sabato 25 novembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #5 Manuel Agnelli & Levante

Fino ad adesso abbiamo steso citato tre elementi disillusionanti, nei quali, ad ogni modo, ancora non veniva messa in discussione la dignità o la coerenza della proposta artistica.
Facciamo un recap veloce.
#8 - La rivelazione che i dubbi nutriti per una band formata da amici siano in realtà fondati (The Circle).
#7 - La conferma che uno dei fenomeni musicali più interessanti e da cui ti aspettavi di più lamenti dei seri limiti sia come musicista sia come esecutore (Motta).
#6 L'amara verità che anche il musicista o l'artista più valido di questo mondo non va da nessuna parte senza un po' di fortuna, coincidenze e mezzi appropriati (/handlogic)

Oggi cominciamo a mettere sul piatto dei personaggi le cui scelte hanno messo in discussione la loro integrità artistica (e morale), dividendo il loro pubblico ma generando benefici su una scala più ampia.
Parliamo pertanto de

Le più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #7 Manuel Agnelli e Levante
ossia
"Come vendere l'anima al diavolo per sconfiggerlo"


Sappiamo tutti la storia. Questi sono Manuel Agnelli e Levante in una foto scattata questo mese. Dietro di loro, dipinti dal neon blu degli studi della sede di Milano (?) che mette in risalto la camica-vestaglia di Manuel Agnelli, gli appassionati partecipanti delle finte dirette di X-Factor.
Adesso torniamo indietro di una ventina d'anni.


Siamo nel 1997. è appena uscito Hai Paura Del Buio, pietra miliare del rock alternativo italiano. La creatura di Manuel Agnelli sono gli Afterhours. Assieme ai Verdena, rappresentano la risposta italiana ai Nirvana ed all'esplosione grunge che ha preso piede oltreoceano, in cui, nello stesso periodo, il mercato è letteralmente invaso di musica alternativa. Nello stesso periodo sono usciti l'album omonimo degli Alice In Chains, Down On The Upside dei Soundgarden, Tiny Music... Songs from the Vatican Gift Shop dei Sound Temple Pilots, No Code dei Pearl Jam ed Evil Empire dei Rage Against The Machine.
I primissimi Verdena - non quelli del primo disco - sono di fatto sono la copia sputata dei Nirvana con dei testi italiani messi su a caso, e l'attitudine grunge si riflette sostanzialmente nella produzione low-fi, nell'azzeccata similitudine tra il malessere che può indurre la provincia bergamasca e la periferia di Seattle, e nel fatto che c'è di mezzo l'adolescenza ancora tutta da vivere (Luca, il batterista, all'epoca della demo ha solo 14 anni).


Gli Afterhours, invece, sono già degli adulti (Manuel ha qualche mese in più di Kobain) e la maturità compositiva è dietro l'angolo. La loro proposta musicale non è una istitiva riproduzione copia carbone dei Nirvana, non hanno nemmeno né il timbro vocale né a fisicità adeguata (che è invece il caso dei Verdena). La loro è una rielaborazione del linguaggio grunge, ma in chiave profondamente italiana, con una veste cantaturoiale, un tocco personalissimo negli arrangiamenti e nella produzione, che fa da veicolo ad un messaggio forte: la lotta per la libertà d'espressione, l'insofferenza verso la crescente standardizzazione delle mode giovanili - dimostrando, peraltro, una grande lucidità di previsione - la finale presa di coscienza che l'eredità borghese è una realtà, che i sogni di libertà giovanili sono un grido contro mulini a vento, che dentro il Sistema ci cresci, ci vivi e ci muori, sei parte di esso e delle sue contraddizioni, dei suoi preconcetti.
Eccoli quindi a cantare "Porco Cristo offenditi / C'è una dote che non hai / Non è chiaro se ci sei / Sei borghese arrenditi / gli architetti sono qua / hanno in mano la città", vestiti da bambine, come insegna il buon vecchio Kurt, durante il tour di Hai Paura Del Buio.

Manuel Agnelli si era già fatto vessillo dell'alternative italiano fin dai primi anni 90, quando prese parte al progetto Vox Pop, che produsse Africa Unite, Ritmo Tribale, Prozac + e Casino Royale, tra gli altri) e continuò a farlo per mestiere per anni. Fu uno dei primi a portare questo tipo di discorso musicale dentro alla lingua italiana, con Germi nel 1995. Sua fu la produzione del secondo disco dei Verdena (il primo ad avere dei testi comprensibili, Solo Un Grande Sasso), sua l'idea del Tora Tora!, il nuovo festival alternativo italiano itinerante. Dopo un paio una manciata di buoni dischi, un po' di alti e bassi, un tour in america nei piccoli club, sbuca la prima partecipazione a Sanremo. Anche qui, la band milanese fa da apripista alle altre. Si piazzano penultimi ma vincono il premio della critica. Dopo di loro, ci proveranno anche i Marlene Kuntz ed i Bluvertigo, ma con risultati molto meno incisivi.
Segue un periodo di silenzio da cui la band sembra emergere dalle ceneri con la pubblicazione di Padania ed una stupenda riedizione del 2014 di Hai Paura Del Buio con la partecipazione di un panorama di ospiti internazionali (e nazionali, ovviamente) che conferma la reputazione del gruppo (Afghan Whigs, Mark Lanegan, Nic Cester (Jet) e Damo Suzuki (Can). Dopo un tour nei teatri, che ha portato finalmente all'abbandono del batterista, la band è tornata in formissima con Folfiri e Forflox, un disco che ha confermato il talento compositivo di Agnelli che, allo stesso tempo, ha voluto spiazzare tutti accettando il posto nella guria di X-Factor.


Per Levante, all'anagrafe Claudia Lagona, classe 1987, è sufficiente tornare indietro di cinque anni.


La ritroviamo in questa foto dal sapore spontaneo, 24-25 anni, a mangiarsi le unghie circondata da due elementi ricorrenti nelle case universitarie torinesi: divani vecchi, chitarre ed edizioni illustrate di qualche movimento artistico d'inizio novecento. La foto è stata utilizzata per pubblicizzare la serata Banzai! del giovedì sera presso le Lavanderie Ramone di Torino, organizzata con l'etichetta INRI, con cui Levante ha appena firmato. La cosa interessante è che siamo nel 2012, e la promozione virale del concerto è ancora affidata a terzi, ossia, alla crew di amici video-maker di Esma, che al tempo ancora si contendeva il posto sul podio nel cantautorato torinese.


Con Levante, infatti, il giro si stringe. Probabilmente abbiamo una decina d'amici in comune su facebook, il mio ex bassista ha avuto una relazione lunghissima con sua cugina, nel video di Alfonso compare persino Carola Rovito, cantante dei 10135 (la rosha), il gruppo che io ed i miei amici chiamavamo simpaticamente "diecicentotrentaminchia", non solo per l'incosistenza del nome (v'immaginate se i Litfiba, che sta per "l'italiaFirenzeviade'Bardi, si fossero chiamati 50125?), non solo perché quando comparsero all'inizio facevano assolutamente cagare, ma anche perché Carola non piaceva troppo a nessuno ma ce la volevamo portare a letto tutti lo stesso (detto in termini da bar "la minchia gliela..."avete capito). Uno ce la fece anche. Naturale che le cose andarono diveramente da quanto Esma e la sua crew di "cambiatori di mondo" si prospettassero al tempo. Levante è un'artista. Puoi fare musica di merda, puoi suonare anche Ramazzotti, ma se c'hai quella cosa in più sei un passo avanti agli altri. Basta sentirla parlare per sentire che è una cantante nata. Ha una voce unica ed ha un gran talento compositivo. Riesce a scrivere delle canzoni che suonino classiche e non banali allo stesso tempo, che è una cosa che non ti viene insegnata e che personalmente credo dipenda dalla personalità di chi scrive e non da altro, e riesce a metterci dentro al suo vissuto.
Non da meno, Levante è come il buon pecorino, che migliora stagionando. Basta guardare la meravigliosa trasformazione da Alfonso alla copertina coscialunga dell'ultimo album.



