vita di gruppo, lealtà di gruppo, dinamica di gruppo, creatività di gruppo. […] Secondo l'Etica Sociale aveva assolutamente torto Gesù, quando affermava che il Sabato è fatto per l'uomo. Al contrario, l'uomo è fatto per il Sabato; egli deve sacrificare le proprie idiosincrasie ereditarie, e fingere d'essere quel buon ingrediente standardizzato che gli organizzatori dell'attività di gruppo stimano perfetto per i loro fini. Quest'uomo ideale è colui che mostra “conformismo dinamico” (espressione stupenda), intensa lealtà verso il gruppo, e desiderio indomabile di subordinarsi, di appartenere.

Pensate ai miei "amici" del supermercato ed alle "conversazioni agonistiche". Pensate alla corsa quotidiana per i like su facebook. Da una parte, il desiderio di essere apprezzati, dall'altro, la disillusione perfetta di un'esigenza individualistica. Un atto fatto per emergere al di sopra degli altri, represso nel momento stesso in cui si realizza che l'intera comunità ripete esattamente lo stesso gesto: facebook diventa la piattaforma ideale dove trasformare l'impulso individuale in una conformazione allo status quo. La società liquida. Ecco perché criticavo Fishborn, ecco perché sostengo che la musica dei The Circle non è male, ma non colpisce. Quando parlo “male” di queste persone io non le ritengo stupide o incapaci, ma vittime. Vittime di una quotidianità virtuale che sopprime la critica e favorisce l'emulazione e l'adulazione: due piccoli mostri che danno beneficio immediato ma non rendono sulla lunga distanza. Impediscono di guardarsi dentro e prendere atto dei propri difetti e dei propri limiti, gli stessi che ci insegnano a crescere. Perché dico tutto questo, vi chiederete?
Pensate a Perfetto Uniformato. Pensate a Il mondo Che Avanza. Pensate a Noi Adulti. Gli Eugenio In Via Di Gioia, in parte, qualcosina di tutto questo discorso l'hanno capito, ma non vogliono farsi carico di un messaggio tanto delicato, né intendono rinunciare alla leggerezza che li contraddistingue. Il loro disco d'esordio, realizzato in fretta e furia, è troppo furbettamente leggero e poco pretenzioso, in modo da captare puntualmente l'indulgenza della critica musicale. Non è così che si fa. Quando li vidi per la prima volta ad Agosto, pensai che gli EIVDG dovessero realizzare un album al più presto. Mi sbagliavo.

Lorenzo Federici


Argh!
La Cosa Peggiore Dell'Universo
Ho Perso
Non Ancora
Ottetto Di Stabilità
Noi Adulti
Egli
Pam
Troppo Sul Seriale
Zoo Balneare (ft. Banda Fratelli)
Il Mondo Che Avanza (Ghost Track)



Hanno già detto che il punto forte di questo disco è la leggerezza di quest'album, ed in effetti è vero: ma qui da Bangszine, l'indulgenza non è di casa. Lorenzo Federici (il titolo è un piccolo tributo al membro “sfigato” il cui nome non è entrato a far parte di quello della band) è un album lungo all'incirca il doppio del precedente Ep Urrà, che era un'accozzaglia di canzoni registrate alla meglio. Circa 34 minuti, compresa la ghost track che fa finta di essere tale - non immaginatevi la pausa che prelude a Endless Nameless – semmai, può definirsi "spettrale" nel nuovo arrangiamento di All You Can Eat, qui rinominata Il Mondo Che Avanza. Sotto certi versi, questa canzone, che aveva pieno diritto ad essere collocata nell'album d'esordio, essendo il cavallo da battaglia e forse uno dei pezzi migliori della band fino ad adesso, rappresenta un tentativo di realizzare una versione più matura rispetto alla precedente. Questo, specialmente, lo si può notare nella correzione dei versi finali da non vorrebbe più avanzare a non vuole più avanzare e di la sazietà non ci basta proprio più in di sazietà non ne possiamo proprio più. Forse sarebbe il caso di soffermarsi su un'analisi più lucida del messaggio e di porre domande come "siete sicuri che questo mondo non voglia avanzare?" "sapete che l'avanzo è alla base della nostra economia, il modello di crescita esponenziale e tutto il resto?" ma quello che ci ritroviamo davanti, e che si evince da un ascolto completo del disco, è un approccio non solo leggero ai temi della quotidianità, ma forse persino un po' troppo ingenuo (tanto che quest'ingenuità trova il suo apice nell'encomio del PAM, noto per una gestione berlusconiana degli introiti). Voglio dire, non è che sono qui a colpevolizzare gli EIVDG perché fanno la spesa al PAM o all'Esselunga. Io sarò pure un povero disilluso che rischia di diventare cinico e non voglio certo cercare di pestare i piedi a chi ancora, come loro, ci crede, a qualcosa. Ciononostante, il pezzo zoppica proprio a causa del nuovo arrangiamento. Troppo ricercato per gli EIVDG, una band che dà il suo meglio quando gli arrangiamenti sono semplici ma impreziositi dalle armonie vocali (Ho perso, Argh!) e da strutture un po' più varie rispetto alle canzoni pop classiche (Zoo Balneare, Ottetto di Stabilità, Ho Perso). Quello che manca qui è proprio la forza trainante di All You Can Eat: i cori polifonici, che qui invece tendono alla monotonia ed al sintetico. (Non usate mai più un vocoder o un vocal tuner in studio, ragazzi. Vi prego. MAI.)
Un indubbio merito del disco resta, in ogni caso, l'ecletticità nel rispetto sostanziale della canzone pop folk. L'attacco, ad esempio, non è per niente male, con quella specie di canto popolare in 7/4 (il tempo prog più amato: Money, Disco Labirinto) che è Argh! e la successiva, trainante, Ho Perso, dal riuscitissimo sapore swing.

