mercoledì 25 febbraio 2015

Il PD, Lo Stato Sociale e Nanni Moretti


mi sono rotto il cazzo del più grande partito riformista d'europa
del facciamo quadrato nel grande centro nei girotondi
del partito dell'amore
del governo ombra



Mi chiedevo che forma avrebbe avuto il rock di protesta in quest'epoca fatta di synth, pantaloni coi risvoltini e suoni laccati. Le formazioni di sinistra hanno sempre tardato ad aggiornarsi, o almeno, sono sempre rimaste eroicamente restie, forse anche stupidamente, all'adeguarsi alla moda del periodo. 
Se il PD può essere considerato come una forma aggiornata e modificata del vecchio partito, scarnificata di tutte quegli argomenti ingombranti e muffosi come, ad esempio, la tutela del mondo del lavoro, l'articolo 18 ed il valore del laicismo, come risposta alla presa d'atto che il berlusconismo è ormai indelebilmente radicato nella nostra cultura, è necessario che, parallelamente, anche il rock protesta si adegui ai tempi: non si può certo continuare all'infinito coi Modena City Ramblers e la Banda Bassotti!

Ecco quindi che ci siamo ritrovati davanti i Managament Del Dolore Post Operatorio e gli Stato Sociale, in cui i drammi quotidiani della nostra traballante democrazia vengono finalmente raccontati in mezzo a synth dal sapore anni 80 e ritmi dance. Mentre però i primi vanno a toccare temi tanto cruciali quanto drammaticamente attuali facendosi voce della disperazione del mondo giovanile (Norman, Signor Poliziotto, Irreversibile) con un approccio di petto scontroso, come se volessero farse da voce ad una rivoluzione imminente, i secondi guardano allo stato delle cose attuale con una ironia amara e disincantata. 


In questo senso, sono proprio gli Stato Sociale ad essere la vera voce di questa generazione, la Mia generazione. Gli Stato Sociale, proprio come il PD, ed a differenza dei Management, hanno capito che non esiste più nessun tipo di valore a cui sia possibile aggrapparsi, per cui ogni forma di protesta è inutile, la democrazia è arrivata al suo fallimento e quindi chi finge di ignorarlo, solitamente, è solo un arrivista ipocrita. La libertà d'espressione dell'individuo, tutto sommato, rimane intatta ma, in merito al cambiamento, l'individuo ormai non ha più alcuna voce in capitolo. L'unica cosa che rimane da fare, esattamente come i politici del PD, immobilisti intransigenti, è lamentarsi. La denuncia non cambierà nulla, ma per lo meno, permetterà lo sfogo. Non mi ricordo più chi lo scrisse, ma da qualche parte lessi (forse era un post di twitter) :
Noi negli anni 70 avevamo Guccini ed il Partito Comunista, voi avete il PD e gli Stato Sociale
Benvenuti negli anni duemilaedieci.


L'unica certezza che hanno gli Stato Sociale è il promettente futuro come benzinai ed io, personalmente, li vedrei sicuramente più abili alla pompa della benzina, piuttosto che a suonare un qualsiasi tipo di strumento. Il motivo per cui mi sono rifiutato per molti anni di avvicinarmi alla musica degli Stato Sociale è che ritenevo, avendo ricevuto una minima formazione musicale, che fossero completamente avulsi al concetto di melodia, oltre che dei completi incompetenti, stonati come delle campane. E non è che avessi del tutto torto. Quello che non mi rendevo conto è che i loro testi hanno un effetto incredibilmente rassicurante, come se raccontassero esattamente tutte quelle osservazioni che avrei sempre voluto fare sugli atteggiamenti dei miei coetanei, o sul mondo della musica, o della politica e che, in un modo o nell'altro, avrei sempre sperato di ascoltare da parte di qualcuno.
In un certo senso, queste riflessioni dello Stato Sociale mi ricordano Crozza. La maggior parte di noi aspetta il martedì o il venerdì sera per aspettare la satira di Crozza sulla copertina di Dimartedì o per la puntata di Crozza Nel Paese Delle Meraviglie. Riconosco che lui sia bravissimo: è sicuramente uno dei comici più dotati ed intelligenti degli ultimi vent'anni, ma è solo un palliativo, quasi fastidioso nel suo essere così facilmente accondiscendente col giudizio dell'ascoltatore. 


Crozza manca di quell'aggressività e di quella sfrontatezza di cui erano dotati una Sabina o un Corrado Guzzanti, o il grandissimo Luttazzi (il quale, infatti, è stato cannato subito), perché è troppo interessato a strappare un sorriso dei personaggi che mette alla berlina. 


Inoltre, non scava poi più di tanto, lasciando fuori quelle verità amare e scomode che, ad esempio, sono messe in luce in luce dagli attori de Il Segreto Di Satira.
La satira di Crozza è come una camomilla notturna, coccolosa e rilassante, adatta a chi vuole rilassarsi dopo una giornata di duro lavoro e vorrebbe sentirsi dire quello che pensa prima di andare a dormire per poter fare sogni tranquilli.
E sapete chi è il responsabile di tutto questo scempio? Nanni Moretti. Un regista che avrà girato sì e no nella sua vita un paio di film decenti ed un attore pessimo, incapace di impersonare qualsiasi tipo di ruolo se non quello di sé stesso (non è un caso che Ecce Bombo, che è un piccolo capolavoro, ebbe un successo inaspettato: neanche lo stesso regista capì dove ci avesse azzeccato). 


