martedì 13 gennaio 2015

Ed alla fine avevamo ragione!


Queste sono vere soddisfazioni.
Abbiamo una trentina di fans, niente praticamente, ma a quanto pare, ci abbiamo visto giusto e prima degli altri.
Non abbiamo fatto in tempo di far notare a tutti che Nasty, il nuovo singolo dei Prodigy sembrava frutto del precedente album, Invaders Must Day, che lo stesso Liam Howett ha dichiarato di aver lanciato quella traccia per errore. " Il leader ha aggiunto: “Non so come possa essere successo, stavamo lavorato su della musica futuristica veramente all'avanguardia così naturalmente era quella quello che volevamo lanciare, piuttosto che questa canzone che è tutto quello che avete già sentito precedentemente da noi assemblato in tre minuti e mezzo di rumore."

Per ulteriori approfondimenti potete leggere anche questo articolo qui.

Squadra che vince non cambia


 

Premesse:
- mi sono elettronicamente svezzato con i Prodigy.
- resto un estimatore di Liam Howlett. -
questa è la recensione del rompicazzo di turno necessaria a fini statistici
Qualche mese fa, dopo un lungo silenzio, ci fu l'interruzione dello stesso ed una voce (quella di mr. Howlett ndr) disse che il prossimo album sarebbe stato "violent-sounding". Forse è il frutto delle delusioni accumulate fin'ora, ma ogni volta che qualcuno che ha già fatto la storia della musica annuncia un fatidico nuovo album mi tremano le gambe, mi si gelano le dita e tiro un sospiro: ho sempre paura.
Cosa ci sarà mai da avere paura? Credo derivi dalla consapevolezza che ormai chiunque, anche voi sareste pronti a vendere vostra madre in catene per 10 euro e 10 minuti di gloria e quindi tutto sommato mi sembra legittimo lasciarlo fare a qualcuno in possesso di una buona fetta del mercato, per lo meno avrà i mezzi per farlo meglio.
Fare surf, ovvero cavalcare l'onda, è storicamente più facile che creare il più piccolo dei flutti e nel 2015 l'onda non è composta da acqua e sale, diciamo che è fatta di acqua e sale digeriti e qualche residuo organico non catturato dai villi, ecco perché ho paura. Ma bando alle ciance, e veniamo all'ascolto vero e proprio. 


È stato pubblicato giusto qualche ora fa e mentre scrivo sta facendo il giro del web, negli stessi attimi, terminato il primo ascolto mi chiedo: ma di che anno è? Non è che per caso ho messo in riproduzione Invaders Must Die e non mi sono accorto di questa traccia fantasma? No, non mi sbaglio, è proprio il primo estratto del nuovo album (The Day Is My Enemy) in uscita il 30 Marzo. 

Da qui viene fuori la domanda cruciale: è possibile che 6 anni non abbiano portato nessuno spunto nuovo degno di nota? Evidentemente si, ma forse no, insomma, spesso quello che passa per la testa di un musicista, e che magari scrive anche, non è per forza solo quello che viene poi pubblicato, soprattutto in ambito "professionale": ci tenevo a sottolinearlo giusto per insinuare un po' il dubbio e spezzare in anticipo una mezza lancia a favore, perché musicalmente qui non c'è proprio nulla di nuovo, c'è sempre Flint che canta da psicopatico, il mitico beat molto big e tutti quei sintetizzatori che possiamo definire ben riusciti ma non eccessivamente incisivi. 
Voglio dire, non vi basterà un ascolto per fissarli, violenti o nolenti, nel cranio. Vi piace questa formula? Allora vi piacerà anche Nasty.

Ed il video? Forse mr. H si è un po' fatto prendere la mano dopo aver visto le realizzazioni dei Queens of the Stone Age, soprattutto quelle inerenti Like Clockwork. Si, va bene, è roba carina, ma non sono stati neanche loro i primi e trovo la somiglianza un filo troppo marcata, la distanza temporale un po' troppo sottile.
Tirando due somme, non c'è nessuna nuova tendenza all'interno. Un bene? Un male? A voi l'ardua sentenza, una cosa è certa: ci risparmieremo una sfilza di chiacchere da bar per le quali "Eh ormai anche i Prodigy si sono venduti, non sono più quelli di una volta, blablabla...." mentre invece gli elogi dei nostalgici si sprecano a a confermare ancora una volta che il passato sia il nuovo futuro.

Insomma, i Prodigy hanno vinto in ogni caso, noi abbiamo perso e nel frattempo aspettiamo di ascoltare (senza limitarci a sentire) il resto dell'album, ma non senza un po' d'amaro in bocca. E non si tratta del sapore del caffé.

domenica 11 gennaio 2015

L'ennesima vittoria di Wayne Coyne - Parte 2


With A Little Help From My Fwends

01 Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club 
(featuring My Morning Jacket, Fever the Ghost & J Mascis)
With A Little Help From My Friends 
(featuring Black Pus & Autumn Defense)
Lucy In The Sky With Diamonds 
(featuring Miley Cyrus & Moby)
Getting Better 
(featuring Dr. Dog, Chuck Inglish & Morgan Delt)
Fixing A Hole 
(featuring Electric Würms)
She's Leaving Home 
(featuring Phantogram, Julianna Barwick & Spaceface)
Being For The Benefit of Mr. Kite! 
(featuring Maynard James Keenan, Puscifer & Sunbears!)
Within You Without You 
(featuring Birdflower & Morgan Delt)
When I'm Sixty-Four 
(featuring Def Rain & Pitchwafuzz)
Lovely Rita 
(featuring Tegan and Sara & Stardeath and White Dwarfs)
Good Morning Good Morning 
(featuring Zorch, Grace Potter & Treasure Mammal)
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club (Reprise) 
(featuring Foxygen & