lunedì 24 novembre 2014

La redazione risponde


L'importanza dello sdegno

Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinchè tu possa dirlo.

Voltaire

Siamo arrivati alla soglia del trentesimo post e finalmente abbiamo avuto i primi riscontri ed i primi contatti da parte dei nostri lettori. Abbiamo deciso quindi di concedere un po' di spazio per delle spiegazioni.
In primo luogo, vogliamo rispondere all'osservazione fattaci da una ragazza che per correttezza chiameremo T.C (Tizia Caia), la quale, indignata per il ritratto impietoso che facevamo della città di Torino, ci invita con falsa cortesia (del resto, come suole dire il proverbio “piemontese...”) a viaggiare di più per allargare i nostri orizzonti culturali e definisce il nostro articolo sugli Eugenio in Via di Gioia come “leccalulo”, infine ci chiede quale sia lo scopo a cui vuole pervenire l'autore dell'articolo.
In risposta a T.C., ed a tutti coloro che hanno sentito un moto di risentimento alla lettura del nostro articolo (che può vantare di essere stato letto quasi seicento volte) sugli Eugenio in Via Di Gioia, noi rispondiamo che va benissimo così, che offendersi è una reazione sanissima e che, anzi, è lecito parlare male di quello che non ci piace. Ed a questo punto la faccenda diventa un po' più complicata, se non paradossale.
Per rimanere informati delle fanfaronerie che scriviamo nei nostri post, infatti, il metodo migliore è proprio schiacciare Mi Piace sulla nostra pagina. In questo modo i nostri disturbanti post compariranno sul vostro feed e sarà più facile lanciare una campagna moralizzante. La procedura è semplice, esiste un pulsante apposito in alto a destra:


Il passo seguente (non per forza necessariamente a seguito del primo, ma caldamente più consigliato), consiste nel cercare l'articolo offensivo e schiacciare il pulsante Condividi


Si può anche aggiungere un bel commento negativo, e ve ne suggeriamo alcuni solitamente tra i più gettonati:

“gente che dovrebbe morire” - rancoroso ed efficace, ma con possibili strascici sul piano legale
“come si permette certa gente di insultare così la mia città?” - patriottico
“ma chi cazzo si credono di essere” - il più tipico
“questi soffrono di sindrome da pisello piccolo” - stile parlamentare berlusconiana
“ma che cazzo” - semplice, ma meno efficace
Come, del resto risulta implicito, il vostro sdegno (data anche la propensione della maggior parte della gente ad indulgere nella deprecazione) rappresenta per noi ottima pubblicità.
Le vostre opinioni ci interessano, che siano esse contrarie o favorevoli, secondo il principio per cui un certo Dandy sovrappeso diceva:
Non importa che se ne parli bene o male, l'importante è che se ne parli
e ricordiamo che il blog è concepito come piattaforma interattiva e di dibattito, per cui è possibile commentare direttamente in fondo alla pagina: basta accedere con Google.


Ora, alla luce di quanto detto, possiamo quindi passare a parlare del termine “leccalulo” e della presunta “intenzione secondaria dell'autore”.
In primo luogo, come si può desumere da quanto appena terminato di dire, il termine leccalulo è inappropriato ed inadatto. La nostra è stata una recensione favorevole, ma il nostro obiettivo principale è quello di parlare apertamente, liberamente e, se possibile, di ottenere una certa visibilità. Il leccaculo ha sempre come secondo fine quello di ottenere dei favori o delle attenzioni particolari. Scrivere un articolo negativo sugli EIVDG ci avrebbe sicuramente dato molta più visibilità perché avrebbe scagliato su di noi l'ira dei fan, catalizzando così su di noi le attenzioni di cui avevamo bisogno. Per quanto riguarda la sottile frecciatina ai presunti “secondi fini”, quindi, rispondiamo che (ed abbiamo tanti articoli dalla nostra parte, basta che li leggiate) il nostro interesse resta solo quello di scrivere in maniera libera ed appassionata, con un'attenzione principalmente rivolta verso la musica e gli atteggiamenti che costituiscono l'immagine del musicista, fuori e sopra il palco, per cui, se vogliamo osannare gli Eugenioblablabla o i Fanali Di Scorta, lo facciamo semplicemente perché pensiamo che se lo meritino.
Ma già che siamo arrivati qui, allora, ci sembra giusto rispondere ad altre due domande/osservazioni molto più pertinenti, che sono:
1)“come mai siete tanto fissati con la figura del personaggio costruito?”
2) “chi vi dà il diritto di esprimervi mettendovi su un piedistallo?”