Avete presente il tipo di critica sociale che fa Nanni Moretti? Pensate ad Habemus Papam. Tralasciando il ruolo di Moretti come psicologo, che è tutto tranne che credibile, pensate alla trama. C'è un Papa in crisi che scappa dalla Santa Sede per cercare di riscoprire sé stesso e la sua passione per la recitazione. Il tema è delicatissimo, specialmente per un film italiano, ma ancor più delicato il modo in cui viene trattato: il risultato è una commediuola che gira intorno ad una scena clue che mostra una improbabile partita a pallavolo tra cardinali. Ed Il tanto chiacchierato Caimano? Un film che avrebbe dovuto essere una denuncia alla figura di Berlusconi che si risolve con la rappresentazione di un film dentro ad un film: al confronto, Elianto (S. Benni) sembra il Manifesto di Marx ed Engels.
Nanni Moretti è colpevole di aver gettato le basi per una satira priva di satira, di aver rappresentato per una comunità artistica un modello negativo, rendendosi autore di una serie di produzioni scipite che accarezzano temi importanti sfruttandone la portata mediatica a scopo pubblicitario per poi cedere di fatto la trama a delle storielle abbastanza banalotte sulla vita di coppia. Nanni Moretti ha insegnato alla comunità artistica come poter assumere atteggiamenti "impegnati" e sfruttarli come facciata, e così ci ritroviamo ad avere a che fare con una generazione di attori da cabaret, registi, fumettisti e musicisti che si ricoprono di uno velo di spessore intellettuale pur nella completa incapacità di mettere a fuoco i reali problemi e le inettitudini della società contemporanea, e da qui la satira “da buffetto” di Crozza ed i testi “da reclamo” degli Stato Sociale.


Ricordo che la prima volta che sentii di dovermi adeguare ai tempi, e cioè di sorbirmi almeno una mezzoretta di Stato Sociale per capire quali fossero i pezzi più famosi, fu quando uscivo con una ragazzina di Torino, una cavallona alta più di un metro e ottanta, con delle poppe a una prima occhiata sode come il marmo e lunghi capelli castani. Mi chiedevo anch'io come mai mi ritrovassi (quasi) tra le mani qualcosa di così bello (e così grosso), ma lei veniva da una cittadina più piccola e lontana, aveva ancora pochissimi amici, non usciva mai a ballare e, per non affrontare l'evidenza di essere una persona insopportabilmente noiosa, si costruiva la vita sociale saltando da una riunione di un collettivo studentesco sinistrorso all'altro. Non che a prima vista sembrasse una rivoluzionaria. Non avrei saputo distinguerla da una ciellina, se non per l'aria dolorante che quest'ultime sembrano manifestare nel fondoschiena. In un modo o nell'altro, sembrava che le stelle fossero a mio favore ed i miei conquilini mi assicuravano che questo donnone apparentemente casto e privo di vizi avesse, senza mezzi termini, espresso pubblicamente di volersi intrattenere col mio pennacchio, così cominciai ad invitarla per prendere un innocuo caffé, sebbene ogni volta mi ritrovassi davanti la stessa scusa, ossia quella del Collettivo. Mi sembrava di provarci con una boy scout. Mi chiedevo quale fosse l'occasione gli studenti di sinistra escono dalle loro riunioni dove, dietro la pretesa - di pura facciata - di fare attivismo politico, cercano di passare finalmente dall'onanismo perpetuo almeno al pompino senza ingoio. Poi quest'occasione me la ritrovai davanti: il concerto degli Stato Sociale.
Ora, nonostante gli Stato Sociale dicano

mi sono rotto il cazzo della critica musicale
non siete Lester Bangs
non siete Carlo Emilio Gadda,
si fa fatica a capire cosa scrivete
bontà di dio
avete dei gusti di merda 

e nonostante io, in effetti, abbia la pretesa di giocare ad impersonare Lester Bangs sebbene, a differenza di intelletualoidoni come quelli di Ondarock, credo di esprimermi in un linguaggio piuttosto semplice, man mano che scrivo mi rendo conto che tutto quello che ho pubblicato finora, tutte le critiche che ho fatto anche nei precedenti post, in un modo o nell'altro, le ritrovo anche nelle loro canzoni: ivi inclusa la cavallona che mi ritrovai a poter incontrare solo accettando il compromesso del concerto degli Stato Sociale.

Al tempo non andai, perché avevo un'etica di ferro e non ritenevo valesse la pena di buttare via dei soldi per gli Stato Sociale, tanto meno per assecondare le esigenze di quella tiracazzi. Oggi, col senno di poi, non solo andrei a sentire un concerto degli Stato Sociale, perché sono sicuro che sarebbe piuttosto divertente, ma andrei a sentire anche Donatella Rettore, pur di uscire con una ragazza di quel genere e di avere la possibilità di mandarla a fare in culo di persona. Giusto per appagare la vostra curiosità (ormai, vi ho già detto quasi tutto): smisi di uscire con quella ragazza perché mi ero rotto il cazzo di correrle dietro e la lasciai perdere, almeno finché non mi capitò d'incontrarla per puro caso prima di partire per un lungo viaggio.

mi sono rotto il cazzo degli esperimenti del frequentiamoci ma senza impegno
stiamo insieme ma non vediamoci che poi ho paura
anzi vediamoci quanto ci pare ma vediamoci in compagnia
mi sono rotto il cazzo dei codardi con l'amore degli altri

Quella sera ebbi l'impressione di piacerle davvero molto, dato che l'amica che l'accompagnava disse che aveva un impegno e si defilò circa dieci minuti dopo che cominciammo a parlare, lasciandoci appositamente soli. Nel corso della serata scoprii che da tempo stava cercando di mettere le mani su uno dei pezzi grossi del movimento studentesco, un tipo 28enne fuori corso (dalla triennale!!!) coi capelli già abbastanza bianchi ma che in compenso pare avesse un posto di rilievo nel Coordinamento Studentesco Nazionale, o qualcosa del genere. Insomma, sono a mala pena svezzate e già fanno inciuci all'interno del movimento come se fossero membri delLa Famiglia Winshaw (J.Coe). E questa ragazza dovrebb'essere una femminista, una pseudocomunista, una futura politica, una piccola speranza per la nazione. Infatti io, ormai 
 
mi sono rotto il cazzo [...]dei giovani di sinistra, arrivisti, bugiardi, senza lode
gente che in una gara di idiozia riuscirebbe ad arrivare secondo
 