Insomma, un'artista musicale al completo. Brava e pure topa.
Tuttavia, a me sembra evidente, dalle scelte stilistiche che hanno accompagnato la sua carriera in questi tre album, la volontà di insersi sempre di più nel panorama musicale a fianco di Irene Grandi, Carmen Consoli e, ahimé, persino Cristina Amoroso, lasciando da parte quegli aspetti che all'inizio l'avrebbero potuta accomunare, nella fase iniziale della sua carriera, ad una Maria Antonietta.
La salva sempre la qualità inecepibile dei testi. Il discorso è che qui il giro di boa sembra essere già passato da un po', anche se, confrontando la sua carriera con quella di Agnelli, si sarebbe tranquillamente potuto aspettare ancora non dico un decennio, ma almeno un lustro per imporre questo tipo di svolta stilistica.


Levante è e rimane un'artista con del talento straordinario. Anche Carmen Consoli lo è, ma nessuno dei suoi dischi fino ad adesso è riuscito ad appassionarmi. Neanche quello "grunge" (Mediamente Isterica), che trovo troppo levigato, abitutato come sono all'orecchio del "cantautorato" di Agnelli e Ferrari. Consoli è un'artista che è riuscita sì a portare un discorso diverso nel panorama pop italiano, ma che non è mai riuscita ad imporsi sulla produzione (un po' la fine che ha fatto Courtney Barnett negli U.S.A., che è uscita dagli studios con un chitarrista in più e dei booster al posto dei fuzz). La rispetto come musicista, ma i suoi dischi non mi arrivano. Per Levante mi sembra un caso diverso, mi sembra che lei, in questo momento, voglia sperimentare delle sonorità che a me non piacciono che, io, come compositore, non sceglierei semplicemente per un fattore estetico: le trovo brutte.


E qui dal giro di boa si arriva alla linea del traguardo. Eliminata, anzi, Bocciata l'ignorante Arisa, simbolo dell'italianità media,
della cocciutaggine di chi non sa e pretende di saperne più degli altri,
dell'arroganza ignorante  di chi pretende di non solo fare da giudice ad artisti esordienti ma
dell'ignoranza arrogante di chi, davanti a milioni di telespettatori, lo fa (la giudice) non conoscendo nemmeno l'opera degli artisti che sono sulla cresta dell'onda nello stesso preciso momento,
come James Bay
eliminata lei, ecco che c'è un post da giudice vacante.
Bocciato anche Alvaro Soler, che ha dato prova di essere l'ennesimo ragazzo arrivato al successo per l'aspetto e non per il talento, assolutamente inadeguato come guida e mentore artistico, la prima persona in assoluto ad avere vinto il talent con una band ripescata, i Soul System, che è arrivata alla fase live solo grazie al ritiro da parte dei Jarvis. Dopo l'edizione Soler si è criogienizzato, probabilmente verra scongelato la prossima estate per un duetto con Enrique Iglesias.

Ecco che quindi i posti vacanti diventano due.
La Sony-Intesa San Paolo-Sky richiama in formazione la Maionchi, che nel frattempo aveva avviato insieme al buon vecchio Elio l'avventura sorprendente dello Strafactor, un'idea a dir poco brillante, un vero e proprio contest a presa di culo che vede protagonista i candidati più improbabili delle varie edizioni del talent.


Resta quindi da fare una decisione importante. Se mettere il posto vacante nelle mani di un'altra rappresentante dell'italietta, che possa fare il mestiere della casa discografica spingendo avanti candidati vendibili e facilmente sacrificabili, senza assolutamente nulla da dire, che possano di fatto piacere al grande (quello che non capisce un cazzo) o se fare la scommessa su un pubblico giovane e diverso e guadagnarsi una nuova fetta di pubblico. Ecco quindi che entra in gioco Levante, sempre giovane come Soler, ma di tutt'altra caratura.
Perché, diciamocelo, forse è Levante la vera novità della trasmissione.
Agnelli lo era per la reputazione da combattente che si è fatto nel corso della sua carriera, ma non dimentichiamoci che prima di lui c'era nientedimeno di Morgan.


Un personaggio che, per quanto risulti controverso, ha messo in piedi una carriera personale forse addirittura più coerente di quella di Agnelli. In un certo senso ha fatto scelte maggiormente destinate al grande mercato ma, artisticamente parlando, ha rischiato molto di più. Morgan non ha mai fatto uscire un album bello ma pur sempre da atterraggio facile come Padania e coi suoi Bluvertigo ha pubblicato un disco più bello dell'altro, mettendo anche in gioco una competenza musicale che ad Agnelli, e a tanti altri, resta preclusa. Morgan, prima di essere un personaggio o un'artista, è un Musicista con la M maiuscola.


Con Agnelli e Levante in contemporanea, invece, la voce del programma è affidata al 50% alla scena "alternativa" e all'altro 50 è rappresentato dalla big label, dai produttori.

A questo punto diventa difficile soppesare le scelte della coppia.
La loro presenza nel talent, oltre a dimostrare che il pubblico vuole essere stimolato e non solo accontentato, ha spostato l'asse delle discussioni su un altro piano. Le scorse edizioni sono state caratterizzate dalla caccia alla voce fenomeno, adesso personalità e tecnicismi sullo strumento sembrano essere all'ordine del giorno. Mettere in gioco grandi nomi e grandi successi sembra non essere sufficiente a passare il turno (vedi la fine della povera Camille Cabaltera) ed, invece, la scelta di puntare al raccoglimento interiore, senza artici retorici, esprimendosi in italiano, viene puntualmente premiata. Per la prima volta si è persino parlato di scale armoniche. Come nella scorsa edizione Manuel demoliva i vibrati, gli acuti e tutti i tecnicimi eccessivi, in questa sono stati presi di mira la pentatonica di Nigiotti e il dilettantistico tentativo di tapping dei ROS.

(pessima prova, suoni di chitarra inascoltabili)




Immaginatevi il fan di Pausini, Ramazzotti, Vasco e Ligabue che sente improvvisamente parlare di queste cose alla televisione e, non capendo, è costretto a guardarsi due video su internet per capire l'argomento.
"Papà, che cos'è un tapping?" "Non lo so, figliolo, lo sai che dicono cose strane solo per darsi importanza". Ma intanto hanno sentito la parola. Qualcuno indagherà. è già un inizio.

Insomma, si può dire sicuramente che la loro presenza abbia innalzato il livello culturale della trasmissione.
Si può dire, volendo, anche che hanno fatto una scelta importante, che li espone mediaticamente ma che allo stesso dà voce ad un movimento che esiste e che non ha modo di esprimersi: almeno, non con la portata del grande pubblico di X-Factor.
Si tratta del cosiddetto "ritorno del capitalismo":
Io, Mc Donalds, sono cattivo, ma ho visto che posso attirare consumatori se faccio iniziative di beneficienza, allora decido di donare cibo ai negrini con la pancia gonfia. Bum. Una singola donazione del Mc Donalds riesce a coprire un anno di donazioni fatte da un associazione benefica. Poco importa se il direttore generale sia un nazista che la domenica picchia immigrati per sport.
Perché? Perché con un solo gesto fa molto di più di centinaia di militanti, anche di quelli impopolari che passano ogni secondo della loro vita a mettere a giudizio ogni abitudine di familiari, amici e conoscenti. Perché? Perché il Mc Donalds ha delle risorse che una qualsiasi associazione benefica se le scorda.
Questa è anche l'arroganza del capitalismo. Il motivo per cui noi povere formiche non abbiamo potere e troviamo sempre più difficile cambiare il mondo intorno a noi.
Basta la donazione di un singolo filantropo a fare la differenza rispetto a centinaia di migliaia di donatori. Lo stesso vale per la presenza di artisti con il background di Agnelli e Levante a X-Factor.

Ma, allo stesso tempo. non basta.
Non basta che la loro presenza sia lì. Non è nato nessun movimento, per cui la cosa potrebbe essere tranquillamente intesa come una farsa.
Una farsa in cui loro sì, si prenderanno dei bei soldi e si piglieranno le palate di merda come conseguenza della scelta di entrare nel Sistema "cattivo", sì l'avranno fatto anche per noi, per dare voce a noi popolo di musicisti-esordienti senza voce,
però dall'altra parte il gioco continua ad avere le stesse identiche regole.
Poco importa che ci siano Levante, Agnelli o Riccardo Salvini degli Indianizer a fare parte della giuria, la carriera di quegli artisti sarà irrimediabilmente condizionata dalle pesanti condizioni contrattuali imposte dalla Sony, che prevede un contratto da 5 anni o da 5 dischi sulla grande distribuzione - per niente facile da sostenere per un esordiente senza veramente tanti, tanti assi nella manica.
Gli unici che ce l'hanno fatta, fino ad adesso, sono Giusy Ferreri, Marco Carta, Noemi e pochi altri che hanno solo una cosa in comune: fanno della musica vomitevole.

