lunedì 18 dicembre 2017

Le otto più grandi delusioni italiane di questo 2017 - #3 Rovazzi

Vi chiederete come mai un integerrimo rompicazzo come me abbia riservato a Rovazzi solo la terza posizione, in una classifica dove tutto sommato si era parlato di gente in gamba, gente che fa musica, pur con i suoi limiti (qui elencati), come i The Circle (#8), Motta (#7), gli /handlogic (#6), Manuel Agnelli e Levante (#5) ed i Marlene Kuntz (#4).
State bene a sentire

Le otto più grandi delusioni italiane di questo 2017 - #3 Rovazzi
ossia
"come dimostrare che della musica ormai non gliene frega un cazzo a nessuno"

Vogliamo ricordarcelo così, Fabio Piccolrovazzi (controllate bene, il cognome Rovazzi in Italia non esiste), classe 1994. Un ragazzino dall'aria semplice, una foto casual senza pretese da stardom, un look da italiano medio, con il ciuffetto che va tanto tra i giovanissimi e quel tocco nerd che non guasta.
Perché Rovazzi non è mai stato un'artista musicale. Rovazzi è un nerd.
Lo abbiamo conosciuto con la bellissima clip di Andiamo A Comandare, ma era già comparso in una serie di video comici da lui stesso concepiti, anche se il suo vero esordio è stato a fianco di Fedez, nel video di Non C'è Due Senza Trash.


In un certo senso ammiro Rovazzi. Pur facendo parte ormai dell'immaginario collettivo, ed essendo a pieno titolo una vera e propria figura di punta della musica di successo italiana di questi ultimi due anni, non si è sbilanciato di mezzo millimetro. Ogni suo pezzo è stato concepito magistralmente per fare presa su una critica sociale piaciona e fine allo stesso tempo.
Rovazzi era un ragazzino appassionato di montaggi ed aveva pubblicato alcuni video su youtube. Tra questi, un video che lo ritraeva con una ragazza che lo assillava con delle problematiche frivole. Lui, annoiato, la portava sul tetto, dove grazie all'utilizzo di un drone, probabilmente il gioiellino-regalo di natale o frutto di qualche mese di risparmio, le mostrava il paesaggio dal tetto di un palazzo: la vastità del "cazzo che gliene fregava". 

 
Qualche mese, anzi un annetto dopo, l'incontro con Fedez, la partecipazione a Non C'è Due Senza Trash, il video di Andiamo A Comandare.


Spinto inizialmente dai cameo di Fedez e di J-Ax, il video si era inizialmente fermato intorno alle 500mila visualizzazioni. Non male per un giovane esordiente, troppo poco per sostenere una carriera da youtuber a colpi di inserzioni pubblicitarie. Poi, il famoso effetto pecora. Il video diventa virale. Il balletto ed il ritornello diventano un tormentone. E fin qui, niente di male. Il video arriva ovviamente in TV, non tanto perché viene passato dalle emittenti musicali, ma in quanto diventa argomento da parte di fenomeni da palinsesto più noti. La coreografia di quel balletto ironico passa in prima serata. 
L'escalation è devastante. Le visualizzazioni arrivano fino a sette, fino a otto zeri. Le radio cominciano a passare la canzone, il singolo diventa disco d'oro solo grazie al conteggio delle visualizzazioni di Youtube. In un certo senso, Rovazzi ha fatto una rivoluzione. Siamo passati dalle vendite allo streaming, senza passare dai soliti meccanismi di promoting.
Eppure, questa storia, fuori dall'Italia, si era un po' già vista. Io mi ricordo che quando ero sulla ventina c'era questo gruppo col culo parato, che mischiava l'ironia con dell'elettronica spicciola ma pur sempre ben prodotta, ma accattivante. Si trattava di Stefan Kendal Gordy, in arte Redfoo, figlio tardivo di Berry Gordy, mitico fondatore dell'etichetta Mowtown. Redfoo è stato, in assoluto, il primo artista a raggiungere il milione di like su ogni tipo di social network grazie alla pubblicazione di un video. Si trattava di Party Anthem, del duo LFMAO, nel quale collaborava assieme a suo nipote, .Skyler Austen Gordy, in arte Skyblu. Ancor più interessante, però, fu il successo virale di I'm Sexy And I Know It, video trash in cui lo stesso Redfoo si strattava i pantaloni per mostrare un imbottissimo perizoma ed agitarlo davanti alla telecamera.