 
Gli stessi giovani di sinistra che, a quanto pare, incapaci di capire quanto stiano loro sul cazzo, sono il principale pubblico degli Stato Sociale. Perché la musica degli SS, in fondo, è da ballare e possiede quell'alone di impegno sociale adatto ad una serata adatta a distendersi, ma senza sentirsi troppo distanti dalla "politica". Del genere:
“Il mondo fa cagare? Non ci pensare”: Lalalala! Peppereppe! Uo oh oh! Fiki fiki!




Eh, cari Stato Sociale, tutto sommato siete un bel branco di giovinetti simpatici e per voi dev'essere proprio dura dover dipendere da ciò che si odia, ma è proprio quel pubblico che odiate che vi mantiene. In fondo, non siete neanche poi messi come male, se pensate che c'è chi, come me, che si deve accontentare della vostra musica del cazzo ed è troppo pigro (o troppo poco capace di mettersi in gioco) per mettersi all'opera e creare una valida alternativa. 
Sono magre consolazioni e deboli speranze, quelle della nostra generazione, ma che volete farci: in fondo c'è andata bene. Potevamo essere nati in Eritrea, per esempio.
Siete la voce di una generazione. Una generazione di merda. Possibile che non abbiate nemmeno la voglia di dire, almeno per una sola volta, un bel basta! Invece di: Vaffanculo o Mi Sono Rotto Il Cazzo?

C'mon Tigre: fumo o arrosto?


Ho cercato di inseguire i C'mon Tigre per un po' di tempo. Impossibile scoprire molto sul loro conto. Tutto quello che ero riuscito ad avere sottomano era costituito da uno stupendo video (realizzato con qualche migliaio di fotografie dipinte A MANO da un'artista italiano, Gianluigi Toccafondo), l'album su Spotify ed un sito internet riportante una descrizione dalla prosa italianeggiante in maniera alquanto sospetta. Il loro facebook, inoltre, riporta commenti e post quasi del tutti in lingua italiana. 

 
I C'mon Tigre giocano a fare i misteriosi e la critica è entusiasta ovunque: sembra che grazie questo giochetto in cui mascherano le proprie origini siano riusciti persino a conquistare la critica europea.
Resta da chiedersi se l'origine del loro fascino sia racchiusa nel mistero che li avvolge, o se si tratti solo di fumo gettato negli occhi.
Per capirne di più, mi sono recato al TPO di Bologna a sentirli. Prezzo d'ingresso: 10 eurini. Un po' altino, per una band ancora così poco conosciuta, ma che, d'altronde, include la soddisfazione di finanziare un centro sociale di ottimo calibro e di assecondare le esigenze di un organico così numeroso (9 elementi). Il volantino, inoltre, assicurava anche una performance di painting dal vivo. 


Il TPO è magnifico. È spazioso, ha un ampio cortile esterno dove poter fumare, un bancone del bar colorato dalle inservienti graziose e non eccessivamente trasandate, un buon impianto illuminazione e, soprattutto, un palco con un impianto stupendo. Per certi versi, non sembra di essere neanche dentro a centro sociale. Al confronto, l'Askatasuna è una latrina a cielo aperto. Insomma, il luogo ideale per far suonare una band dal sound così variegato come i C'mon Tigre.
Eccolì lì, i C'mon Tigre. Sono nove, come promesso. Tutti di carnagione bianca, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare dai titoli del disco, che rimandano invece alla primavera araba. Qualcuno, infatti, vocifera che si tratti di un complesso italo-olandese. Il pubblico è abbastanza vasto, c'è un ampia percentuale femminile e mi viene come l'impressione che sia dovuta allo slanciato chitarrista col frangione. Il cantante è un tipo sulla trentina, con una leggera panzetta, capelli lunghi e barba scura, ed ha una postazione mixer davanti a lui collegata ad un synth. Non c'è bassista in formazione, e le rare parti di basso vengono fuori proprio dalle note più basse del sintetizzatore. Sempre in primo piano, il batterista (sulla sinistra), contrariamente alle mie previsioni, suona con gli spartiti davanti ed ha la batteria divisa tra pad elettronici ed i cari vecchi tamburi. Sul lato destro, invece, un elegante signore con un papillon è circondato da qualche tastiera ed un bellissimo xylofono. Alle loro spalle sono presenti cinque fiati, tutti vestiti molto casual, alcuni (come il trombettista) tanto giovani da poter tranquillamente confondersi coi vostri compagni di corso all'università. Riesco a contare una tromba, due sax ed un trombone. L'elemento mancante, in questo momento, non mi sovviene. Visti così, sono carini. Sembrano giovani e poco presuntuosi, il live potrebbe essere più energico di quanto mi aspettassi. 