I Soul System, ad esempio, hanno venduto 25mila copie del loro primo singolo, She's Like A Star.
Un risultato a mio giudizio incredibile, sicuramente impensabile per loro prima di partecipare al contest, ma troppo risicato per la posizione da big thing in cui si sono ritrovate dopo la vittoria.
I simpatici Soul System si ritroveranno tra cinque anni senza una lira, prosciugati da condizioni contrattuali che porteranno via anche la parte migliore del loro sogno, e con un età media - e, purtroppo, un colore della pelle, nonostante il forte accento veneto - che renderà assai difficile la possibilità di reinserirsi sul mercato del lavoro.
Il fatto è che il pubblico che segue Agnelli e Levante su X-Factor, come me, non vota.
Non facciamo una gran differenza, e sicuramente non in termini numerici. Finché non arriverà un cambio di paradigma più ampio, che porterà ad una rivoluzione culturale, questi fenomeni isolati rappresenteranno poco più che iniziative di marketing per rinnovare di anno in anno l'interesse per una trasmissione in cui lo scontro ideologico attira l'attenzione.
Agnelli e Levante forse non sono lì per noi.
Forse sono solo lì per dare voce ad un'altra, più profonda ed amara verità:
che come musicisti non si campa, e che un'occasione in TV, per quanto difficile possa sembrare scomoda, è un piccolo passo in più verso la pensione.


mercoledì 22 novembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #6 /handlogic

Abbiamo preso di mira i The Circle (#8), piccoli artisti della mistificazione informatica con una carriera che ha marciato intorno ad un paragone col successo dei Coldplay su La Stampa, e Motta (#7), ennesima cospirazione indie, ennesima dimostrazione di una la critica solo presuntamente "di nicchia", che maschera in realtà un ammasso di pecoroni che corrono dietro al fenomeno di turno.
Una critica incapace di soppesare talenti e limiti, incapace di dare un peso specifico alle dichiarazioni degli artisti in questione, perché di Artisti si parla, ed un'artista viene giustificato in quanto tale a dire quello che gli pare (o NO?): insomma, incapace di fare del La Critica.
E critica è quello che stiamo facendo, e quello che stiamo continuando a fare. Qui, ora ed Oggi.
Per cui vi preannunZio che l'articolo di oggi parla di una band che mi piace bensì più di Motta, bensì più della Mia, bensì molto di più di tanta roba che compare sul panorama internazionale ed, anche se in parte mi sento un po' un coglione a scrivere questo articolo, è con questo dolore che mi costringo a chiamare in causa gli

/handlogic
#6 - Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017

ossia
"Come lanciare una carriera grazie ad un caso di omonimia"



Qualcuno ha detto "belli e bravi".
Belli sicuramente- Non in questa foto, d'impatto per ragioni stilistiche ma ne ho viste altre che rendono maggiormente merito ai loro volti.
Però una cosa si può dire. BRAVI.
BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI
anzi forse è più giusto dire
BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI BRAVI

 

Vi chiederete che cosa ci fanno qui. Ma voglio prendermi un po' di tempo prima di arrivare al punto. La mia delusione deriva dal fatto che questo quintetto (ad oggi quartetto a seguito dell'uscita di Vieri Cervelli) è tanto bravo quanto fortunato. Non so se si tratti di sincerità o di sincera invidia, ma io quando avevo 21 anni ero all'apice della mia creatività, ero costantemente sotto esercizio, ed ho avuto una sfiga bestiale che mi ha portato, tra un'amarezza e l'altra, ad aprire anche questo blog. Ora sono sicuramente più consapevole dei miei mezzi, ma fatico a prendere la chitarra in mano la sera, nonostante me lo riprometta ogni giorno da 4 anni a questa parte.
Gli /handlogic sono, invece, esattamente l'opposto, ossia la combinazione fortuita di tre fattori:
Talento, con la T maiuscola
Competenza, con la C due volte maiusCola
Omonimia
Prima di argomentarvi ulteriormente il motivo del mio sconforto, vi voglio dare le motivazioni per cui ritengo che gli /handlogic siano la band italiana dell'anno (e, fidatevi, questo non contraddice la loro presenza in questo lotto).
Ecco i miei motivi per cui li ritengo la band dell'anno:
1) hanno pubblicato un EP d'esordio che, per ricalcare pari pari le parole di Carlo Pastore (Radio 2) è "Pazzesco". E sotto ogni punto di vista. Impeccabile. Dala scelta musicale alle strutture armoniche, dal lavoro di cesello sulla pulizia del suono al format innevato che richiama le stesse "icy vocals" che il gruppo rivendica come tratto peculiare.

2) Si tratta, per la prima volta, di un gruppo che ha messo sul piatto una proposta musicale così credibile, così impeccabile, che la critica non ha potuto fare immediatamente a meno di inchinarsi e non c'è stato meccanismo di "gavetta" o "raccomandazione" - su cui questo Paese sembra, purtroppo, fondarsi - che abbia potuto confinare il fenomeno. Gli /handlogic, hanno, per così dire, piegato il Sistema. è in assoluto il primo caso di cui abbia sentito parlare in cui il pubblico, inclusi gli amici stessi della band, partecipi al concerto perché incuriosito dall'affollamento mediatico dovuto ad una critica musicale in estasi, pur mostrando una non indifferente difficoltà a comprendere la proposta musicale, che di per sé, è tutt'altro che semplice o scontata. Il pubblico, pertanto, è costretto, per così dire, a fare uno sforzo di ascolto, che è un meccanismo che, nella stragrande maggioranza dei casi, non s'innesca mai: una vera manna, per questo Paese!
  Non da meno, un miracolo per una regione musicalmente (e culturalmente, ahimé) chiusa come la Toscana, dove pullulano le cover band, dove persino al Jazz Fringe Festival di Firenze il compito di aprire è stato attribuito ad una fanfara - rigorosamente composta da musicisti locali - che tra una strizzatina d'occhio e l'altra al pubblico si è messa persino a suonare il tema di Despacito (chi c'era se lo ricorderà ridendo, ma io dentro piangevo...)

3) Sono la prima band a cui io devo inchinarmi personalmente, nonostante in questo blog abbia precedentemente guardato dall'alto in basso anche gente considerata ormai un Mostro Sacro (come lo stesso Motta), perché mettono in gioco una conoscenza musicale che non mi appartiene. Fanno un discorso musicale che, in parte, stento a comprendere. Si tratta di una generazione giovane e fresca (mi sembra del '96) che, a fianco ad una conoscenza delle migliori novità in campo di elettronica (e sì facciamo di nuovo i nomi di Thom Yorke e degli Alt J), RNB (James Blake) e rap (Kendrick Lamar su tutti), affianca un'invidiabile preparazione che comprende la formazione classica, l'accademismo di stampo jazz, la passione per il prog-rock degli anni 70 e per le armonie vocali di stampo folk americano. Di fronte a questo tipo di armi, non posso ritrovarmi che spiazzato, perché questi ragazzi hanno degli strumenti che non mi appartengono, e probabilmente non mi apparterrano mai.

 

4) Sono la prima band italiana "nerd", che mette su un piatto un fenomeno globale, quello dell'attitudine di comporre la musica a partire dal computer, portandola solo in fase successiva in sala, che è diffuso in tutto il globo e che forse finora in Italia - produttori e musica elettronica a parte - è rappresentata forse solo da Iosonouncane. La differenza, però, è che Iosonouncane è un "attempato" spippolatore, appassionato più che musicista, e per nulla florido, dal momento che ha messo al mondo 2 ep in più di cinque anni di carriera, mentre questi sono già dei professionisti ed ancora non lo sanno. Per "nerd" si intende inoltre quella dimensione da fissati, appassionati-ossessionati della musica, per le armonie, da cui nasce la meticolosità nel delineare le sequenze armoniche e la cura del dettaglio che contraddistingue la band, anche nel nome ("hand", mano, e "logic", logica).