Di lì a poco, gli LFMAO incassarono i soldi e scomparsero nell'oblio. Fu invece un rapper sudcoreano a raccoglierne l'eredità, PSY, inventandosi un ballo che facesse il mimo di un cavallo al galoppo. Il video, concepito satiricamente per prendere in giro le abitudini del quartiere borghese di Seoul, fu il primo in assoluto a raggiungere il miliardo di visualizzazioni su Youtube. Il fatto fu così eclatante che alcuni accostarono persino un'oscura profezia di Nostradamus al raggiungimento del traguardo a nove zeri:

“From the calm morning, the end will come when of the dancing horse the number of circles will be nine.”
(Dalla calma mattina, la fine avverrà quando del cavallo danzante saranno nove i numeri dei cerchi)


Ovviamente, la profezia è una parodia scritta ad hoc per fare un po' di caciara sui social. Volendo, però, possiamo comunque soffermarci su due parole dall'ammonimento dell'ipotetico Profeta.

LA FINE.

Io in un certo senso ero felice di Sexy And I Know It. Ero felice anche di Gangam Style. Finalmente un po' di artisti di successo che non si prendono sul serio. Però, guardando dall'altro lato della medaglia, il peggio potrebbe essere proprio questo. Potrebbe essere che sviluppare la libertà ideologica di poter sfacciatamente proporre un prodotto di merda, venderlo come tale, gridando al mondo "sono solo puttanate" sia la scelta vincente. Questo è il discorso che fanno apertamente sia Rovazzi alla fine del video di Tutto Molto Interessante che Papi alla fine del video di Mooseca.


Sostituirsi, in tal senso, alla musica, porterebbe necessariamente alla fine della musica come forma di arte. Perché prima c'erano gli artisti che facevano le canzoni brutte e ballabili, che rimanevano confinate nelle discoteche per un pubblico di ballerini goffi, ubriachi ed arrapati, e c'erano le canzoni belle, quelle che facevano a pugni con l'idea del successo, forse non ci arrivavano proprio, ma finivano per rimanere nel pantheon del bagaglio culturale umano e, magari, venivano rivalutate anni dopo.
Ora che, invece, l'importante è fare trend, ed il trash è il modo più veloce per farlo, bypassando il talento di netto, gli artisti che vogliono fare dell'arte si trovano un'altra porta sbarrata: una porta di piombo spessa 50 cm, impossibile da tirare giù, se non con l'unica chiave che permette di valicare tutte le porte.
Il porno. 


Ed è così che se non hai un bel paio di cosce, un volto da fata, un bel paio di tette, se non sei bellino da morire e depilato, o se non hai uno schwanzstucker colossale da mostrare, a nessuno interessa la tua proposta. Le porte del business vengono sempre più sbarrate alla cultura.
Poco importa che si possa vivere di piccoli circuiti, di musica e di scene alternative. La controcultura ci sarà sempre. Ma, di fronte ad una massa imperante, sempre più alla mercé di un bombardamento mediatico totalmente privato del contributo culturale, qualsiasi tentativo di fare arte, e cultura in quanto tale, diventa inutile.
Rovazzi è su questo che si adagia. Io ammiro l'onestà di quel ragazzo per essersi scusato ufficialmente davanti alla comunità dei musicisti italiani.
 Lo avesse mai fatto nessuno prima di lui. 
Ha chiesto scusa, non se lo aspettava, lo ha fatto e si è guadagnato il mio rispetto.
Ma il problema è che lui stava giocando, e tutti lo hanno preso sul serio! Questa è la dimostrazione della merda di mondo in cui viviamo. Se hai 10 miliardi di visualizzazioni, poco importa che tu non abbia niente da dire o sia il Diavolo in persona. Sei qualcuno, la gente ti ammira, ti vuole, vuole stare con te, vuole farti un pompino. Come se ingoiare la tua sborra li avvicinasse a Dio. Ma quale Dio? Qui siamo davanti al più misero dello squallore, alla più becera delle umiliazioni. Io posso ancora capire il discorso della vecchia groupie che è fissata con il suo gruppo preferito e se li vuole scopare tutti, dal primo all'ultimo, che si covi un bel sano desiderio di trasgressione sessuale. Ma qui siamo su un altro pianeta.
Rovazzi.
Saluta Andonio (Marco), quindicenne che viene pagato 5000 euro a discoteca e riceve video di striptease da parte di ventitreenni.
Enrico Papi che resuscita dal dimenticatoio cantando lo stornello con cui lo prendevano per il culo sui social.