Parte 1: la responsabilità morale dell'artista


Per rispondere alla nostra fissa sugli “atteggiamenti del musicista, fuori e sopra il palco, rispondiamo citando un articolo del nostro Grande Maestro, Musa ed Ispiratore, Lester Bangs.

Quello che segue è un estratto di un articolo chiamato “Pop, torte e divertimento: programma per la liberazione delle masse sotto forma di prescrizione degli Stooges ovvero “Chi è l'Idiota?” pubblicato dalla rivista americana Creem nelle uscite di novembre e dicembre 1970. L'articolo è anche presente nella raccolta “Guida Ragionevole Al Frastuono Più Atroce” pubblicato in Italia da Minimum Fax nel 2005.

(se non avete il tempo di leggerlo, ci sono sempre le parti evidenziate in grassetto)

L'altra sera io ed un mio amico ci stavamo fumando una canna guardando in tv il Cincinnati Pop Festival [...]. La maggior parte del concerto è stata noiosa e concentrata su gruppi come i Grand Funk […] col cantante che si contorceva e abbiaiava e s'inventava nuovi testi come “Tesorino, ho così tanto bisogno del tuo amore … su dammelo … oh topina mia, ecc” ed i Mountain, con Felix Pappalardi che infilava assoli noiosissimi ed interminabili […] mentre quel ciccione di Leslie West,tutto vestito di pelle scamosciata, ci dava dentro con la chitarra e reagiva alle futilità di Pappalardi con larghe smorfie angosciate e felici, storcendo la bocca e sghignazzando e annuendo come se ogni singola nota che usciva dal basso […] lo stesse mandando fuori di testa come nessun'altra musica prima di allora. Io guardavo tutte quelle pagliacciate con un occhio mentre passavo in rassegna la mia libreria alla ricerca di un libro con cui passare il tempo finchè Iggy Pop non compariva sullo schermo, e quando è comparso è stato bello – non quanto guardare Carlos Santana che faceva gli occhi strabici e quel coglione di Contry Joe che compitava la parola FUCK nel film di Woodstock, badate bene, ma era comunque una bella scena – però la parte più stuzzicante del concerto è arrivata durante l'esibizione di Alice Cooper e soci (che, per quanto sia fastidiosa e stridula la loro isteria da checche anfetaminiche, non si possono certo accusare di prendersi troppo sul serio – se ci fosse una rivoluzione, non verrebbero fatti fuori come Pappalardi e West e George Harrison e tutti gli altri), quando Alice si è accucciato, si è gettato il mantello gonfio sopra la zazzera sparata, come il saio di un monaco, mostrando il petto plastificato dagli ormoni, e si è messo a camminare facendo la papera, come un Chuck Berry in preda a un incubo indotto dal giusquiamo, fino al proscenio, dove ha estratto un orologio dalla tasca, l'ha azionato con aria ipnotica e ha cominciato a salmodiare, in tono calmo e colloquiale “I corpi … hanno bisogno … di riposo”, ripetendo sempre con lo stesso ritmo finché lo spiritosone di turno […] che era tra il pubblico a poco distanza da lui non ha gridato “ E con questo?” Bella domanda. Vi immaginate se qualcuno dicesse “E con questo?” quando Richie Havens attacca tutto convinto con la sua Freedom? Naturalmente è una domanda stupida, dato che ci sarebbero subito una trentina di fan devoti di Richie Havens che si precipiterebbero a smazzolare lo zotico boccalone, se non addirittura a farlo secco […]. Ma a nessuno frega un cazzo di quello che dicono ad A.C., men che meno allo stesso A.C., che forse era addirittura deluso di non aver suscitato più lazzi dalla