5) Gli /handlogic sono una band che nasce a tavolino, dalla volontà di mettere il cervello al primo posto, anzi, prima della composizione, così da non avere d'impaccio l'istinto, il grido, il latrato interiore che può anche ostacolare la lucidità necessaria alla composizione stessa. Questo aspetto, pur rimanendo una ben ponderata scelta artistica, forse rappresenta il loro limite, ma potrebbe anche trasformarsi in un pregio in futuro, se gli /handlogic decidessero di colpo di uscire dai loro schemi e ci travolgessero un'altra volta, scombinando completamente le carte.
Ciononostante, è evidente che sia stata proprio la volontà di tagliare tutte le idee di troppo, di semplificare, di ridurre tutto ad una dimensione minimale a rendere il loro EP un piccolo capolavoro. Solo questo approccio - Mogwai ed Alt J insegnano - può permettere di trasformare delle idee complesse in idee "apparentemente" semplici, a conferire personalità inedita, a creare giochi di rimandi che "oltrepassano" la trama musicale stessa.

 

6) Sono una band volutamente anticommerciale in quanto nella stesura compositiva c'è un evidente intenzione di imprimere ritornelli non cantabili, difficili da assimilare e ricordare, che richiamano ai fraseggi jazz nei passaggi di armonia modale.
Ora, se non ci credete, provate a canticchiare il ritornello di Earplugs.


Ma dove sta, quindi, la delusione?
La delusione sta nel fatto che tutto questo, tutto questa bellissima creazione, questa piccola Opera D'Arte, nasce da quella che potremmo chiamare affettuosamente una "bugia bianca".

Alcuni di voi sapranno che facebook permette di modificare il nome ad una pagina una volta. Una volta sola. In questo modo, se un progetto cambia improvvisamente nome, non c'è bisogno di creare da capo la pagina, di mettersi sotto a pregare gli amici di mettere i like, eccetera.
Lo stesso capitò agli /handlogic, che all'epoca del cambio del nome, avevano circa 20mila fans (più o meno quasi il doppio di quelli attuali). Mi ricordo che rimasi alquanto sorpreso dalla cosa. Va bene che hanno vinto il Rock Contest, ma non stiamo mica parlando dell'esposizione mediatica di X-Factor? Questi sono nati ieri! Così mi rivolsi ad una persona vicina al gruppo da anni e mi spiegò che la band aveva appena cambiato nome alla pagina invece che crearne una nuova, perché quella vecchia, per via di un fortuito caso di omonimia con una band famosa in sudamerica, abbondava di fan. Insomma, un giochino innocuo.
Ad oggi, infatti, la pagina del gruppo ha circa 13mila fans. Si può dire che sia un po' anomalo che una band, mano mano che ottiene il successo nel proprio paese, veda dimezzarsi il numero di fan su facebook.
Tuttavia, come i The Circle ben sapevano (dal momento che ci hanno vissuto sopra), i like contano tantissimo. Altrimenti, se solo la critica avrebbe importanza, e io non starei a scrivere su un blog di merda, ma probabilmente sarei stipendiato da una rivista di genere e nel fine settimana farei ancora il musicista con la mia vecchia band, gli /handlogic suonerebbero in TV e sarebbero già ospiti al festival di Glanstonsbury, Rovazzi continuerebbe ad essere uno dei tanti minchioni del web, di Bello Figo non sentirebbe parlare nessuno e non ci sarebbero mai stati Berlusconi, né Mussolini, né Trump di sorta.
Però non avevo considerato questo.
Gli /handlogic vengono fuori, ancora prima del Rock Contest, come vincitori del concorso 100 band. Mi ero chiesto, infatti, come avesse fatto una band senza etichetta, senza disco, senza praticamente nulla, con una semplice descrizione del proprio progetto, ad ottenere i 5000€ messi in palio dalla regione Toscana. Insomma, non è che 5000€ te li smollo per niente.
Il punto è che puoi avere anche un sogno, ma se non hai i mezzi per realizzarlo, non vai da nessuna parte. Cosa sarebbe stato di Steve Jobs senza qualcuno che finanziasse le sue idee?
Nel caso degli /handlogic, è stata la fortuita coincidenza del nome della vecchia band a dare la spintarella necessaria. La regione Toscana ha visto dei numeri alti, anzi, clamorosamente alti, ed ha pensato che valesse la pena investire.
  Grazie al finanziamento, la band è entrata in un circolo virtuoso. Ha potuto realizzare il disco, su cui ha gestito le proprie carte impeccabilmente, concentrando tutti gli sforzi su solo 4 pezzi anziché rischiare la carta dell'album lungo a rischio effetto noia. Si è messa in contatto con The Factory Prd. che messo al servizio una crew professionale per la realizzazione del video promozionale di Arles. Inoltre, si è fatta un ufficio stampa. Questo ha permesso di arrivare al Rock Contest in gran forma e col migliore biglietto di presentazione possibile.
Fermo restando che non saprei indicare una, anzi mezza persona più indicata al mondo per avere questo tipo di spintarella che Lorenzo Pellegrini, questo non toglie che una botta di culo rimanga una botta di culo.
Dove sarebbero gli /handlogic oggi, senza i mezzi per produrre un buon disco, senza un ufficio stampa, un manager, un booking?
A cercare i soldi per realizzare il disco in uno studio un po' più economico.
Ad averlo realizzato con economia di mezzi, ritrovandosi davanti una critica meno entusiastica che li avrebbe confinati nel giro dei pub di provincia, a suonare musica improponibile per il pubblico ignorante che si aspettava la cover band di Vasco.
Sotto la pressione costante di genitori che li vorrebbero probabilmente a destinare le loro energie nello studio e nel lavoro, anziché dissiparsi in passatempi che mettono in testa stranee idee.
O forse no, mi sbaglio, forse ce l'avrebbero fatta ugualmente. Lorenzo aveva già partecipato alla finale del Rock Contest...a soli 15 anni! In un modo e nell'altro sarebbe uscito comunque.
Quel che è certo è che non sarebbero già dove sono adesso.
Non dico cazzate.


All'epoca che uscì questa foto, ossia a dicembre dell'anno scorso, subito dopo la vittoria al Rock Contest, mi resi subito conto che il numero dei fan della band era intorno ai 26mila, così utilizzai un software esterno per verificare quanti fossero effettivamente i fan italiani, e mi resi conto che era una percentuale circa dell'8%. Potete verificarlo anche voi, basta andare su fbcheck.com.
Ad oggi i fan sono circa 13mila, e lo zoccolo italiano è di 3008, una percentuale che rimane comunque ancora inferiore al 25%.  Più probabile, sicuramente, ma non abbastanza per una band che non ha ancora messo piede fuori dallo stivale, e non ha ancora avuto un grosso exploit internazionale.
Sono sicuro, tuttavia, che un tour inglese potrebbe andare in porto.


Questa non è gente che compra i like. Questa è gente che si esprime innanzitutto con la musica.
In fondo, alla fine la vita è un po' così. Sono solo forse io che non riesco ad accettare l'idea che senza un po' di fortuna i sogni s'inabissano. Questa è la mia delusione. E meno male che, ogni tanto, le botte di fortuna succedono anche a quelli che se le meritano.


Porca puttana. Sono pure simpatici.

lunedì 13 novembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #7 Motta

La scorsa settimana parlavamo dei The Circle, oggi prendiamo di mira Francesco Motta, classe 1986, autore del disco "La Fine Dei Vent'Anni", che si è imposto sulla scena indie italiana alla fine dell'anno passato.