 
In seguito si passa al pop di Non Ancora, alla dimensione da osteria dell'Ottetto ed alla melensa ed ironica Noi Adulti. Il problema è che non passati neanche undici minuti e siamo già ai pezzi di riempimento. Non Ancora non sa di nulla, anche se qua e là c'è qualche barlume di lucidità, come il riferimento all'inutilità dei dottorati in questa società antimeritocratica, ma il tema è sfiorato così delicatamente che è persino difficile accorgersene. Ottetto di Stabilità ha un andamento simpatico, ma zoppicante: mi fa male la cabeza, se penso all'idea di ascoltarla due volte di fila. Noi Adulti riesce a strapparmi un sorriso, ma è un pezzo impubblicabile. Andava bene per il primo Ep, forse, ma qui stiamo giocando a fare sul serio. Chiunque voglia affacciarsi al mercato come gli Eugenio, che hanno aperto i concerti ai Marta Sui Tubi ed agli Zen Circus e che ormai suonano un po' in tutta Italia, è bene che provveda ad un'adeguata selezione dei pezzi. Altrimenti ci fa una figura di merda. L'idea, dopo aver ascoltato Argh! e Ho Perso, di avere a che fare con un artista fresco, ironico, simpatico, brillante e potenzialmente virale è del tutto prosciugata quando si arriva all'ascolto di Noi Adulti. E sapete perché? Perché gli Eugenio In Via Di Gioia sono diventati seguitissimi ancora prima di imparare a suonare seriamente, come invece hanno imparato a fare i Circle o i Maniaxxx o i Foxhound e tanti gruppi di cui ho parlato precedentemente, che ne hanno dovuta mangiare di merda prima di diventare la piccola realtà che sono adesso: eppure su un palco dell'Heineken Jammin' Festival non sfigurerebbero, perché è gente che sa suonare a dovere. Il rischio qui, è che gli Eugenio, nati troppo in fretta, pubblicati troppo in fretta, seguitissimi troppo in fretta, si ritrovino un giorno a dover dimostrare di non essere all'altezza del mondo musicale che li attende (anche De Gregori non lo era, ma erano altri tempi).
Io non voglio che ricevano un calcio in culo dal mondo musicale, perché credo che non se lo meritino, ma questo disco è una presentazione a brache calate. Credo che con un paio d'anni di studio e di buona lena la band posa cominciare a contemplare la possibilità di una seria carriera musicale: il talento c'è, sono le capacità ancora troppo amatoriali.
Alcuni testi sono buoni, a volte l'ironia funziona davvero bene. Tuttavia, non si può fare a meno di notare la tendenza a parlare troppo frequentemente delle dinamiche che ruotano attorno alla vita del musicista emergente (Ho Perso, Argh!, Egli, Troppo Sul Seriale) che, per certi versi, mi ricorda certi rapper le cui canzoni dicono "ehi guardami, sono figo, faccio freestyle sul fatto che sto facendo freestyle, faccio rap e le mie canzoni parlano tutte del fatto che canto il rap" sebbene, a differenza dei rapper, l'atteggiamento degli Eugenio fortunatamente è ironico e non autocelebrativo. Il rischio è di diventare tautologici: non si può scrivere solo del fatto che si sta scrivendo.
Pubblicizzare questo disco in giro per la penisola va bene, se si ritorna in fretta a lavorare sulla composizione. Non è tanto la teoria che manca (Eugenio è un buon cantante, Emanuele un buon tastierista), piuttosto è ora di lasciarsi le canzoncine da liceo alle spalle. Potrei spendere altre due parole per parlare anche di Troppo Sul Seriale, o del cameo della Banda Fratelli in Zoo Balneare, ma sarebbe inutile, perché credo di aver già detto tutto quello che penso. Potrei aggiungere che la band conserva un'ironia ancora in ottima forma, ma vorrei fare presente che il nonsense è arte e che non tutti possono permettersi di giocare a fare gli Elio E Le Storie Tese, né i Monthy Python, o Maccio Capatonda.


Ben venga quindi il coretto in A-/F/C/G di Caaaaaaaaaaaaane, così come l'assolo che non parte in Zoo Balneare (vai tu, no vai tu) - ma rimane ancora così tanto su cui lavorare. Troppo almeno, rispetto alle attenzioni che questo disco sta ricevendo. I Fanali Di Scorta, un'altra band torinese di stampo cabarettistico, avevano già proposto un fa un lavoro simile quasi dieci anni fa, decisamente superiore per freschezza e lucidità compositiva, non ebbero neanche un decimo della fortuna degli EIVDG.
Forse sono stati un po' troppo impietoso fino ad adesso. Tutti i fan delusi si chiederanno finora qual'è la mia posizione riguardo ad Egli.
Non nego che sia un gran pezzo: poetico, toccante e di una semplicità estremamente elegante. Se non fosse una piccola perla dentro a questo ammasso di canzonette, ci ritroveremmo davanti un altro pezzo di storia della musica italiana, ma Egli è il colpo di genio della canzone scritta in 5 minuti, dell'incastro perfetto che non vuole ritocco. Come un colpo di fulmine, che va e viene e non sai quando tornerà. Dubito che gli EIVDG ci proporranno pezzi di questo calibro in futuro, ma sono sicuro che è questa la direzione che dovrebbero prendere. Composizioni corte e semplici, linea di piano melodica, escursioni dinamiche guidate dalla vocalità. Una formula compositiva semplice e facile che potrebbe adagiarli senza troppe difficoltà sulla cima delle classifiche indie italiane per almeno i prossimi cinque anni. Volendo continuare ad essere pignolo, potrei dire che in realtà non capisco il collegamento tra la parte pseudoautobiografica all'inizio e quella del matto alla fine, ma che mi piace comunque l'accostamento delle immagini evocate, la bella metrica e la cura delle rime.