piccionaia, se non che due minuti dopo ha ottenuto reazioni dal pubblico in abbondanza, quando un tiratore provetto nascosto tra la folla gli ha lanciato un'intera torta […] che l'ha preso in piena faccia. E come ha reagito? Come ha recuperato la veneranda e sacra dignità dell'artista durante l'esibizione, che rivendica il palco come un campo magnetico personale, tutto suo dal quale abbagliare e divertire il pubblico indifeso? Bé, si è tolto dalla faccia un po' di appiccicume della torta e se l'è spiaccicato di nuovo sul muso, spalmandoselo bene sui pori e sugli occhi e leccandosi il dito ogni tanto di soppiatto Ha ripetuto quel gesto un bel po' di volte, spalmandoselo in faccia per bene. Il pubblico non ha osato dire nulla.
Lo scopo di tutto ciò […] è farvi notare che per certi aspetti Alice Cooper è meglio di Richie Havens […] perché almeno con Alice Cooper si ha il privilegio di esprimere in maniera creativa la propria reazione al concerto. La maggior parte dei divi del rock intimidiscono a tal punto il pubblico da essere nauseanti. Ah, sarebbe vera giustizia se tutti i divi del rock dovessero trovarsi a fronteggiare il tipo di reazioni che A.C. provoca nel pubblico, se diventasse prassi comune tirare torte in faccia ai musicisti che secondo il pubblico stanno sparando cazzate […]. Perché i rocker più famosi sono circondati da un'aria mitica, da “superstar”, ed è una faccenda pericolosa, anzi è proprio questo il virus che sta mandando a puttane il rock […], che infesta la “nostra” cultura, dai divi del pop ai politici […] ed a cui gli Stooges si oppongono in modo non categorico, come un plotone di avanscoperta nella guerra imminente per ripulire gli schermi cerebrali narcolettici e buggerati di tutta la terra, liberandoci infine tutti quanti da stili di vita sostanzialmente privi di creatività, nei quali spesso gente che non ha nemmeno l'orma del talento o della personalità o del carisma che possiamo avere io o voi viene fatta assurgere a ruolo di divinità. È tutta una montatura pomposa.
Così adesso capite dove voglio andare a parare, perché gli Stooges sono indispensabili […]. Ci vuole coraggio per fare la figura dell'idiota, per dire: “Vedete, è tutta una frode, tutto il concerto e tutto questo carrozzone iperrealistico, pieno di riflettori e droga, e il fatto che voi siete laggiù ed io sono quassu non vuol dire proprio niente”. Perché le cose stanno davvero così. Gli Stooges hanno quel tipo di coraggio, ma pochi altri artisti ce l'hanno. […] La palese verità è che il 99 per cento dei divi del pop non ha il vero carisma, stile o valore per difendere i loro bastioni […] sul palco senza l'aiuto artificiale di cui si sono sempre avvalsi. La maggior parte di loro, se si beccassero una torta sul muso […], non farebbero altro che crollare, attoniti e sconfitti, incapaci per natura di affrontare faccia a faccia la loro base di sostenitori truffati che hanno mangiato la foglia (per colpa della debilitante vita da bambini viziati che hanno vissuto, anche quelli che magari in partenza avevano le palle – fratelli, l'oppressore è grasso e debole!). Semplicemente, […] il tipico divo del pop non è molto intelligente e nemmeno molto consapevole di tante cose che succedono fuori dal suo sostrato luccicante, e vive per metà nel suo mondo di fantasia, dove l'ego e la vanità autocompiaciuta vengono sovralimentati e corrodono la sostanza come una dieta costante a base di cocaina.