Andrea Dipré che si fa spompinare da due 18enni che vogliono farsi pubblicità al loro ingresso nel mondo del porno.

Avevo ragione a scrivere che "il capitalismo ha vinto non perché ha cambiato il nostro modo di essere, ma quello di esistere": i nuovi personaggi famosi sono della gente ridicola che fa cose ridicole e piace in quanto tale. E tutto questo perché siamo sempre connessi, sempre appiccicati ad un cazzo di pc, ma anche il pc è diventato scomodo perché è grande ed impegnativo ed allora usiamo gli smartphone che sono pratici e vogliamo contenuti brevi, per non sforzare il nostro cervellino, e vai allora con il video di Instagram, il Meme, un Pornazzo, un altro video di Instagram, un mi piace al culo della nostra compagna di classe che è diventata modella.
Ma nel frattempo i teatri si svuotano, chiudono. Le Conad aprono negli edifici storici, i contest sono sempre meno partecipati, le piazze sono vuote.
Il giorno in cui i 2001 avranno il diritto di votare la speranza sarà finita. Ci restano solo due anni.
Per quanto mi riguarda, il nuovo presidente potrebbe anche essere Fedez, o Rovazzi. O, ancora peggio, quello che ci ha insegnato meglio di tutti a non pensare più a niente, a dedicare il nostro tempo al nulla più totale. Silvio Berlusconi.
Voi ridete e scherzate (come dice un famoso meme), ma ci sono due aspetti da considerare che hanno un fondamento scientifico:
1. Il nostro cervello è fatto da cellule che lavorano come muscoli. Ci sono certe cellule che si attivano quando leggiamo un foglio di carta. Meno lo facciamo, meno queste sono performanti. In sostanza, è praticamente logico diventare stupidi dopo due anni di notizie flash lette sugli smartphone
2. Quando il qualunquismo, il populismo, le frasi fatte, la risata facile, la logica arrogante del piacione ha una predominanza incontrastata su tutti i campi del sapere (giornalismo, arte, musica), la conseguenza politica inevitabile è il fascismo.
Non lo vorrei mai dire, ma rimpiango il fascismo. Quello vero.
Quello con l'educazione obbligata, le escursioni obbligatorie, gli inni scritti dagli artisti del fascio, le sperimentazioni artistiche.
La democrazia della rete è la madre di Rovazzi. La demagogia virtuale.
Gli adolescenti vanno a ballare Rovazzi. Tutto quello che sanno di Kurt Cobain è che era un figaccione, considerano Jimi Hendrix musica da vecchi.
La fine.

lunedì 4 dicembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #4 Marlene Kuntz



Ebbene sì, eccoci qui ad entrare finalmente nella parte alta (cioè bassa, ahimé) della classifica delle 8 formazioni italiane più deludenti di questo 2017.
Riassumendo brevemente, abbiamo parlato
dei The Circle (#8) – dubbi confermati, artisti della mistificazione informatica
di Motta (#7) – fenomeno della porta accanto con lacune tecniche evidenti,
degli /handlogic (#6) – talento incredibile, ma esploso solo grazie ad un incredibile caso di omonimia
 e della coppia Agnelli/Levante (#5) – eroi indie trasformati in fenomeni da palinsesto.
Oggi però entriamo in un altro regime, quello delle delusioni vere, spietate, in cui il perdono e l’empatia vengono messe da parte di fronte alle spiazzante scelte degli artisti, o dei presunti tali.
Parliamo pertanto de

Le più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 – Marlene Kuntz (#4)
ossia
come costruire una carriera dal talento all’antipatia, senza necessariamente passare dal successo”


"Nel disco "Canzoni per un figlio" hai detto che hai scritto le canzoni con l'intento di tramandare dei valori ad un figlio. Si può dire che, in questo senso, le canzoni siano venute a te o sei stato più tu a venire dalle canzoni?"
"Credi di essere tanto intelligente facendomi una domanda di questo tipo?"