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #7 Motta

ossia

"Come il Ranocchio è diventato Principe"


 "Sarebbe bello finire così
Lasciare tutto e godersi l'inganno
Ogni volta
la magia della noia
Del tempo che passa la felicità"

Motta - Del Tempo Che Passa La Felicità

Premetto che non ho molto da ridire su questo disco. Mi piace. Ha qualche difetto, ma l'ho apprezzato molto e l'ho ascoltato parecchio dalla sua pubblicazione.
Quando ho ascoltato Del Tempo Che Passa La Felicità per la prima volta ero entusiasta, ho subito pensato di avere a che fare la canzone italiana migliore del 2016. Finalmente gli Zen Circus senza la musica degli Zen Circus! Un disco intero che fin dalla copertina rappresenta una presa di posizione forte e chiara: questo sono io, Francesco Motta, trent'anni dietro l'angolo, ho le mie cose da dire, da vomitarvi addosso e ci metto la faccia, coi miei spigoli, le mie insicurezze, il mio talento. Il caso ha voluto che uscissi fuori solo adesso, a due passi dall'età adulta.
Motta ha la faccia del ragazzo qualunque, ma halle spalle un'esperienza con un gruppo indie-new wave, i Criminal Jokers, ed una preziosa collaborazione con un mostro sacro per la musica italiana come Nada


Ha registrato un ottimo album, in cui ha messo insieme la manciata di buone canzoni che ha partorito negli ultimi cinque-otto anni. Neanche troppe, a dire il vero, vista la nota difficoltà a coprire la durata di un'ora e mezzo generalmente richiesto da un'esibizione a pagamento. Durante il tour, terminato ad Aprile, il cantante ha mostrato l'abitudine ad indulgere fin troppo nella presentazione dei pezzi, a fare costante ricorso al ringraziamento all'onnipresente produttore-compositore-amico Riccardo Senigallia, ed ad attingere al repertorio dei Criminal Jokers.
Motta è stato costantemente dipinto come l'artista a tutto tondo. Autore delle musiche e dei testi, polistrumentista. Spesso però si è dimenticato di fare notare che accanto al suo indubbio talento compositivo, dal punto di vista tecnica rimanga ancora relegato ad una dimensione dimensione amatoriale: canta discretamente, con una voce squillante, suona delle linee di batteria semplici ed essenziali, ma funzionali, e strimpella accordi da spaggia, per lo più su una chitarra classica. Sin dal momento dal momento dell'uscita dell'album, visto il responso di critica e l'appoggio di Senigallia, Motta è diventato improvvisamente una celebrità indie, è diventato improvvisamente bravissimo, un Maestro, un punto di riferimento per l'intera scena nazionale. Mi ricorda un po' la parabola di Calcutta (quello, però, non sa suonare proprio!)


Dietro all'intenzione artistica, a mio giudizio ineccepibile, di partorire un album variegato, con uno sguardo attento a quello che succede intorno al mondo (si ascolti Roma Stasera a questo proposito) e con dei testi personali ma ad universale, col costante riferimento al tema del passaggio alla maturità ("È la paura di invecchiare/ Di perdere i capelli/ E di dovere stare bene" - Prima O Poi Ci Passerà), con tutte le ansie e le preoccupazioni che ne derivano, se ne cela un'altra, ben visibile sopra ed al di fuori dal palcoscenico, della trasformazione da outsider ad autore riconosciuto ed affermato. Il ranocchio Francesco diventa il principe Motta, e non vuole certo che la sua corte si risparmi dall'adularlo.
Chi non vorrebbe potersi permettere di entrare nell'Olimpo dei "bravoni", essere un punto di riferimento per una generazione di musicisti esordienti, e dare finalmente una ripassata a tutte le universitarie che prima non te la davano.
Ecco allora che subito dopo l'uscita del disco sbuca il video de La Fine Dei Vent'Anni, una vera e propria dichiarazione d'intenti, che ritrae il Principe Ranocchio in un bell'appartamento romano, circondato da giovani medioborghesi, in cui le coppie più belle si fanno massaggi e bevono vino, e Cesco che è quello un po' artistoide si prende un minutino per fumarsi una sigaretta da solo sul balcone, è lui che ha dato la festa, è lui che finisce a letto con una La Fica Di Vent'Anni col culo da dieci. Questa nel video non sembra volersi svegliare per la cavalcatina della buona notte, ma anche questa è scena, perché alla fine di questi tempi non sei sul pezzo se non fai un po' il finto modesto..


Ecco che coi primi responsi di critica, i primi fan che dicono "ehi, ma sta roba non è cuore-amore", si instaura anche un meccanismo, tipicamente italiano, che è il cosiddetto effetto pecora. Beeeeeeeeeeeeeeeeeee. Motta è improvvisamente sulla bocca di tutti, e quindi se prima non se la inculava nessuno, ora tutti lo vogliono per un intervista, tutti lo vogliono andare a sentire.
Ecco che quelli di Ondarock, che avevano deciso di dare un politico 6,5 all'impegno del Nostro, seppur relegando la recensione all'interno della rubrica "Dieci Piccoli Italiani", che non è ritrovabile direttamente nell'archivio recensioni del sito, improvvisamente ci ripensano e decidono di pubblicare una seconda recensione in cui tra toni entusiastici gli piazzano un bell'8.  Beeeeeeeeeeeeeee! Poco importa se i vecchi video dei Criminal Jokers stentino ancora a raggiungere le 300 visualizzazioni (fate una ricerca). Il meccanismo è ormai innescato e parte dalle città-paesoni del Centro. Armate di provincialotte flanellate, da Figline Valdarno fino a Gubbio, corrono a riempire gli Auditorium sulle loro All-Star senza macchie, vengono pure i ventitreenni che vanno ancora ai concerti dei Green Day e, forse, qualcheduno che non andava ad un concerto dall'ultima esibizione di Vasco o di Grignani. A questo punto spuntano anche le prime cover youtuber guasi-ventenni, con i volti da fata, i loro occhi di ghiaccio, i loro accordi fuori tempo e le loro voci stonate, ma non alla detta degli allupatissimi commentatori, che fanno schizzare le visualizzazioni fin sopra a quelle dei video dei Criminal Jokers. E quando qualcuno ti imita, sei già diventato famoso.
Da qui alle sparate gratuite il passo è stato assai breve.
Personaggi autorevoli di riviste di rilievo, troppo impegnate a scaldare le poltrone per accorgersi del fervore musicale che si accende nelle bettole e nei festival piccoli da una decina d'anni, non si sono certo risparmiati frasi del tipo "Motta è una delle cose migliori che sia mai successa alla scena italiana" (non riesco a trovare la citazione esatta, perdonatemi). E si arriva al pienone alla Flog, con Motta ospite speciale del Rock Contest, l'evento delle band emergenti come eccellenza, a suggellare il suo passaggio da esordiente a Grande Mentore. L'effetto cascata porta persino al sold out all'Alcatraz di Milano: è qui che si arriva al peggio e non si torna più indietro.
Cominciano le interviste, e l'autore-Mentore, tra un gracidio ed una grappina, vola bassissimo: "Ho capito che le mie canzoni erano molto più importanti di me". Ma non dimentichiamoci dell'intervista a Rolling Stone in cui Motta descriveva le peculiarità dei suoi pezzi "Questa non è stata registrata con il La standard a 400 Htz", "questa l'ho registrata anni prima a casa in una stanza, si sente il rumore di una mia amica che lava i piatti dietro".

Il punto è che a me non me ne frega un cazzo se Motta si è montato la testa. Ho smesso di scrivere per prendere di mira gli atteggiamenti da prima donna delle indiestar italiane. L'italiano è egocentrico per sua natura, a quanto pare, e spaccone senza limite.
Resta però il fatto che se un musicista affermato fa delle constatazioni tecniche di questo tipo davanti ad una rivista importante, viene da chiederci se ci sia o ci faccia. Apparte l'urgenza, di per sé anche comprensibile, di voler spiegare il giochino, la pensata ganza, e vedersela pubblicata sui giornali, è la totale non consapevolezza delle sue minchiate a metterlo in ridicolo. Tralasciando il fatto che il nostro orecchio non permette di riconoscere una differenza di 5hz (a meno che Motta non stesse scrivendo musica per i cani - sempre meglio che per le pecore)...ve lo immaginate Steven Wilson che si mette a spiegare che la seconda strofa è in 13/16?