Per riassumere: Lorenzo Federici, un disco di 34 minuti con 4 pezzi riempitivi, non è un granché come inizio. Gli spunti buoni ci sono, ma Non è così che si fa, non è minimamente sufficiente a guadagnarsi il posto che si prospetta nel panorama nazionale assieme agli Zen Circus, ai Marta Sui Tubi ed ai Pan Del Diavolo, perché è proprio lì che ci ritroveremo gli Eugenio In Via Di Gioia tra qualche anno. Lo Stato Sociale ci hanno già dimostrato che è solo una questione di followers e di testi, non di qualità.
Volendo concretizzare: siamo sulla sufficienza, ma scarsina. Qui si rischia l'esame di riparazione.

VOTO: 60

Eugenio Cesaro: voce, chitarra acustica
Emanuele Via: fisarmonica, piano, cori
Paolo Via: cajon, charleston e crash senza bacchette, (occasionalmente una cassa?), cori
Lorenzo Federici: basso, titolo del disco

P.S. Per gli EIVDG: Spero ci sarà la possibilità comunque di incontrarvi e cenare con voi. Vi voglio sempre bene. Siamo io ed il tatto che non andiamo d'accordo.

martedì 3 marzo 2015

Come Rendere Digesta L'Eleganza DeNdkadente


Ho Una Fissa
Puzzle
Un Po' Esageri
Sci Desertico
Nevischio
Rilievo
Diluvio
Derek
Vivere Di Conseguenza
Alieni Tra Noi
Contro La Ragione
Inno Del Perdersi
Funeralus



Mi chiedevo quant'acqua sarebbe passata sotto ai ponti, prima che io scrivessi un pezzo sui Verdena. Parlarne mi risulta particolarmente impegnativo a causa dello zelo e della passione da me dedicata alla alla loro musica in tutti questi anni. Ma cercherò, per una volta, di stringere un po' il discorso. Mi limiterò a dire che, per quanto le canzoni dei Verdena possano risultare ostiche, melodrammatiche, depressive, bizzarre ed alle volte persino inconcludenti e prive di messaggio, farcite come sono di rime banali e scipite come “noi-poi”, “me-te”, "mai-sai", resto un fautore dell'idea che i Verdena hanno rappresentato negli ultimi quindici anni un caso unico e prezioso in questo Paese.
Questo perché i Verdena sono una band sempre moderna, autentica, sempre al passo coi tempi, capace di reinventarsi e mettersi in gioco, sorprendentemente abile nello sfruttare a suo favore la promozione delle grandi etichette industriali come la Warner pur mantenendo il controllo pressoché totale di tutte le tappe produttive della loro musica. Sono ormai tre anni che Alberto Ferrari produce e registra la musica direttamente nello studio/sale prove della band, il "pollaio”: i tempi di Valvonauta sono ormai decisamente ad anni luce di distanza. 

 
Facciamo una rapida carrellata sulla carriera della band, esattamente come avevamo fatto precedentemente per i Flaming Lips:

1997


 esce il demo, una manciata di canzoni in stile grunge di un gruppo di adolescenti (Luca, il batterista, ha all'incirca 15 anni). Le copie finiscono subito, la band si guadagna il titolo di “Nirvana Italiani”.


 1999

 
 L'esordio omonimo, prodotto da Giorgio Canali, lancia i tre poco più che maggiorenni dai barrettini di provincia ai palchi da cinquemila persone di MTV. Il sound è decisamente più pop rispetto al demotape ma non per questo privo di grinta. I testi sono inesistenti. I singoli piazzati sono ben quattro: Valvonauta, Viba, Ovunque e Dentro Sharon


2001


 Sotto la guida artistica di Manuel Agnelli, il ventitrenne Alberto Ferrari comincia a scrivere dei testi che abbiano un senso. Come Un Grande Sasso è fortemente debitore verso i Motorpsycho ed, a mio giudizio, resta il loro lavoro migliore.