Cristiano Godano, intervista per una web radio fiorentina, 2012

Premetto. Non sono io l'intervistatore, non ho mai conosciuto Godano di persona. O San Godano, come lo chiamiamo tra di noi.
Voglio cominciare così, cercando di essere delicatissimo.
Cristiano Godano è una testa di cazzo. Meriterebbe che qualcuno gli fracassasse la testa.
Meriterebbe di ritrovarsi tra le mani di una venticinquenne che fa finta di rimorchiarlo, lo porta in bagno, gli chiede di slacciarsi i pantaloni e poi accende improvvisamente le luci e lui si ritrova lì, col cazzo moscio in mano, circondato da ragazze bellissime che lo sbeffeggiano per il suo piccolo pene floscio, qualcuna al grido di "pervertito".
I Marlene Kuntz erano un gruppo fichissimo. Fichissima la genesi, fichissimo il nome (un gruppo italiano che fa eco agli Einsturzende Neubaten? Ed io che credevo di essere gli unici a conoscerli…) soprattutto per averlo tirato fuori prima dell’età dell’arroganza hipster – o dovrei dire dell'arrogantismo, la corrente di pensiero dei 2010 – in cui tirare fuori riferimenti di nicchia è diventato di moda.
Un nome tirato fuori agli inizi degli anni 90 in un Italia cui, comunque, il mondo guardava ai Nirvana ed agli Alice In Chains, mica ai Sonic Youth seppur fossero una costola fondamentale, se non i padri indiscussi, del movimento che aveva preso piede oltreoceano.
I Marlene Kuntz erano così fichi che, quando ancora non erano nessuno, un loro demo contenente la canzone Lieve, che sarebbe poi servito per la realizzazione di di Catartica, fece innamorare Giovanni Lindo Ferretti, al tempo forse la persona più influente sulla scena alternativa italiana. Fu proprio Ferretti ad insistere per l’inserzione di Lieve nel primo album dal vivo dei CSI, per non far sì che i Marlene non escludessero il pezzo dal primo disco, come avevano invece intenzione di fare.


 I Marlene, per ragioni sia storiche, che di genere, che per la loro collocazione nella scena alternativa italiana, possono essere utilmente paragonati agli Afterhours. Più estremi in tutti i sensi.
Più estremi nelle scelte musicali, nelle canzoni più complesse e respingenti come nei tentativi pop, più brillanti nelle scelte azzeccate, improponibili in quelle mancate.
A differenza degli Afterhours, che tutto sommato hanno sempre mantenuto un buon livello medio compositivo, si può dire che i Marlene in tutta la loro discografia abbiano realizzato 3 album ottimi, ed un live indimenticabile: Catartica, Il Vile, Ho Ucciso Paranoia e HUP: Live In Catharsis.
Poi, il Nulla.
Una raccoltina con due rivistazioni (Cometa), quattro album di merda, un best of, una vago sussulto di vita con Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini, un'altra rivisitazione dei vecchi successi ed il canto del cigno con Pansonica, che con la scusa dei vent'anni di Catartica ne riproponeva il sound e la grinta. Si può dire che negli ultimi dieci anni la cosa migliore che abbiano realizzato è la cover del classico della PFM, Impressioni di settembre.


Insomma, tre album buoni sono pur sempre un gran numero, sebbene Ho Ucciso Paranoia sia uscito nel…99. Ritornando al confronto precedente, gli Afterhours, senza svalutarsi, hanno fatto uscire Folfiri o Folfox giusto un paio d’anni fa, i Verdena hanno pubblicato gli ottimi due Endekadenz, selezionando tra circa 100 pezzi nuovi pronti, inventandosi di nuovo da capo senza denaturarsi.
E non dimentichiamoci che, nel frattempo, sulla scena, sono apparsi tutti i vari Colapesce, Iosonouncane, Cosmo, Teatro Degli Orrori, eccetera…
I Marlene, in tutto questo, hanno galleggiato per 17 anni, tra tentativi di svolte pop, mal riusciti tentativi di partecipazione a Sanremo, il costante tentativo di riproporre versioni alternative del repertorio dei primi anni e tour pseudoacustici in cui, a fianco all’evidente tentativo di mascherare un esaurimento di assi nella manica, Godano ha impassibilmente mantenuto alta la nomea di intellettuale fatto e finito, poeta-musicista nettamente al di sopra della media, giudizioso e giudicante nei confronti di una società evidentemente impreparata alla portata della sua arte. Le sue dichiarazioni sono tutte altisonanti, il suo comportamento nei confronti degli esponenti della stampa e della radio è sprezzante, altezzoso ed antipatico

 "Parliamo di felicità – Cosa li ha convinti ad affidare a voi la quota rock di Sanremo?"