 Eppure Motta arriva persino a dichiarare: "Il ritornello ha un’accordatura standard con il La a 440hz, la strofa invece no" - Rolling Stones, 18 marzo 2017.
Ma vi rendete conto? Chi mai è così stupido da venire a raccontarvi che ha montato in una canzone due take in cui la chitarra era accordata in modo differente? Questa è la violazione della primissima regola dello studio: gli strumenti devono essere accordati dall'inizio alla fine del pezzo. Una differenza di 5hz è la definizione fisica di una chitarra scordata. Mannaggia, France', pensa che noi non ce n'eravamo praticamente accorti. Come non ce n'eravamo accorti che i pezzi non sono accordati col La naturale. Non se n'è accorto nessuno, perché ad una differenza di 5hz a nessuno glien'è mai fregato un cazzo.
Il punto è che, France', ora che me lo fai notare, l'effetto collage di Del Tempo Che Passa La Felicità si sente. Mannaggia, m'hai rovinato l'ascolto. Adesso mi accorgo pure che la coda del ritornello si ripete...tre volte? Come se aveste attaccato un giro prima. Cazzo, ma neanche i Nirvana di Incesticide! Anche Roma Stasera ha un buco strumentale dentro al ritornello. Spezza tutto il tiro. Sei lì che te lo canti...e poi aspetti che arrivi la parte dopo, ma non arriva.
Mannaggia France', ti sei tirato la zappa sui piedi da solo.
Ed a sto punto tanto vale fare il pignolo e sottolineare le altre cose che non vanno. Ci saranno sì quei 4-5 pezzi di gran qualità (e non è poco, di solito in un disco riuscito ne bastano un paio), ma mi rendo conto che ci sono alcuni riempitivi non hanno proprio senso. La canzone Mio padre era comunista su tutte. Titolo ketchy, melodia rubata pari pari da un collage del repertorio di Manu Chao dai Mano Negra in poi, ma tutt'altro che una composizione politicamente impegnata, è una canzone scritta e costruita per dare forma al concetto "l'amore è aspettare insieme la fine dei propri giorni". Che poi, è anche una bella frase. Una bella banalità-verità, ma pur sempre bella. Peccato che per arrivare a quella frase la canzone ci ruoti intorno per minuti, limitandosi al puro descrittivismo con una spudoratezza alla quale forse non è arrivato nemmeno il campione del genere, Niccolò Contessa. "Mia madre era bellissima/Le piace fare grandi passeggiate/Dice che un figlio un giorno lo farò/ Ed io l'ascolto sempre/Perché mi piace la sua voce".
Ecchecazzo.
Caspita, devo essere proprio un coglione, se penso a tutto il tempo che ho perso per mettere in rima i miei pensieri e a farli entrare dentro alla metrica dei riff del mio chitarrista. Per poi andarli a suonare il lunedì sera in un pub di Calenzano mezzo vuoto con avventori distratti.
Ora provo anche io, Francesco.
Facciamo A-/A-/G/A-/E, nessun rivolto, posizione da accordo reggae, ritmica stoppata in levare:
"A Luisa piaceva la salsa al tartufo/ma era rimasta senza soldi/così è andata all'iperCoop/oggi ha comprato il sugo di noci".
Ecco, signori, non è difficile.
...
Scusate, mi suonano alla porta. Ora che ho scritto questi versi in cui si può rispecchiare qualsiasi studente squattrinato c'è un esercito di hipsterine alla porta che vuole succhiarmi l'uccello.
Nel frattempo, constatate di persona:


....
...
...
Ok, eccomi di ritorno.
Dunque, dicevo, siccome sono pragmatico ed empirista, quando c'avevo il momento fan di Motta me lo sono andato a sentire. Ed è in quel momento che mi è crollato.
Il punto è che mi sono annoiato. Motta non ha la carica di Appino.
Il confronto con lui, d'altronde, è inevitabile. Son tutt'e due di Pisa, parlano entrambi del mal di vivere e del provincialismo. Motta scrive della musica più peculiare, più variegata, più forse sentita da lui stesso, ma i testi di Appino, a confronto, lo fanno sembrare un dilettante. Me ne sono accorto quando ho messo per caso delle canzoni degli Zen in una playlist subito dopo l'album La Fine Dei Vent'Anni. Provate a sentire Viva, o anche solo Figlio Di Puttana, e poi sentite una qualsiasi canzone di Motta e lo constaterete voi stessi. Nella dimensione live degli Zen Circus, poi, ci sono gli altri due, c'è UFO, e c'è il batterista che suona in piedi il grattavestiti. Ti fogano, quasi ti dimentichi che stai sentendo gli stessi tre accordi da un'ora, ma Motta suona con dei collaboratori, basicamente, ed è troppo ranocchietto, la sua fisicità, il suo modo impacciato di gestire il palco, mi comunicano la sua insicurezza, più che la voglia di divertirsi e lasciarsi tutto alle spalle. Anche il suo modo di suonare quella batteria minimale in piedi, peculiarità dei Jokers, da quando ha un batterista sembra più una pretesa per rimanere confinato dietro allo strumento ed evitare la responsabilità da frontman. Last but not least, a differenza degli Zen, nelle canzoni di Motta ci sono parti di chitarra da due accordi su cui c'è un tema melodico di chitarra, a volte arpeggiato (tipo La Fine Dei Vent'Anni) che vengono tenuti all'infinito, senza nessuna variazione. Ed, ultimissimo, i cori. I cori non sono arrangiati. Quella roba figa che si sente su disco, tuttalpiù dal vivo si traduce in un tentativo di falsetto malriuscito. Anche qui, la regola di base per passare le selezioni dei concorsi musicali di provincia è: se il coro non ti riesce dal vivo, semplicemente non farlo. Se una cosa non ti viene difficile, allora falla semplice. Sempre meglio che sbagliare. Qui sta la differenza tra l'amatore e quello che lo fa di mestiere. Ma qui, caro Motta, non siamo al PagellaNonSoloRock o ad Emergenza Festival, qui si gioca in serie A. Quando hai 8 su Ondarock (lo stesso voto di The Raven That Refuses To Sing di Steven Wilson) è normale che il tuo pubblico si aspetti qualcosa. Fare affidamento sull'ignoranza di chi è abituato a pessimi interpreti, o all'arroganza intellettualoide di chi trovaa una giustificazione addirittura "ideologica" e traduce "una pessima esibizione" in "ricerca di immediatezza espressiva" (il cosiddetto "effetto Stato Sociale/Calcutta") non basta.
Anche perché, quando giochi in serie A, può capitare che ci siano migliaia di persone a sentirti.
Potrebbe il momento migliore per tenersi stretto il proprio trono, oppure fare la figura dell'idiota, cambiando improvvisamente registro vocale a metà di una strofa, facendo capire a tutti che c'è un problema tecnico, o che ti sei reso conto che stavi cantando male.
Come al Primo Maggio.



giovedì 2 novembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #8 The Circle

Questo blog è ormai fuori dal tempo, ma devo ammettere che resta uno dei tentativi più longevi di portare avanti un mio progetto.
In uno dei testi che ho scritto recentemente, un grido misto di paura e di odio, mi sono autoidentificato come Don Chijote, un'idiota che lotta contro i mulini a vento nel mondo del 21esimo secolo, in cui i cavalli sono le parole, quelle che pensi che contino, ed i mulini gli smartphone, le notizie false ed, in generare, l'arroganza diffusa dei social network e dei siti di false notizie o, peggio ancora, della pubblicità rivenduta come notizia.
Tanto valeva provare ad adattarsi, una volta ogni tanto, cavalcando questa moda introdotta di vari Looper, WatchMojo, WhatCulture (questa, forse, l'unica salvabile del lotto), ecc...
Per cui, bando agli indugi, ecco a voi

LE OTTO + GRANDI DELUSIONI MUSICALI ITALIANE DI QUESTO 2017

#8 The Circle
ossia
"Come sono sopravvissuto alla scena indie e ne sono uscito ancora più punk di prima" 




I The Circle? Ma non erano quelli presi di mira in quell'articolo, che poi era stato cancellato?
Forse questa ve la siete persa. Ero un po' più giovane, si parla del 2014. Avevo scritto un articolo in cui in apparenza facevo un po' il lecchino ai The Circle per il loro album di debutto. In realtà - e vi assicuro, non accorgendomene neanche io - sfruttavo confidenze e li smerdavo.
Un compito difficile, quasi impossibile, in cui non ci sono cascati. Questa è una delle cose che ti succedono quando c'è di mezzo il coinvolgimento e l'amiciza.
Torniamo ancora più indietro nel tempo. Era il 2012, vivevo a Torino in una camera da circa 30 metri quadrati un po' scassata che partoriva polvere come l'amianto i cantieri della val di Susa, ma che pagavo 145 euro il mese, avevamo perso un batterista ed un bassista ma li avevamo rimpiazzati con due musicisti splendidi: Marco B., che sapeva suonare jazz ma veniva da noi col plettro e gli effetti, e Marco M., anche lui di estrazione jazz-prog, ed infatti faticava a tenere un accento senza cambiarlo ma aveva una cura del tocco che aveva svoltato il sound radicalmente, e poi era indubbiamente l'elemento più simpatico del lotto.
Gli Acid Food non erano ancora un grande nome, ma avevamo il nostro piccolo giro, stavamo considerando di virare verso delle forme canzoni, sperimentare scale lidie e soluzioni modali, allungarci verso jam psichedeliche, provare soluzioni più elettroniche alle volte, sperimentare testi in italiano, fare insonorizzazioni e colonne sonore.