Il concerto si apre con Rabat, e segue con la tanto chiacchierata Federation Tunisienne De Futball, che qualche critico cretino che credeva di fare bella figura ha paragonato persino a Mulatu Astatke. All'attacco del brano mi accorgo fin da subito che la ritmica della chitarra dal vivo perde tutte quelle sfumature che aveva invece nella versione in studio. Preso dall'esaltazione, comincio a tenere il tempo con le mani, sperando di contribuire a creare quell'energia vitale che mi piace tanto ai concerti (e che lo stesso video sembra voler celebrare nella partita di calcio a piedi scalzi tra ragazzini di quartiere). Qualche buon anima tra il pubblico mi asseconda, ma ancor prima che il battito si possa trasformare in un pulsare ritmico il cantante, con fare irritato, alza una mano per invitarci a desistere. Il pezzo esce maluccio. La band, dall'aria piuttosto insicura, sbaglia tutti i cambi principali ed il cantante, vocalizzando sul tema degli ottoni, lo soffoca, col risultato che la canzone esce monotona e priva di vivacità. Tutt'un altro discorso, invece, per la successiva Fan For A Twenty Years Of Human Being, anche se da qui in poi si ha l'impressione che il concerto non sarà che una riproduzione a cesello dell'album in studio, senza nessuna sorpresa particolare ad eccezione del dilatato stacco elettronico di Life In A Preened Tuxedo Jacket, su cui si inserisce la performance di live painting, utilizzando rulli che colorano a mo' di stencil e vernice adesiva per rappresentare – indovinate un po'? Una tigre con le ali. Mistero e simbologia, quindi, ma vien da chiedersi: che cosa c'entrano le tigri col Nord Africa?



Il concerto dei C'mon Tigre si può definire, in conclusione, come uno spettacolo di tutto rispetto, forse eccessivamente impersonale, o forse semplicemente trasmette l'idea di un complesso consapevole di aver trovato una formula artistica così perfetta o così inedita da poter fare tranquillamente a meno del contatto col pubblico, o che si abbia a che fare con una performance artistica e non con un concerto. Un simile atteggiamento lo avevo incontrato in precedenza solo coi Godspeed You! Black Emperor. Con la differenza, però, che i GY!BE hanno scritto la storia della musica, mentre i C'mon Tigre hanno a malapena un'identità. Inoltre, se nello spettacolo dei primi c'era un turbinio di suoni e di emozioni differenti in ballo, ed in ogni caso il flusso musicale era accompagnato dalle immagini di uno schermo grosso quanto una parete  quello dei secondi era abbastanza monotono e le soluzioni armoniche e ritmiche dei vari pezzi erano così simili tra di loro, che alla lunga rischiavano perfino di annoiare. 
Non che lo schermo mancasse, semplicemente era posto su una parte laterale del locale, ma si limitava a proiettare in loop il video di Federation Tunisienne de Football.

Il disco C'mon Tigre si presta benissimo come musica di sottofondo. Tutti i pezzi, presi singolarmente, sono molto validi ed è indubbio che la band abbia sviluppato un sound maturo e personale, inoltre bisogna rendere merito al complesso di farsi carico di proporre pezzi con tempi estremamente lenti, in cui l'incastro tra i vari e numerosi strumenti rende molto difficile l'esecuzione dal vivo. Il destino infido dei C'mon Tigre, però, potrebbe essere quello d'incappare nella stessa sorte dei Tame Impala, ovvero di diventare così originali da non poter fare a meno di continuare ad essere la fotocopia malriuscita di sé stessi. Il primo passo per migliorare la proposta, sicuramente, dev'essere quello cercare di dare un po' più di brio a questi show. Questo, almeno, finché la loro musica sia concepita come rivolta a centri sociali, locali ed arene, piuttosto che a festival di Jazz o teatri.
Cedere un palco ad un pittore, lasciando l'accompagnamento ad una base preregistrata, per quanto sia una trovata senza dubbio accattivante, non è sufficiente a far passare in secondo piano il senso di noia di uno show ancora troppo statico, ripetitivo e monotono.

Eccovi le prossime date:


martedì 24 febbraio 2015

Fottere allegramente Spotify...


