martedì 5 aprile 2016

Retrospettiva sui Nirvana


Il 18 giugno 2015 esce, a nome di  Brent Morgen, il documentario Montage Of Heck. Nonostante l'aspettativa, comprensibilmente alta, di un documentario su una delle vicende personali che hanno maggiormente segnato una generazione, il prodotto cinematografico si dimostra tutto sommato all'altezza, capace, se non altro, di lavare via la delusione lasciata da Last Days (regia di Gus Van Sandt, 2005) e, soprattutto, la polemica complottista avviata da Kurt e Courtney (Nick Broomfield, 1998).



La pellicola, tuttavia, per quanto abbia il merito di riuscire ad inquadrare appieno il personaggio con delle bellissime sequenze animate che danno vita alle memorie tratte direttamente dal suo diario (ormai negli scaffali delle librerie da parecchi anni), presenta il terribile difetto di mantenersi fin troppo legata alle aspettative di un pubblico di massa, privilegiando sfacciatamente il gossip familiare rispetto a quelle legate alla scena musicale di Seattle. In questo modo, mantenendo furbescamente le distanze da qualsiasi tipo di giudizio verso la tragedia che ha scosso una intera generazione, si ha un po' la sensazione che dei Nirvana, tutto sommato, si dica poco e niente. In seguito alla pubblicazione del documentario, come a conferma dell'intento lucrativo del progetto, la Universal ha annunciato in grande stile la pubblicazione del "primo disco da solista" di Kurt Cobain intitolato, appunto, Montage Of Heck - The Home Recordings


L'album, pubblicato persino in versione deluxe e con un artork di tutto rispetto, è una raccolta delle registrazioni di peggior qualità mai realizzate da Kobain. Si tratta di sprazzi di idee, demo di demo, realizzate artigianalmente, in qualsiasi situazione, con i pochi strumenti a disposizione. I nastri, di per sé fondamentali per dare forza espressiva al documentario, proprio per il loro valore prettamente intimo e biografico, su disco risultano assolutamente inascoltabili. Cacofonici, impubblicabili per definizione, parte di essi era già stata distribuita, in maniera gratuita, per il piacere esclusivo di quei fan abbastanza sfegatati da avere la pazienza di ascoltarli: quelli a cui non erano bastati tutti i bootleg presenti nei vari archivi: i sei Outcesticide, il triplo cofanetto di With The Lights Out, né le varie bonus track per il ventennale dei quattro album.


A quanto pare, quando gli archivi degli studi sono stati svuotati, i discografici sono andati a cercare direttamente nei cassetti della famiglia. Insomma, a distanza di vent'anni, si può dire che Kurt Cobain sia diventato il nuovo re Mida del rock 'n roll, capace di trasformare in oro qualsiasi cosa su cui abbia messo la mano. Anche la merda. 


Al contrario, sicuramente Kurt Cobain  non avrebbe apprezzato né lo sfarzo con cui viene periodicamente celebrato né l'attaccamento morboso dei media alla sua vicenda personale. Uno degli aspetti emersi dalle varie testimonianze era che detestasse essere messo in ridicolo - del resto lo sareste anche voi, se qualcuno frugasse tra le vostre cose e diffondesse qualcosa che preferivate rimanesse privato o, ancora peggio, di cui normalmente vi vergognereste. Questa operazione commerciale non è che l'ennesima conferma dell'efferratezza dell'industria discografica, la stessa che si autocelebra nel melodramma pop rock di Vinyl e che allo stesso tempo pesca a piene mani, senza alcuno scrupolo, nel passato di una celebrità morta e defunta piuttosto che tirare su nuove, interessanti leve.
Montage Of Heck è, in questo senso, la rivincita dell'industria discografica nei confronti dei Nirvana, di Kurt Cobain e la definitiva conferma che gli anni novanta, con tutta la loro rabbia giovanile ed il risveglio delle coscienze, non sono che un lontano, defunto ricordo.
Una volta vidi al mercato un tizio che vendeva una maglietta di Che Guevara. Al fianco esponeva quella di Mussolini. Vedere Montage Of Heck a fianco di In Utero mi fa lo stesso effetto.

la rivoluzione fa il botto
la rivoluzione diventa popolare
la rivoluzione diventa virale
la rivoluzione è un prodotto commerciale

Il problema è che gli anni passano e la gente poi non solo ci passa sopra, ma dimentica. Comprare la maglietta dei Nirvana diventa come averne una degli Iron Maiden, o di Madonna, o di Rihanna.
Ma gli anni 90 per me che ci sono solo nato e non li ho vissuti, hanno avuto un valore, ed è per questo che vorrei prendermi la libertà di ricordare, a tutti quei cretini che penseranno di aver comprato "il disco solista postumo di Kurt Cobain, il tipo più bello e fico del secolo", perché i Nirvana sono stati e sono tuttora una band fondamentale, che ha rotto gli schemi, grazie a quella genialità che, più che con un talento vero e proprio, ha a che vedere con la capacità di sfruttarne la mancanza.
Nel 2014, a 20 anni precisi dalla morte di Kurt Cobain, i Nirvana entrano a far parte della  Rock And Roll Hall Of Fame. Sul sito ufficiale, vengono rappresentati con questa foto:


Ossia, come Tre Cazzoni.