E, cosa più importante, in sala si respirava buona aria, eravamo un gruppo di amici, e ridevamo per qualsiasi cazzata, che si trattasse dell'ordinazione dal kebabbaro o dell'ennesimo gioco di parole di Marco M..Ormai avevamo messo insieme un'ora buona di repertorio, ed almeno un'ora buona di nuovo materiale ancora più valido per il periodo a seguire. Io perdipiù avevo riesumato una vecchia conoscenza, il caro Esma - quello dei Rouse Project, dei Sidera Ves e, prima ancora, dei Moog - nella speranza che ci producesse un Ep, e lui per risposta mi aveva catapultato dentro la sua band, di fatto allargando il mio giro di conoscenze. Cominciavo a guardarmi intorno, a crescere, stavo affinando il mio stile e cambiando rotta, dimostrando di essere anche capace di rinnovarmi. Una parte di me, sepolta sotto una marea di insicurezze, pensava che avrei potuto seriamente considerare di fare questa strada, o almeno illudermi di ciò per un paio di anni. 



Ma c'era un incubo dietro l'angolo: l'università. Ed un altro ancora: l'Erasmus. "Vai in Erasmus, vai in Spagna, tromba, dimostra agli altri che ce l'hai più grosso".
Ad un certo punto della vita, tutti ti parlano di questa cosa come se fosse il punto di svolta della vita. La rinascita. Gli sfigati scopano, i normali diventano divi, eccetera. A me è successo esattamente il contrario. Prima stavo normalmente bene, dopo stavo abnormalmente male.
Morale della favola: siamo nel 2013, io vado in Spagna, Ale (il chitarrista) e Marco M. fondano i The Circle con un tipo tutto sommato ok ma pur sempre un risvoltinato ed un fonico di studio come altro chitarrista. Nel giro di sei mesi questi incidono una canzone e totalizzano 20mila visualizzazioni ed il doppio dei like degli Acid Food. Io non riesco a capacitarmi. 20mila visualizzazioni?
Ad ogni modo, cerco di continuare la composizione a distanza. Ale smette di rispondermi. Marco M. pure, Marco B. è l'unico che resiste, facciamo un paio di Skype, mi dice che si sta dedica al suo progetto nu-jazz, i Satoyama.
Al mio ritorno, Ale finalmente si rende reperibile ed esce dal silenzio: nel nuovo gruppo ha ritrovato un ruolo, la passione per la chitarra (che forse aveva perso a causa della mia esuberanza precedente), e preferisce non continuare. Marco M., invece, mi invita a fare delle prove, mi dà dei consigli da vero professionista, dice che siamo il gruppo con cui può esprimersi più liberamente sulla batteria e mi propone di darmi da fare, ma io sono ancora impantanato dall'esperienza dell'Erasmus. Sono depresso, ingrassato, vado a letto con ragazze che non mi piacciono solo per legittimare l'esigenza di sputarmi in faccia da solo, non riesco più a cantare come prima, sono convinto di essere meno dell'ombra di me stesso, non riesco a suonare. Le prove fanno cacare, proviamo a chiamare dentro un altro chitarrista, ma è ancora peggio.
2014. Io lascio perdere, torno a rinchiudermi nel mio dolore. Dopo essermi laureato, scappo a Firenze, dentro di me convinto della evidente retrocessione, ma sperando di farmi una vita lontano dalla necessità, prettamente torinese, di doversi costantemente confrontare con gli altri. Nel frattempo esce il primo disco dei Circle, prodotto impeccabilmente e che tutto sommato in mezzo a tanta brodaglia pop melensa, qualche "Oh-oh" di troppo, capace di piazzare qualche pezzo ben riuscito (The End, Green Like Soul pt. one). 



E qui salta fuori la mia recensione. Ale era stato avvertito, lo avevo dapprima chiamato, quindi gliel'avevo fatta leggere prima di pubblicarla, ma non non ha avuto il coraggio di dirmi quello che pensava. Che era una recensione codarda, frutto del mio risentimento. Che sarebbe stato un errore e che avrebbe rotto delle amicizie. Il più onesto fu il cantante. Marco M. da allora non mi ha più parlato.
Io, in compenso, di lì a poco conobbi un chitarrista un po' più grande di me un po' nella mia situazione. Ci mettemmo a studiare insieme, a ricominciare da capo, dagli standard jazz, dalle scale blues. Nel giro di un annetto, siamo passati dal non riuscire a provare Vento In Faccia in una stanza a ragionare sulle singole tipologie di fuzz da utilizzare in relazione alle testate, a ragionare il sound del gruppo in termini di gamma di frequenze, a scrivere in tempi dispari, a non avere tempo sufficiente per imparare le nostre stesse composizioni. La mia voce è risbucata dal nulla. Sono riuscito persino a prestare servizio in una cover band dei Nirvana.


Marco B. dopo tre anni ha partecipato alla sonorizzazione del museo Egizio coi Satoyama, ha fatto il suo primo tour in Norvegia con loro, ed è diventato il bassista di un altro paio di formazioni, i Litha e gli Ennedì. I Litha hanno dato una forma italiana ad una vecchia bozza che aveva scritto per gli AF, L'Uomo Che Verrà.


Ale dopo quattro anni ha mollato i The Circle, per motivi personali. Nel 2016 hanno pubblicato un disco pop iperprodotto ed anacronistico, How To Control The Clouds. Il disco è stato presentato con due video in HD, uno che mostra la band, ridotta a terzetto, ad interpretare una chiave semiacustica di uno dei loro brani, e l'altro girato a Londra, con una modellona nordeuropea che scatta foto ai graffiti. 

Sarà pure un prodotto di fino ed orecchiabile, ma è imbarazzante. Soprattutto da parte di una band che non è mai giunta al punto a dover fare un patto col demonio per comprarsi cocaina e puttane. Non lo dico per fare polemica, ma un pezzo così si scrivere in cinque minuti, ed in mezz'ora l'arrangiamento. Per il resto si paga un buon fonico e si investe nel mastering (che, non a caso, è stato fatto a New York). Ebbene sì, gli accordi sono proprio quelli: A- F C G - non mi sono tirato giù la tonalità esatta, probabilmente - ossia la sequenza VImin IV I V, quella di The Passenger, di Passenger, di metà dei ritornelli degli Iron Maiden quando sono rimasti senza idee però avevano capito che "ohohoh" avrebbe funzionato tranquillamente per i vent'anni a venire, di tutti i RiHanna, i Despacito, i Fedez, i Coldplay della svolta pop più becera, le Shakira, i Blowmywhistlebaby, il reggaeton in generale, di tutta la merda pop di questo mondo.
Questa puntualizzazione sulla scelta compositiva potrà sembrare un po' forte, ma il punto è  che non si può essere troppo leggeri su una banalità del genere che ha fatto naufragare un buon progetto, perché la banalità è la forma peggiore di fascismo.
La banalità, la standardizzazione, è il nulla, è una mostruosità.
Io, dal canto mio, muovendo i miei piccoli passi, prima con le prove a due chitarre in cucina, poi facendo a pugni con un bassista incapace ed arrogante, un mese dopo la pubblicazione di How To Control, ho prestato le mie corde vocali al servizio di due pezzi, una demo del cazzo, una produzione del cazzo, da cui è uscito questo pezzo qua sotto.
Ero fuori allenamento per via dell'estate. Avevo la consegna della tesi una settimana dopo e spazzavo l'ansia a sigarette, caffè e birra, la sessione diretta di registrazione era andata abbastanza male e mi rimaneva a disposizione solo mezz'ora per registrare due brani.
Niente mastering, solo un giro veloce per un banco solido. Niente New York. Eppure, nonostante tutte le scusanti, sentite che cazzo di pacca.