2004


 Il Suicidio Del Samurai recupera le tinte grunge del primo album con la cura dei testi del secondo. Il disco funziona, il sound potrebb'essere quello definitivo, ma nell successivo album la band sconvolge completamente le carte.


2007
 
 Requiem spiazza critica e pubblico. La qualità della registrazione diminuisce a favore di un approccio più personale, seppur estremamente derivativo, per lo meno nei titoli, alla composizione ed anche l'ep Canos, del resto, sembra guardare in questo senso. La band sembra non saper più che pesci pigliare: se da una parte sembra ritrovare la cattiveria del demo (Non Prendere L'Acme Eugenio, Don Callisto), dall'altra comincia ad emergere una vena più prog (Il Gulliver, Sotto Prescrizione Del Dottor Huxley) ed elettronica (Opanopono). Il tour che ne segue prosciuga le finanze dei tre. Alberto diventa padre. Roberta si trova un impiego provvisorio.

 
2011



 Wow conquista critica e pubblica a sorpresa, nonostante sia un doppio album in cui convivono istanze musicali completamente differenti, se non opposti. La nuova musa è il Battisti di Anima Latina. Le composizioni del cantautore poggiobustonese sembrano fornire il collante necessario per fondere vecchie e nuove influenze e trovare finalmente l'approccio originale alla composizione. Il risultato è un pop eclettico e maturo che risulta in un album estremamente variegato, capace di sorprendere senza annoiare.



Che cosa aspettarci, dunque, da Endkadenz? Di sicuro, non l'ennesima rivoluzione del sound – quello era compito di Wow - e nemmeno uno sperimentalismo sfrenato. Endkadenz è il prodotto di una band ormai perfettamente consapevole delle proprie capacità, che ha imparato a guardare con ironia alla responsabilità morale e mediatica della propria immagine sul panorama musicale nazionale. La recensione di Ondarock suggerisce giustamente che i Verdena abbiano smesso di giocare a “fare i Verdena o i Motorpsycho” ed infatti è proprio così. 
Quest'album rappresenta l'ideale prosecuzione di Wow in format di album singolo. Scelta, questa, peraltro non desiderata dalla band, che si è presentata all'ora della pubblicazione con ben 112 pezzi pronti ed incapace di provvedere ad una selezione adeguata (ha smesso di esserlo, del resto, dai tempi di Requiem, che era già decisamente troppo lungo). A seguito del veto posto dalla Warner di pubblicare un album doppio, Alberto & Co hanno pensato di dividere il lavoro in due parti: Vol.1, uscito a fine gennaio, e Vol.2, che uscirà verso il mese d'Aprile. L'approccio, come ho detto, rimane quello un po' poppy di Wow, se non che il sound sembra un po' più ruvido, volutamente mirato a mantenere un certo eclettismo ma a creare stacchi di genere meno forti tra un pezzo e l'altro. Nel mantenere un format pop, senza perdere le proprie radici grunge ed alternative, sembra che i Verdena abbiano guardato stavolta, oltre che ad Anima Latina (Contro La Ragione) a certe soluzioni sonore degli ultimi Flaming Lips, affini ai tre per “rumorosità” e gusti musicali (del resto io stesso vidi i Verdena suonare come spalla ai Flaming Lips al Gru Village nel 2012). Quest'idea mi è venuta quest'idea ascoltando il riff di chitarra di Sci Desertico.
Enkadenz è un album coeso e variegato, con una identità forte ma che mantiene al tempo stesso una certa continuità con tutto quello che sono stati i Verdena precedentemente (ivi compresi i difetti, ovvero: la mancata cura delle parti vocali di Wow ed una sostanziale indifferenza al messaggio ed alla forma dei testi). Le composizioni sono tutte molto valide, seppur non sia capace di indicare una traccia che spicchi particolarmente rispetto alle altre, con la sola eccezione del singolo Un Po' Esageri, in cui la band mostra un atteggiamento ineditamente spensierato e leggero, con tanto di urletti che rimarcano il riff.