«Il testo. È un testo che comunica valori di un certo tipo in modo non banale retorica o demagogica. Parla di felicità. Sono insofferente nei riguardi di testi che cavalcano scossoni dell’opinione pubblica, anche perché il tempo raddrizza sempre queste cose, perché passata l’ondata sono testi che vanno nel dimenticatoio. Noi parliamo di qualcosa di universale, collegato al feeling della natura umana. In genere le grandi opere d’arte passano alla storia per sondare aspetti torbidi della persona, e gli aspetti solari lasciano meno l’impronta. Il tormento è più affascinante, forse. Quindi può sorprendere che io mi sia soffermato su questo tema. Ma ero reduce da una lettura affascinate, un libro di un’autrice iraniana Lila Azam Zanganeh, Un incantevole sogno di felicità, un romanzo che analizza l’opera di Nabokov, un autore che amo molto anch’io. E tira fuori il suo tratto poco conosciuto, lui era solare e felice, non burbera come appare nelle interviste. È uno degli autori meno lamentosi della storia della letteratura. Ha la complessità di ragionamento tipica dei russi, ma senza lamento. Lui definiva Dostoevski sentimentale, drammaturgo di quart’ordine. Leggendo mi sono reso conto che potessero essere buoni insegnamenti per mio figlio». 


Cristiano Godano - People, 15 febbraio 2012
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In tutto questo, l’unica cosa che salva ai Marlene è la reputazione che si sono fatti dal vivo, in cui, pare, siano ineccepibili e mostrino una capacità sopraffina nel destreggiarsi sia tra i pezzi del vecchio repertorio che in quelli melensi degli anni 2000.
Nonostante questo, credo che il passo peggiore della loro carriera è stata la partecipazione di quest'anno all’album tributo ai Radiohead, KO Computer.
La partecipazione agli album tributo è sempre un'arma a doppio taglio, può mettere in luce il lato migliore della band, come fu il caso di Mio fratello è figlio unico per gli Afterhours, o la stessa cover degli stessi Afterhours da parte dei Bachi Da Pietra (Punto G), oppure una scelta suicida, come quando Jovanotti interpretò Il suonatore Jones di De André.


Ok rivisitare i Radiohead, e posso capire che quando ti affidano Karma Police in mezzo a tanti altri nomi della scena italiana significa che si aspettano molto da te, ma Karma Police è uno dei pezzi più difficili da reinterpretare, perché da suonare è una cazzata, ma come Yorke non lo canta nessuno.
Ok anche rivisitare Karma Police mettendo in gioco quelle che sono le armi che fanno il Marlene Sound ma, come dice (ahimé) Agnelli, o quell’altro paraculo di Fedez, a X-Factor, ci sono due modi per rivisitare dei pezzi grandissimi. O cerchi di omaggiare la versione originale, cercando di rimanere il più possibile fedele (come ha fatto Agnelli in concerto con Pagani), oppure la rivisiti completamente. Ma ci vuole criterio.


La rivisitazione di quest’anno da parte dei Marlene dimostra che, a conferma della reputazione che si è guadagnata in questi anni, a Godano il criterio gli manca completamente. La sua versione Karma Police che suona esattamente come una canzone dei primi album dei Marlene. Nei suoni, però, si sente l’esperienza accumulata, ed effettivamente sono perfetti.
Godano canta Yorke con quel modo retorico che è diventato il suo marchio di fabbrica, con un autocompiacimento che rasenta l’autocelebrazione, con l'ottica che, di per sé, dare un tocco Marlene nel mettere le mani su un classico intramontabile sia sufficiente.
Invece è proprio l'arrangiamento che non funziona. Per niente.
Fa cacare.
. È semplicemente brutto e sbagliato. Chiunque se ne accorgerebbe. Chiunque, tranne Godano.
E questo perché, evidentemente, a 17 anni di distanza dal suo ultimo buon contributo alla musica italiana, crede ancora di essere sulla cresta dell'onda, il migliore della scena.


P.S:
Lo so che ci tenevate, allora eccovi IL santino nuovo di zecca da mettere sulla finestra.