..e vivere tranquillamente in questo nuovo millennio ipertecnologico del cazzo



Abbiamo tutti applaudito l'arrivo di Spotify. Specialmente quelli della generazione degli anni 60 e 70, rimasti tagliati fuori rispetto ai più giovani sulle modalità di ascolto e di racimolamento del formato mp3. Li abbiamo visti partire in quarta all'inizio degli anni duemila, passarsi le vecchie glorie del passato in cd rw (rewritable) da 700 Mb (o, in alcuni casi, il rarissimo formato da 870 Mb, alias 90 minuti, che io ritenevo pregiatissimo per realizzare le compilescion per la macchina, anche se presentavano notevoli problemi di compatibilità), per poi arenarsi, nella maggior parte dei casi, spaesati dai vari eMule, bittorrent, filestube, torrentz, dai vari malware, virus ed altre meschine insidie che si celavano dietro alle oscure meraviglie del web.
I benestanti se la sono cavata ignorando il progresso, potendo permettersi di comprare ogni uscita nel suo legittimo formato magnetico, quelli ancora più abbienti non hanno neanche pensato di abbandonare il vinile; la maggior parte è rimasta in un limbo, ha dovuto resettare o cambiare il computer numerose volte a causa dei virus e si è ritrovata, nei casi peggiori, a lambiccarsi con consolazioni inutili come la discografia di Eric Clapton in quaranta dischi, di cui generalmente ascolta solo Layla, per quanto paradossalmente priva della produzione Derek & The Dominoes, e di raccolte come “le 500 canzoni più belle di sempre” o “i 200 assoli migliori della storia del rock”.
Spotify è un portale incredibile, contiene così tante cose che persino realizzare una ricerca banale come, ad esempio, A-Ha dei Take On Me, non constituisce un'operazione immediata. Ha una grafica incredibilmente accattivante e permette di ascoltare un disco anche se non è uscito nel proprio paese, allo stesso tempo tutelando i diritti dell'ascoltatore e del musicista. Il top del top, quindi? Sbagliato!
Spotify non tutela i diritti dell'ascoltatore. L'industria musicale, per quanto nel suo complesso sia stata valutata una cifra inferiore rispetto a quello che Zuckerberg ha pagato per Whatsapp, è messa in moto dallo scorrere di un unico, banale, ripetitivo motivetto musicale: il fruscio delle banconote.
Per fare soldi servono pubblicità. Ecco la gran trovata -ecco la truffa.
Spotify non è che uno specchietto per le allodole. Dietro ad un'apparente, infinita gamma di vantaggi, si racchiude la più grande truffa musicale del secolo ai danni del consumatore e della comunità artistica.
  1. Spotify ha introdotto le interruzioni pubblicitarie nello streaming. L'unica alternativa soddisfacente abbonamento premium (9.99 € al mese!), che permette di avere a disposizione la possibilità di scaricare un numero illimitati di brani e di poterli riprodurre senza interruzioni. A questo va ricordato che lo scaricamento risulta sempre l'opzione preferibile, in quanto lo streaming consumerà molto rapidamente il traffico internet del vostro smartphone.
  2. Spotify seleziona la musica al posto del consumatore. Non è possibile ascoltare una traccia desiderata su Spotify, a meno che non si ricorra ad un abbonamento. É consentito solo uno shuffle casuale, che generalmente verte sui pezzi più ascoltati. È la logica da social network, secondo cui solo i pezzi più popolari sono quelli che hanno diritto alle luci della ribalta. Io credevo che fosse finita qui, ma non è così. Spesso lo streaming del gruppo che avete scelto può essere interrotto per dare spazio ad un singolo dell'artista più noto del momento: una soluzione alternativa alla pubblicità, o un insulto vero e proprio?
  3. Spotify ha letteralmente ucciso il mercato dei lettori mp3 e degli iPod, troppo poco competitivi sul prezzo rispetto agli smartphone, che offrono possibilità di comprare Gb di streaming su Spotify nella tariffa mensile. E gli allocchi abboccano come se stessero regalando la fica di Belén. Inoltre ha reso la disponibilità di torrent e mp3 in direct download sempre più scarsa, conquistandosi un monopolio di punto in bianco.
  4. Spotify non dà quasi nulla ai musicisti. Si tratta di pochi centesimi ogni centinaio/migliaio di volte che scatta la pubblicità, è un meccanismo che funziona solo per i grandi artisti. Questi spicci vanno però condivisi con il manager, il produttore ed una serie di intermediari, ed alla fine ai pesci piccoli restano solo le briciole. Se volete sostenere un progetto musicale, fate lo sforzo di comprare almeno il cd: in fin dei conti, è quanto paghereste una cena con gli amici (In Italia, all'estero, fortunatamente, i dischi hanno prezzi più competitivi).
  5. Spotify richiede credenziali. E non mi riferisco all'utente. Poter caricare la propria musica su Spotify è un privilegio al quale si può arrivare solo mediante un intermediario adeguato. Se da una parte si possono trovare delle vere e proprie perle che prima erano impossibile da scaricare, dall'altra gli artisti emergenti si vedono sacrificare il meglio del loro repertorio per vedere promosso solo quello appoggiato dall'agenzia di promozione. Sono le agenzie a decidere, non i musicisti.
  6. Spotify è classista. Hai i soldi, nulla cambia, anzi forse ci guadagni qualcosa. Non hai soldi: resti indietro. Le novità usciranno su Spotify. Accetta compromessi come la pubblicità o resta fuori.
  7. Spotify non ha tutto! Mancano dei veri e propri classiconi! Alcuni cataloghi di artisti come, ad esempio, i Funkadelic, sono privi di alcuni capitoli fondamentali. Youtube è decisamente più fornito. Per certi versi, anche il caro vecchio Grooveshark lo è.

Dopo mesi di sperimentazione del programma (e del progetto) Spotify nelle sue versioni differenti (smartphone, programma per windows e Spotify Web Player) siamo giunti alla conclusione che sia il caso di intervenire.
 Nei prossimi giorni scriveremo alcuni post in cui forniremo gli strumenti adatti ad un hacking emancipatorio o, per i meno arditi, cyberformule che perlomeno aiutino a rimuovere gli spot pubblicitari.
A presto, restate sintonizzati (ma non su Spotify!)

lunedì 23 febbraio 2015

#2 Maniaxxx - Exorcizm



 Splash! Bang! Vroom!
Why Plastic Swans Should Have No Dream? pt One
Galaxy Express
Moose Teens
Ted
Powaqa
Why Plastic Swans Should Have No Dream? pt Two
Waves In A Black Cofee
Tropical Death



Continua la saga “tribale” dei Maniaxxx, dallo sciamanismo all'esorcismo. E ce n'era bisogno, perché ora che i rituali quotidiani oscillano tra smartphone, spippolamenti su uassap, selfie & minchiate variæ, forse la cosa migliore da fare è regredire ad uno stadio più ancestrale e sostituire le nuove abitudini con i vecchi riti.
Vi chiederete, infatti, che cosa c'entrino in questa piccola classifica di emergenti torinesi i Maniaxxx. Prima di gente come Johnny Fishborn, che sembra essere stato il fenomeno italiano dell'anno precedente, dei Rouse Project di Esma e dei Circle, anch'essi ritratti dalla stampa (ma di questo abbiamo già avuto modo di parlare) come se fossero i nuovi Alt J italiani. Fatevi questa domanda, o forse fareste meglio a passare dalle parole ai fatti ed a correre ad ascoltare la musica di questi cinque pazzoidi.
Il motivo per cui premio così tanto la proposta dei Maniaxxx è da ricercarsi nel fatto che non suonano proprio nulla di nuovo, ma la loro musica ricorda un cocktail irresistibile fatto di Beach Boys, alcool e metanfetamine.