L'ascolto parte con la splendida Ho Una Fissa, che con buona probabilità rappresenterà il pezzo d'apertura dei prossimi concerti. Tracce come Puzzle e Nevischio sembrano guardare ai cantautori italiani degli anni 80 (Battisti, Rino Gaetano) sebbene le canzoni mostrino delle strutture decisamente interessanti, forse debitrici dell'eredità che hanno lasciato band come i Radiohead sulle modalità di costruzione della canzone pop del nuovo millennio. Derek sembra invece recuperare certe atmosfere chitarristiche dei primi album, anche se, in questo caso, ed anche nel resto dell'album, sembra i chitarroni costituiscano l'ossatura e non il rilievo, non essendo più la parte centrale attorno al cui ruotano le canzoni (come poteva essere, invece, per tracce come Starless, Muori Delay o la stessa Valvonauta). Forse il merito maggiore di quest'album consiste nella capacità di mettere a questa dichiarazione artistica. I Verdena, come del resto avevano già cominciato ai tempi di Wow, hanno smesso di ragionare sui riff, concentrando la loro attenzione sulle progressioni musicali e sui testi che possano accompagnarle: ed è in questo aspetto che risiede la loro maturità. È nelle strutture dei pezzi, non più nei tecnicismi chitarristici o vocali, che i Verdena mostrano tutta la loro innovatività ed il loro talento, ed è chiaro che quest'album creerà ancora una volta disturbi, confusioni e ripensamenti: gli stessi con cui ci ritroveremo a fare i conti nel prossimo Vol.2.
Nel frattempo, io mi preparo al concerto di stasera. Speriamo che i progressi siano riscontrabili anche dal vivo.



lunedì 2 marzo 2015

Lorenzo Senni - Superimpositions


A1. Happic
A2. Elegant, and never tiring
A3. Zeroth-Order Aproximation
A4. Superimposition
B1. Forever Headline
B2. xx1
B3. PointistillicT


Cos'è la musica se non un marginale contorno delle nostre vite? La maggior parte delle persone è convinta che la musica abbia come unico scopo quello di far stare bene, di accompagnare i film di alto profilo, le spese al supermercato e, in alcuni casi, anche le rare scopate d'alto bordo. Eppure non è affatto così, la musica può anche farti stare male, e quando dico questo non mi riferisco a certe tinte tristi come possono avere alcuni pezzi in tonalità di Re minore, ma anche all'effetto che i contorni di essa, ivi inclusi l'iperpropaganda di prodotti vomitevoli o privi di verve, possono avere sulla nostra psiche.
È con questo spirito che oggi, dall'alto della mia austerità, mi vedo costretto ad inquisire questo LP (o EP?) di Lorenzo Senni.
Sette tracce in tutto otto, strumenti in totale. Per chi lo avesse letto attentamente, è proprio così: ogni traccia ruota sostanzialmente attorno ad un unica matrice (sintetica). Il che non rappresenta un male in sé - ci sono concerti per un singolo strumento che mi hanno fatto arrovellare senza sosta per settimane – sebbene questo, purtroppo, non sia affatto il caso.