Il che, in realtà, è il modo più adeguato per ricordarli. Questa foto non potrebbe essere il modo di migliore per ricordarli, perché non credo assolutamente che Dave Grohl e soci desidererebbero altrimenti.
 Facciamo un salto indietro nel tempo.
1992. Questi tre "cazzoni", come li abbiamo appena chiamati, sbucati dal nulla un anno prima, hanno venduto così tante copie col primo album realizzato in uno studio decente (Nevermind) da rubare il podio a Michael Jackson, che da allora non diventerà che uno squallido ricordo di sé stesso. Nevermind, ad oggi, ha venduto circa 27 milioni di copie.
Kris Novoselic, un bassista pescato chissà dove, che probabilmente non avrebbe potuto suonare in un'altra band in vita sua, Dave Grohl, batterista in erba con un mare di idee nel cassetto, Kurt Cobain, un artista squattrinato e vagabondo, probabilmente dipolare, ascoltatore onnivoro con la passione per il punk. Un album già all'attivo di cui non si ricordava quasi nessuno, tre accordi, usando tre pedali economici, una testata Marshall e grida come se non ci fosse un domani.
Un tocco di postproduzione da parte di un paio di esperti del settore (tra cui, va ricordata la mano pesantissima di Butch Vig, che fece storcere il naso alla band) ed il gioco è fatto: i Nirvana portano nel pop quello che a Seattle stava succedendo dal 1985.
A differenza di Jackson, però, i Nirvana sembra quasi che non riescano proprio a rendersi conto del proprio, inaspettato successo (divertente, a questo proposito, la nota diatriba coi Guns 'N Roses).  Pur essendo musicisti appena accettabili, uniscono critica e pubblico, in barba a tutti i canoni estetici dell'industria musicale (ivi compreso l'uso professionale del click, secondo cui un pezzo pop od un pezzo punk generalmente presenta gli stessi bpm dall'inizio alla fine del pezzo). La loro influenza è tale che di lì a poco, sarà la moda ed i modi ad abituarsi ai Nirvana e non viceversa, ed artisti come Soundgarden, Pearl Jam ed Alice In Chains diventeranno il nuovo punto di riferimento dell'alternative mondiale, suonando per migliaia di ragazzini coi capelli lunghi e la camicia di flanella.
I Nirvana tendono ad ironizzare sul proprio ruolo generazionale, rifiutano le interviste, le cerimonie come gli Awards e lo stile di vita da sogno americano.
A conferma di questo atteggiamento il trio, a due anni distanza, sotto i riflettori di tutto il mondo, si lascia alle spalle la produzione fin troppo laccata di Butch Vig e si reca da un vero guru del noize, Steve Albini, produttore, già all'epoca, di band come Jesus Lizard, Slint e Jon Spencer Blues Explosions, vero e proprio rappresentate della scena musicale a cui i Nirvana realmente appartengono. Questi, che aveva definito i Nirvana "i R.E.M. con un fuzz tra le mani", inizialmente rifiuta, ma poi si rende conto che, tutto sommato, sono tre ragazzi esattamente identici agli sfigati a cui è abituato a fare incidere dei dischi "lampo" (cioè, in non più di tre giorni di registrazioni), secondo il suo modus operandi. L'album, intitolato In Utero, è così più duro e cupo del precedente da presentare le istruzioni per l'ascolto.


Per quanto se ne dica di Nevermind, In Utero è e rimane il massimo apice creativo dei Nirvana. Lasciati da parte gli impulsi adolescenziali, i testi scritti all'ultimo momento lasciano spazio alle riflessioni del cantante sulla vita fatta negli ultimi anni, rivelando un talento fino a quel momento rimasto nascosto. Il punkrocker si mette a nudo e diventa poeta, mostrando la visione autoironica (I think I'm dumb/maybe just happy - Dumb) e disillusa (Teenage angst had paid off well/now I'm bored and old - Serve The Servants) sulla propria esperienza da rockstar (What Is Wrong With Me? - Radio Friendly Unit Shifter) e ponendosi le prime, irrisolte domande sul proprio futuro (What else should I write? [..]/What Else Should I Be? - All Apologies).
 Trainati dalla bellissima Heart Shaped Box, i Nirvana restano in testa alle classifiche.