Pubblicare un album come il loro, investire quanto hanno investito loro in un disco del genere, ai giorni nostri, richiede coraggio. Quando ti affacci al mondo musicale con una proposta di questo tipo, generalmente ti sputano in faccia, ti recensiscono malissimo, ti bandiscono dai concorsi e così alla fine ti ritrovi a suonare qualche cagata alla Coldplay perché, in un modo o nell'altro, la psichedelia ce l'hai nel cuore e del delay non riesci proprio a fare a meno. I Maniaxxx, invece, hanno tirato dritto fino ad adesso, eretto tergiscristalli adatti per ripararsi dagli scaracchi e si sono messi faticosamente all'opera, regalandoci un esordio che sa di ascelle sudate quanto una classe delle medie dopo l'ora di educazione fisica. Tralasciando il fatto che questi ragazzi partono comunque avvantaggiati, perché nel loro genere ci sguazzo, la loro proposta musicale resta indiscutibilmente affascinante. Anche dal punto di vista estetico.


Exorcizm è un album ribelle, fatto di recuperi garage (13th Floors Elevators, Chocolate Watchband per intenderci), urla adolescenziali, caos (Splash! Bang! Wroom!, Galaxy Express), momenti tarantiniani (Moose Teens) e giri di accordi tanto scontati da risultare quasi ridicoli (Moose Teens, Powaqa, Ted) ma non per questo meno irresistibili.

 
Quello che hanno capito i Maniaxxx, ed a cui hanno rinunciato la maggior parte delle band del momento, troppo fissate con l'indie-new wave, tutto forma e niente sostanza, è che in una canzone quello che conta è la passione che ci metti. Un buon pezzo è fatto di intuizione e nel migliore casi rappresenta la trasposizione di un sentimento, o di un impulso, in una melodia o in un ritmo: tutto il resto sono menate da tecnici del suono. 
Il rock maniaxxxcale è un grido contro la morte, un inno alla gioventù come forza vitale, a Dioniso in senso nietzschiano ed a tutte le feste orgiastiche. Per questo motivo spacca così tanto il culo, suona come un implicito invito/ordine a svegliarsi e a vivere, senza guardarsi indietro, evitando i rimpianti, gettandosi nella prima cosa sottomano a cui valga la pena di aggrapparsi per dare un senso alla nostra caduca e miserabile esistenza. L'intro dell'album, scandita da cambi di tempo tanto improbabili da ricordare certe soluzioni di Zorn o dei Mr Bungle, è un vero e proprio capolavoro che passerà inaspettato, come sempre succede, alla critica ed ai fan, ma è la miglior apertura che potessi aspettarmi da un disco di questo tipo.

Il buon musicista sa che è meglio non strafare, e forse possiamo definire i Maniaxxx come dei buoni musicisti in questo senso, perché, nonostante la loro frenesia, i titoli improbabili (Why Plastic Swans Should Have No Dreams?), le loro composizioni sono tanto semplici e caotiche che al tempo stesso elegantemente studiate in modo da evitare di generare strutture ridondanti o noiose. Exorcizm si può apparentemente presentare come un insieme improbabile di canzonette, ma in realtà pesca a piene mani dalle migliori muse che si possono avere di questi tempi: Queens Of The Stone Age, Sonic Youth, Nick Cave, Flaming Lips, Steppenwolf, ritagliandone solo le idee essenziali per arricchire un sound forse non troppo originale ma inequivocabilmente fresco, asciutto ed efficace.
I pezzi scorrono nel mangianastri come un flusso inesorabile e senza controllo, al quale è impossibile sottrarsi, che scansa senza difficoltà gli ostacoli della noia o della monotonia. Anche i momenti più lenti (Waves In A Black Coffee, Ted) sono in delicato, per quanto intuitivo nell'approccio adolescenzial-tribale, equilibrio tra psichedelia e melodia, drammaticità ed ironia.
Insomma, se siete familiari col genere, e vi piace, non esitate ad ascoltare questo piccolo cofanetto. Se vi danno fastidio i feedback e preferite le pizzose strutture ABAB o ABBA, invece, guardate pure cos'hanno da offrire i gradini inferiori di questa classifica.
Per quanto mi riguarda, di questo disco s'è parlato fin troppo. Adesso accendiamo un falò, spariamo questa musica a tutto volume e cominciamo a danzare sorseggiando una ciotola di amaro ayahuasca.
L'unica pecca di questo disco? 29 minuti sono un po' pochini. Ho ascoltato ep più lunghi.

VOTO: 70

Luigi Gritella – Voce e chitarra 
Matteo Givone – Chitarra e voce 
Alain Porliod – Basso e voce 
Francesco Musso – Batteria e percussioni 
Andrea Laface – Chitarra e voce.

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#3 Johnny Fishborn - Windmill Girl

L'articolo desiderato è stato rimosso.

A causa di un rinnovo redazionale, e della conseguente ridistribuzione in merito alle singole facoltà decisionale degli individui, questa blog e le persone in esse coinvolte intendono dissociarsi da eventuali atteggiamenti o prese di posizione basate su coinvolgimenti personali da parte degli autori dell'articoli.
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La redazione Bangszine

giovedì 5 febbraio 2015

Guida ragionata ai concerti dei Marta Sui Tubi


Ve li ricordate i Marta Sui Tubi
Ricordavate la ragazza che vi ossessionava al liceo? Probabilmente era fissata coi Marta Sui Tubi. 
Ricordavate la ragazza che vi ossessionava i primi anni di università, ma che vi sembrava così dannatamente inarrivabile a causa quei discorsi inconcludenti da intellettualoide? Quella ragazza, 90%, ascoltava i Marta Sui Tubi. 
Ricordavate quella ragazza che durante il viaggio in vacanza era l'unica ad avere portato la musica da sentire in macchina, ma era fissata coi gruppi indie folk, gli Stato Sociale ed i NoBraino? Anche quella ragazza ascoltava i Marta Sui Tubi.
Ed ecco quindi che, per molteplici ragioni, ma principalmente per via di quel triangolino che, se Aristotele lo chiamava "motore immobile del mondo" e Pitagora tetrakis, il resto del mondo lo chiama FICA, avete finito irrimediabilmente per odiare i Marta sui Tubi. 