Inizio ad ascoltare il disco. Parte la prima traccia e dopo circa una trentina di secondi comincio a domandarmi dove sia il problema, il guasto - dopo un minuto il dubbio cresce. Arrivati a 5:41 il primo pezzo finisce, tendo a giustificare – in fin dei conti è il primo dell'album, l'intro, sarà sicuramente diverso dagli altri! Forse Senni voleva stupire ed ha finito per fare una schifezza. Respiro. Parte la seconda, ma la storia è la stessa, la terza, la quarta - uguale.... poi non so come ma arriva la settima ed il disco finisce: sono contento, ma solo che l'ascolto sia finito.
A disco terminato, ho più dubbi di prima. Ho speso davvero tutto questo tempo a sentire un'interminabile demo di factory presets di Microkorg? Non ho trovato assolutamente nessuno spunto lontanamente degno di nota: nessuna progressione, nessuna particolare ricerca melodica o armonica e la parte puramente sintetica lascia davvero a desiderare. Complessivamente, immagino che un prodotto del genere voglia proporsi come una specie di derivato dalla trance, per quanto mi riguarda non c'è niente di più che una manciata di arpeggi e sequenze prese da sole. Peraltro, l'unica traccia che sembra avere qualche vaga speranza è PointillisticT, che ha addirittura (pensate un po'!) due linee melodiche distinte, ma.... niente, non c'è sviluppo, è un coito interrotto.
Non è solo la TOTALE assenza di sezioni ritmiche a lasciarmi perplesso, ma la totale assenza di idee, spunti e studi. Questo disco è IL NULLA. Rivoglio i soldi indietro.
Venendo all'artista, diciamo che sulla carta non sembra neanche l'ultimo arrivato. Questo tizio vanta la presenza ad eventi come Club to Club, date estere di un certo rilievo e pubblicazioni su etichette nemmeno troppo sfigate. L'esperienza, evidentemente, ci insegna che questo elenco può anche essere solo fumo negli occhi. Se avevo dubbi riguardo al fatto che, nel 2015, sia più utile una laurea in economia che non un diploma al conservatorio per entrare nello showbiz della musica, questa ne è l'ennesima, lampante dimostrazione. Tralasciando, ovviamente, il valore della raccomandazione, specialmente in questo Bel Paesecostruito sulle tangenti e sulle mazzette.
Come avrete notato, non sono soddisfatto, rimango prodigo di domande ed avido di risposte. Una in particolare mi attanaglia le meningi: chi è che ascolta (davvero) questa roba? Immagino sia un amico del compositore, magari un altro mingherlino efebico (possibilmente milanese?) con barba folta, rayban, piercing e pantaloni risvoltati o forse in realtà neanche lui l'apprezza, ma finge di farlo perché convinto che sia una composizione di Qualità perché gliel'ha detto un amico con la barba come lui che si veste come lui e che probabilmente riconosce come più figo di lui. Sarà così?
Ammetto, con un pizzico di umiltà, la possibilità di non aver colto l'opera e che quindi sia io quello non sufficientemente competente per valutarla. Mi ritengo quindi aperto al raggiungimento del livello di conoscenza superiore necessario. E se qualcuno questa competenza ce l'ha, che per favore mi illumini!
Rovistando internet ho trovato questo video sul suo canale YouTube e sono arrivato alla conclusione che quelle di Senni siano un paio di braccia rubate alle luci - la lingua, non di certo non all'inglese – anche se questo esula dal discorso cardine.

Disclaimer: in questi casi la prima critica che viene mossa è: "Ma se vi fa schifo perchè ne parlate? Fate solo pubblicità". Acuta osservazione, Wilde sarebbe fiero di voi. Riguardo a questo punto potrei tranquillamente rinviarvi a questo articolo qui e qui e qui e qui.
Mi permetto di rispondere a priori. Innanzitutto non si tratta di un senso di schifo. Sul piano artistico, questo lavoro è così inconsistente che risulto totalmente apatico: c'è troppo poco per poter dare dei veri giudizi. A livello umano, invece, sono un disilluso, ma ogni volta che vedo due dita di seguito a fenomeni del genere il mio umore non ne giova. Inoltre, il dualismo della vita mi ha portato a credere che il Male vada riconosciuto ed etichettato, così che se ne debba parlare. Tuttavia, concludendo questa protorecensione, mi spiace di aver dedicato del tempo a tal proposito, perché se vi aspettavate, come nelle recensioni che vanno di moda oggi, una definizione precisa ed accademica di questo tipo di musica, ve la posso fornire in tre parole: perdita di tempo.