A questo punto Kurt Cobain ha circa 26 anni ed ha tutto quello che si possa desiderare. Una bella moglie (anche se un po' eroinomane), la ricchezza, la soddisfazione di aver realizzato il proprio sogno senza cedere a compromessi - questo anche grazie alla sua straordinaria bellezza, che lo rende un idolo delle teenager. Potrebbe ritirarsi e vivere di rendita, ma dentro di sé non è affatto felice.
Dieci anni di musica come mezzo di evasione da una famiglia un po' limitata, che invece di affrontare le stranezze del ragazzo lo ha visto come una patata bollente da rimbalzare da un parente all'altro, hanno fatto sì che quelli - e vorrei mettere l'accento su questo punto - che sono tutto sommato dei normali problemi in adolescenza, almeno per la stragrande maggioranza dei ragazzi americani cresciuti in una famiglia di periferia un po' bigotta, non siano stati affatto superati. Invece dell'affetto e del supporto di una famiglia, Kurt ha trovato conforto nell'attaccamento verso le fidanzate, la band, la pittura, il successo e l'eroina.
Ha ragione Keith Richards quando sostiene:


che la morte di Kurt Cobain non è una tragedia generazionale poiché che la gente si è sempre suicidata nel silenzio generale. D'altronde, è anche vero che molta gente che convive con problemi molto più profondi e trova comunque la maniera di sorridere. Evidenziare il carattere estremamente privato di questa tragedia è a dir poco cruciale. Kurt Cobain non è l'ennesima persona che è stata sconfitta dal successo o dallo star business, ma un insicuro che è stato divorato da una, tutto sommato, banale storia di difficoltà familiare e che si è cacciato in un turbine autodistruttivo grazie alla spinta propulsiva dell'eroina - in cui, inizialmente, aveva trovato conforto.
Per quanto il dibattito intergenerazionale tenda a definirlo tale, Kurt Cobain non era né un'idiota, né uno squilibrato, né un depresso, né un tossico. Guardatevi pure i concerti del 1994: non era una favola, ma non stava nemmeno così male. Se volete farvi un'idea di cosa poteva essere un musicista tossico, andatevi a cercare qualche video di Frusciante di quel periodo!


Allo stesso tempo, non è neanche giusto parlare di lui come se fosse semplicemente una pussy, una miserabile checca che si piangeva addosso. La tendenza generale è stata quella di passare troppo facilmente ai giudizi senza soffermarsi sufficientemente sull'età della persona: Kurt Cobain era un ragazzo. Soprattutto, solo un ragazzo, con le proprie, normalissime fragilità. Le pagine tratte dal suo diario mostrano in maniera assai evidente che l'idea del suicidio era un pensiero ricorrente e questo, per quanto abbia generato tanto scalpore mediatico, non ha niente di anormale. Anche il sottoscritto, se rileggesse qualche vecchio diaro, troverebbe facilmente dei contenuti simili. Anzi, è mia opinione che, dopo la masturbazione, l'idea del suicidio premeditato sia la seconda cosa che più accomuna i giovani nel periodo adolescenziale.
I momenti difficili, la sofferenza che ne consegue, sono cose che fanno parte della crescita che è alla base della vita. Cadere in depressione è un problema diffuso. L'autocommiserazione è il baratro che ci aspetta sempre dietro l'angolo ed, una volta dentro, è sufficiente un momento di breve ed intensa follia per non tornare più indietro.

Quello che dovrebbe insegnare questa storia a noi tutti, invece di tirare conclusioni enorme sui Nirvana, o sulle possibili turbe psichiche di Kurt Cobain, o sugli anni 90 in generale, l'industria musicale o la Generazione X, è di fare caso a quanto queste tragedie siano alla questione del giorno. Il problema del suicidio è che il gesto in sé esercita un enorme fascino, alimentato per lo più dalla suggestione del senso di colpa. Nel caso dei Nirvana, l'attenzione mediatica ha generato un mito generazionale, col pericolo di generare degli emuli ed il risultato di depositare un'ombra indelebile sull'ultima grande band in grado di imporre le proprie regole all'industria discografica.
Che senso ha, quindi, unirci al dibattito interminabile che è durato circa vent'anni e che ha visto il susseguirsi un giro di accuse senza fine? L'unica cosa che possiamo fare è applicarci per le persone per cui possiamo fare veramente qualcosa, ossia le persone che abbiamo intorno, perché anche loro possono avere qualche preoccupazione che li possa condurre, in un momento di debolezza, a compiere qualche stronzata. Poco conta la nostra opinione in merito alle loro preoccupazioni. L'unica cosa che possiamo tentare di fare è di comportarci bene con loro, cercando di stare loro vicini ed offrirgli il nostro supporto e la nostra comprensione, accettando anche il dolore del fallimento, perché non siamo né santi, né eroi, né abbiamo il potere degli déi. Ma non dobbiamo mai smettere di cercare, perché esiste sempre, la via di uscita.



 --------  Dedicato A Lucia, che non ha avuto la forza
e che era bella come il sole, come lo era Kurt