Per quanto non si possa essere d'accordo, questo è il Nostro punto di vista. In sostanza, noi andiamo ad un concerto per ascoltare la musica e vedere lo spettacolo, non per osannare un personaggio. È questo che distingue un fenomeno da baraccone da un'artista. Se suoni bene fai il tuo dovere, ma poi è il contatto col pubblico a fare il resto. Il cantante degli Hives, ad esempio, è un montato senza pudore, ma se da una parte dichiara in continuazione che la loro è la miglior rock'n roll band di sempre, dall'altra non perde un momento per far capire al suo pubblico quanto sia importante per loro. Gioca a fare la rockstar, ma è il primo a non crederci, sa benissimo che la loro musica può essere suonata da qualsiasi coglione. È noto per l'abitudine di invitare sul palco la gente ed invitarla a sostituirsi ai musicisti della band e concede sempre vigorose strette di mano al suo pubblico, tanto che nelle pause si fa passare il cellulare dai fan per scattare lui stesso una foto dal palco (cioè invertendo i ruoli canonici del rapporto artista-pubblico) ai fan e poi restituirlo. 


Dal nostro punto di vista, quindi, non si salvano nemmeno fenomeni tanto idolatrati quali John Lennon, Grace Slick, Jim Morrison, George Harrison, Gene Simmons, Bob Dylan ed, in alcuni casi, neanche quel bonaccione di Bob Marley. Tutti hanno i loro indiscussi meriti (nel caso di Gene Simmons sono da attribuire maggiormente all'attività nel backstage piuttosto che a quella sul palco), ma ciò non significa minimamente che siano delle persone superiori alla media. 
Una volta che ti accorgi della tua grandezza, o decidi di diventare una guida, ed in quel caso devi trovare un modo per scinderti dal tuo super alter ego, e trovare un contatto che ti permetta di comunicare col tuo seguito (vedi la lezione del grande Mahatma), oppure tutto finisce per risultare una leziosa pratica di autocompiacimento e di culto del sé.
Perché, in fin dei conti, se quello che fai è grande, questo non significa che tu sia una bella persona, né interessante. A me non interessa sentire le dichiarazioni di Fedez, per esempio, solo perché è un divo. Fedez è un mezzo coglione (ho letto una sua intervista su Rolling Stones per poter dire che lo è solo a metà), quindi deve stare zitto e tornare a fare (sigh) “musica” (anche se sono sicuro che a zappare l'orto se la caverebbe meglio), non ha nessun diritto di stare ad AnnoUno da quella maestrina della Innocenzi, perché se lo ha lui questo diritto allora lo meritiamo sia io che voi e sono sicuro che avremmo argomentazioni molto più interessanti da proporre.


Parte 2: l'importanza della critica

Fare critica può sembrare, in un certo senso, mettersi su un piedistallo. In realtà è diverso, si mette la propria conoscenza al servizio di un giudizio. È un meccanismo noto ed antico, fin nelle forme più arcaiche di organizzazione sociale: il vecchio saggio siede al concilio.
In questo senso, si può dire che il recensore, o critico, ha la “presunzione” di poter giudicare. Può essere. Essendo a conoscenza di avere una competenza in un campo, il suo ruolo non è quello di fare il giudice su mari e monti, ma semplicemente di argomentare le sue opinioni in merito ad un determinato giudizio e pertinente ad un campo limitato (in questo caso, la musica). Questo, in sostanza, è il principio del cosiddetto giornalismo d'opinione. Questo però è un modus operandi che sta ormai scomparendo dalle riviste musicali, in cui ormai i mezzi pareri e le frasi preimpostate vanno per la maggiore (in alcuni casi non ci si cura neanche dell'ortografia, vedi Outsiders). 
Il musicista intelligente, però, vuole sapere che cosa c'è che non va nella sua musica, perché sa che il suo percorso di crescita e continuo e che c'è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Quindi ecco che il ruolo del giudice-giornalista trova un suo primo scopo.
In secondo luogo, lo scopo di questo tipo di giornalismo è la formazione e, per citare sempre Bangs, la “liberazione delle masse”. Il recensore si fa carico del dovere morale di dividere la merda dall'oro e indirizzare l'ascoltatore verso una scelta più razionale, e tanto più saranno validi le argomentazioni che sarà in grado di fornirgli, tanto più sarà efficiente il suo lavoro. Se non ci fossero stati i critici, cosa sarebbero stati i Velvet Undeground, i Nirvana, i Sex Pistols, i Clash o i Beatles senza qualcuno che ne capisse e li tirasse fuori dalle bettole? Inoltre, tutto quello che oggi viene definito “underground” non avrebbe mai potuto formare la base da cui i nostri musicisti (professionisti e non) attingono e rielaborano per fare la musica dell'oggi e del domani. E sono proprio quei critici che vanno a rivalutare certi insuccessi commerciali attribuendo loro l'indiscusso merito storico che hanno avuto (come ad esempio, White Light White Heat, The Psychedelic Sound Of 13th Floor Elevators, Pet Sounds, The Kinks are the Village Green Preservation Society). Il ruolo del recensore, inoltre, sempre sul piano storico, è di riuscire a capire ed interpretare per tempo i cambiamenti importanti nel mondo della musica, così come la comprensione profonda del legame tra musica e cambiamenti sociali, e come cioè la musica riflette dei fenomeni ben più di ampio raggio, che riguardano la politica e l'economia. Cosa sarebbero stati il fenomeno del punk, dei mods e della new wave, se non ci fossero stati dei critici-giornalisti, capaci di descriverne la portata e trovare gli stessi termini con cui ancora vengono definiti al giorno d'oggi?
In conclusione, dunque, potremmo forse essere tacciati di presunzione e di saccenza, che del resto rappresentano solo un aspetto collaterale di un modo di esprimersi diretto e senza mezzi termini, e di un'attenzione profonda per i fenomeni analizzati, ma si tenga in considerazione che facciamo quello che facciamo perché ci piace, e perché ci crediamo profondamente. Senza secondi fini.

La redazione, Bangszine

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