Ho cominciato ad ascoltare i Marta Sui Tubi nel 2005. Al tempo avevamo una copia masterizzata di C'è Gente Che Deve Dormire, con una copertina a colori stampata in casa e che per qualche motivo credevo avessero stampato i Marta Sui Tubi stessi (al tempo erano poco di più che un gruppettino esordiente).
Ero abbastanza piccolo al tempo, ma precocemente onnivoro (avevo cominciato ad ascoltare seriamente i Pink Floyd ed i Velvet Underground, ma conoscevo già anche i Count Five), e ricordo che già ad un primo ascolto la band mi colpì per il suo sound fresco e per la forza espressiva dei testi.
Più tardi, all'incirca nel 2008, ebbi una relazione a distanza con una ragazza con una forte bipolarità sessuale – per intenderci, Lei era il risultato di equilibrio/conflitto tra una ninfomane ed una monaca tormentata – che mi fece (ri)scoprire Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz e, soprattutto, i Marta Sui Tubi.
La nostra relazione era costellata e scandita, dai versi di quelle band e fu proprio il forte legame con quei frammenti che mi portò a rivalutare fortemente la musica e la scena indie italiana. Più di ogni altro gruppo, ricordo che i versi che fluivano negli SMS e sullo schermo di MSN erano quelli dei Marta Sui Tubi.
Una volta Lei mi scrisse un SMS con il testo integrale di una canzone dei Marta Sui Tubi. Non ascoltai mai quella canzone e so che non c'è da andarne fiero. D'altronde ero innamoratissimo, ma proprio non ce la facevo ad andare a cercarmi la canzone ed il rispettivo disco. Mentre le altre band italiane cominciavano a farsi strada nel mio iPod, innamorarmi dei Marta Sui Tubi mi risultava troppo difficile. I Verdena mi davano quella carica di cui avevo bisogno, gli Afterhours avevano quelle intuizioni geniali che mi tranquillizzavano, i Marlene riuscivano a mescolare rabbia e poesia in un modo unico, ma i Marta Sui Tubi...I Marta Sui Tubi non riuscivano a fare breccia.  Erano sì bravi, ma i loro dischi in un modo o nell'altro finivano (e finiscono) irrimediabilmente per annoiarmi. Ascoltarli richiede impegno ed una canzone, per poter essere ascoltata sovrappensiero, bisogna conoscerla bene. Ascoltavo solo L'Abbandono.


Sarà che forse a volte troppa tecnica finisce solo per complicare le cose. Le prodezze vocali, la metrica scaltra, il linguaggio preciso e forbito, le figure retoriche, gli arpeggi, le parti coi controtempi... tutta roba interessante, ma che se non riesce a centrare un genere o una dinamica precisa alla lunga finisce per risultare solo in un esercizio di stile e basta. Meglio se ha un ritmo o da un riff incalzante o ketchy - e dire che io sono uno dai gusti difficili! In un modo o nell'altro, forse per una mia pigrizia personale - per quanto non del tutto indipendente dalla loro proposta artistica - i MST non sono mai riusciti ad appassionarmi. Forse i motivi, in realtà sono stati altri. Forse, in realtà, era sempre il Motore Immobile a decidere al posto mio.
Più tardi, infatti, quando io e quella ragazza ci lasciammo, smisi definitivamente di ascoltare i Marta Sui Tubi.
Poi ricominciai, a causa di un'altra ragazza.
Poi smisi di nuovo.
Poi ricominciai ancora.
La prima volta che mi si presentò l'occasione di sentire i Marta Sui Tubi fu al Traffic Festival di Torino (2013). Ve lo ricordate? Uno schifo! Le Officine Grandi Riparazioni avevano un'acustica pessima e c'era da fare una fila enorme all'entrata che serviva solo a dare una certa esclusività all'evento (come quando si fa la fila al Bunker, NDR). Ricordo che ero seriamente intenzionato a sentire il loro concerto, ma che desistetti a causa del fatto che l'idea di evitare il concerto dei Marta Sui Tubi sembrava proprio l'unica decisione che mettesse d'accordo tutto il mio gruppo d'amici. Mi sorbii un improbabile (ma, non per questo, meno sorprendente di quanto mi aspettassi) spettacolo teatrale di Rezza ed una pessima esibizione degli Afterhours che non riuscirono neanche a tenere il tempo battendo le mani sulla batteria de La Vedova Bianca.


Insomma, quando si tratta di tempi difficili...
Recentemente mi è capitata finalmente l'occasione di poter assistere ad uno show dei Marta Sui Tubi alla Flog e, vi dirò, i Marta Sui Tubi sono tutto tranne che quello che sembrano. Niente roba difficile, niente musicisti antipatici. 12 euro spesi benissimo.
Vi voglio elencare non uno, bensì 8 buoni motivi per andare a sentire un concerto dei Marta Sui Tubi.