E questa è la versione col mix sbagliato! Infine quest'estate, a conclusione di un tour molto più ridotto rispetto a quello precedente, i The Circle si sono sciolti dopo 5 anni di onorato servizio, lasciandosi dietro un tenero video di addio, con un reportage dei quattro amici in tour, il tutto immancabilmente filtrato con un effetto stile vintage, per non mancare di calcare le tendenze attuali.

Fine 2017. Qualche settimana fa ero a Firenze con un mio amico di Torino e ci siamo messi a parlare dei The Circle. Abbiamo parlato dell'assurda pubblicità dell'articolo della Stampa che li aveva definiti faziosamente "gli Italiani che minacciano i Coldplay" (ci fu un articolo molto critico nei confronti di questo tipo di giornalismo al tempo, che parlava proprio di questo caso) e di quanto ancora più fuori luogo sembrasse loro recente inserzione in una playlist di Youtube, che aveva portato un loro brano ai 100mila ascolti, ed al passaggio sugli altoparlanti di San Siro. Il nostro punto era: 100mila visualizzazioni non le fa nemmeno il brano più conosciuto degli Afterhours ora che Agnelli è un giudice di X-Factor. Com'è possibile che i The Circle si possono permettere tanta visibilità, se il tour promozionale non arriva nemmeno a venti date?

Il mio amico mi ha confidato che pagavano fiori di soldi per avere visualizzazioni, che internet lo permette e c'è chi lo fa: i Circle non sarebbero che un gruppo tra tanti. A me continua a sembrare un'ipotesi assurda, per quanto, in effetti, continuano a rimanere alcuni aspetti di quella formazione, un insieme mezze verità, mezze bugie o bugie bianche, per come le si voglia interpretare, che non mi sono mai quadrati del tutto.
Un cantante di famiglia benestante, un chitarrista-fonico con uno studio di registrazione in casa (vedi il video sotto). E fin qui, insomma, niente di nuovo.
Però un primo album prodotto e registrato, stando alle dichiarazioni ufficiali dei social e delle testate, da un personaggio alla ribalta sulla scena indie internazionale (Omid Jazi) ma che, stando ad una confidenza di un interno alla band non solo ha funzionato solo da produttore/consulente esterno, in quanto il disco è stato registrato dal chitarrista-fonico, ma il missaggio è stato fatto da un intermediario, che ne ha sempre fatto le veci, così che di fatto la band e Jazi non si sono mai incontrati, seppure il suo nome fosse su ogni webzine, ogni giornale, ogni social.
Un articolo de La Repubblica fazioso, iperpromosso dalla band, che prendeva in considerazione i dati fluttuanti della classifica di Itunes, descrivendo la band come una minaccia al trono dei Coldplay - vi siete dimenticati di quando gli Stato Sociale balzarono per un giorno davanti a Pharrel Williams? Una recensione persino su un numero dell'Internazionale. Decine di migliaia di visualizzazioni difficilmente correlabili al numero di fans sulla pagina o all'attività del gruppo. C'è sempre stato una palese incorrispondenza tra l'apparente portata virale del gruppo e la loro dimensione reale: I Circle non sono mai arrivati ad essere i nuovi Verdena, non sono gli Afterhours, ma nemmeno i Be Forest, o i Soviet Soviet, ma hanno sempre dei canali mediatici solitamente riservati a band più "main".
A questo aggiungerei un peccato più veniale, che è quello delle montagne di filtri di Instagram, di selfie, di decisioni estetiche ed artistiche un po' paraculo che mi sono sempre sembrate subordinassero il discorso musicale vero e proprio.
Ma, in fin dei conti, una band che presenta ai suoi fan, in pompa magna, l'inserzione di un loro brano in una playlist americana altamente popolare su Youtube, in che direzione andando? Io ce li ho avuti i coinquilini che ascoltano la musica su Youtube. Non si ricordano il nome di centinaia di canzoni, non hanno nemmeno idea dell'artista. Quello è il target delle playlist. Però se ti inserisci nel canale giusto, i numeri si gonfiano in un attimo. Ma di per sé, per te questo, cosa rappresenta? A cosa serve essere ascoltato da migliaia di persone intorno al globo se nessuno fa nemmeno caso alla tua canzone, se non hai i mezzi per potergliela suonare davanti, se di fatto cercavano altre canzoni, più note? A me sembra che sia un po' come suonare di colpo di fronte a Vasco, o ai Coldplay: se non sei ancora qualcuno, la gente vedrà la tua apertura solo come una perdita di tempo. Questa è la differenza tra un ascoltatore virtuale (visualizzazioni, numeri) ed uno reale - il tipo che cerca il tuo concerto su internet e che è disposto ad investire nella tua musica.
La musica è un veicolo. Come la pittura. Di artisti capaci di dipingere il ritratto perfetto il mondo è pieno. Quelli capaci di catturare un'emozione, un sentimento, o il proprio animo su tela sono passati alla storia. Non è un caso che si parli ancora di Syd Barret e che tutti si siano già dimenticati di Gangnam Style. Anche se i numeri diranno il contrario. Eppure le celebrità del momento scompaiono nell'abisso, e tutti i poveracci come i Kafka, i Foscolo, i Barret, ma anche gente che ha fatto contropensiero più paraculata come Seneca, passano alla storia. Altrimenti studieremmo i personaggi del Grande Fratello sui libri di storia, e Wittgenstein chisseloincula, no?
 How To Control suona come una rincorsa alla visibilità, ed i suoi brani, impeccabili, perfetti...leziosi, suonano uno più piatto dell'altro.
Il mio nuovo progetto, Le Pietre Dei Giganti, è molto più sfigato, ma è un progetto come lo era quello degli Acid Food, forse da un certo punto di vista persino meglio. C'è più consapevolezza. Non c'è più l'approccio creativo precedente, ma ogni canzone è un parto sofferto che nasce dallo stomaco, c'è di mezzo la nostra sofferenza, non c'è molta attenzione per le mode e le possibilità di rimorchio. Siamo probabilmente anacronistici, forse non avremo mai successo né visibilità, ma abbiamo anche noi un'etichetta ed abbiamo già incontrato il produttore del disco di persona. Scriviamo i testi nella nostra lingua per connettere chi ci ascolta al nostro universo interiore, fatto di insicurezze, di angoscia, di gioia, di amore e di fatica. Al grafico della madonna ci penseremo quando avremo finito di suonare i pezzi come Dio comanda. Al fonico ci penseremo quando investiremo sul disco.
Noi siamo vivi, i Satoyama di Marco M. spaccano il culo. I The Circle non ci sono più.
Insomma, a distanza di cinque anni dalla mia partenza, malgrado tutto, gli Acid Food, o l'idea che c'era alla base, sono ancora vivi. Malgrado tutto.

   Per concludere, i The Circle rappresentano la delusione minore di quest'anno. La delusione sta nel fatto che avevo dei dubbi su quali fossero le intenzioni artistiche del gruppo, e purtroppo me li hanno confermati, sfornando un disco tutto sommato onesto nelle intenzioni del cantante, che è sempre stato un onestissimo autore di canzoni pop, ma un disco pur sempre sfacciatamente easy-listening.
Io comuque voglio fare pubblicamente ammenda a distanza di questi tre anni, e credo che questo sia l'unico modo per riscattarmi da quello che fu un errore senza possibilità di giustificazione.
Sbagliai di brutto a scrivere quella recensione, avrei dovuto stare dalla parte di Ale di Marco comunque, perché è quello che gli amici fanno, ed anche se i The Circle furono per gli Acid Food quello che Apple II è stato per Macintosh - un prodotto che vendeva, ma privo delle intuizioni e della visione dell'altro - erano comunque un gruppo di amici affiatato che si stava divertendo, affiatati ed impeccabili dal vivo, realizzando un piccolo sogno, mettendo insieme un tassello indimenticabile delle loro vite.



Caro Marco, mi dispiace che le cose siano andate così.
Eri un vero amico, e rimani un grandissimo musicista.