#1 Non è roba da intellettualoidi

I Marta Sui Tubi hanno dei testi ben concepiti. Non sono dei testi difficili, sono solo delle liriche molto curate, nel segno di una tradizione assai antica e prestigiosa nella quale l'Italia ha eguali nella storia forse solo in Francia. Giovanni Gulino è un vero e proprio poeta, e la bellezza della sua poesia risiede proprio nel fatto che arriva, e non è roba complessa il cui uso e consumo è riservato a pochi dotti eletti. Alcuni termini un po' desueti possono spaventare a prima vista, ma è quello che raccontano, alla fine, che importa. E le canzoni dei MST nascono da quelle piccole riflessioni che illuminano il nostro quotidiano e che tutti noi, se avessimo un pizzico di talento artistico, potremmo catturare in una poesia e renderle eterne attraverso la musica. Gli intellettualoidi sono solo delle anime misere con la pretesa che la comprensione di concetti astratti o complessi li renda superiori agli altri. Lasciateli nel loro brodo e non fatevi spaventare: sono quelli che ai concerti staranno fermi ed avranno criticare tutto e tutti. Ma al concerto ne vedrete ben pochi. Meno di quanti ve ne aspettiate.

#2 I testi arrivano


I testi dei Marta Sui Tubi a volte possiedono il potenziale di alcuni canzoni di De André, Battisti o Guccini, e cioè quello di entrare nel repertorio quotidiano delle future generazioni. Il problema di canzoni come L'Abbandono e La Spesa è che sono troppo difficili per essere eseguite dal classico musicista di spiaggia, specialmente per quanto riguarda le performance vocali. Durante le performance dei Marta Sui Tubi, sia per l'energia che per la potenza dei testi, s'innesca un legame molto profondo tra la band ed il suo pubblico. C'è chi canta e chi non sa i testi ascolta, ascolta la gente intorno e si chiede perché valga la pena di cantare, riceve, riflette.

#3 Sono simpatici, energici e modesti


Come dicevo, nulla a che vedere con gli intellettualoidi. Coi Marta Sui Tubi potrete incontrare esattamente quell'empatia tipicamente sìcula che si trasforma in un atteggiamento benevolento e disinteressato nei confronti del prossimo. Gulino è un giullare, Pipitone sembra Hans Magnus Ryan dei Motorpsycho sia per la barba per le movenze che ha sul palco. La differenza è che lui si esalta per degli arpeggi molto più morbidosi e vellutati, e questo me lo fa sembrare ancora più simpatico.
Gulino non se la crede per niente, cede il suo microfono ai fan e conserva un rapporto col pubblico estremamente informale, tanto che a tratti le loro esibizioni sembrano quelle delle band del liceo, quando il cantante incespica nelle pause in cui deve intrattenere il pubblico. Lui fa lo stesso, ma con quella bella autoironia dettata dall'esperienza. Il risultato è che ti senti a casa e quelli sul palco sembrano proprio i tuoi amici. Hanno quell'umanità, quella autenticità che a quanto pare non è stata minimamente intaccata dal successo e sul palco sono grandi, grandissimi, senza necessità di crogiolarsi nel sostrato luccicante che risplende sotto ai riflettori.

#4 Sono bravi!


Nessuno metteva in dubbio la perizia tecnica dei Marta Sui Tubi. Ma avete presente il termine “bravi”? Io non lo uso tanto facilmente. Questi spaccano il culo! La sezione ritmica fa il suo porco dovere, Gulino alla voce si permette tutte le timbriche ed i registri possibili (roca-blues, falsetto, acuti lirici e parlato teatrale dalla dizione perfetta) e non teme assolutamente il confronto in studio, Pipitone, nonostante si muova come uno scalmanato, non si perde nemmeno una nota.

#5 Si poga!

Non ve lo aspettavate, vero? Sono stato sballottato di più ad un concerto dei Marta Sui Tubi che a un concerto degli Afterhours e dei Marlene messi insieme. Credo che questo sia dovuto al rapporto che la band ha col pubblico. In genere il pogo scatta con L'unica Cosa, ma il movimento parte sempre quando il buon esempio, come nei migliori casi, viene dato proprio sul palco.

#6 Il prezzo

I Marta Sui Tubi suonano da dieci anni in giro per il paese e si sono fatti un nome da un pezzo. Il loro merito artistico è indiscusso e riconosciuto da artisti affermati come Bugo, Afterhours o Franco Battiato. Hanno calcato il palco del Primo Maggio ripetute volte. Prezzo del biglietto? Tra gli 8 ed i 12 euro. Quasi il prezzo del concerto della band del vostro amico, se ci pensate. Se vi bevete una birra, alla  fine, spendete lo stesso. Se andate a sentirli in Sicilia, specialmente dalle parti di Marsala, non solo li sentirete gratis, ma avrete probabilmente anche la possibilità di scambiare quattro chiacchiere di persona.


#7 Le ragazze

Niente di meglio che rifarsi gli occhi che un concerto dei Marta Sui Tubi. Potete scegliere tra le liceali, le universitarie fan di vecchia e nuova data oppure, se vi piace la frutta un po' più matura, quelle che erano universitarie ai tempi degli esordi degli MST. A voi la scelta! Se sarete abbastanza convincenti porterete a casa un doppio risultato. Per le donne, purtroppo, la scelta si riduce a pochi eletti.

#8 La vostra ragazza

Se è una fan dei Marta Sui Tubi, andateci. Non importa se li odiate. Questa sera decide lei. Lasciatele fare tutto quello che vuole, vedrete che saprà ricompensarvi a dovere. Avete mai visto la puntata di South Park in cui il padre di Stan porta la moglie a vedere gli spettacoli di Broadway? Qualcosa del genere.
 Se la ragazza non è una fan dei Marta Sui Tubi non importa. Il concerto le piacerà, le canzoni la scalderanno meglio di una cenetta romantica nel ristorante più chic della città.

Ecco qui un elenco delle prossime date! Non perdetevele!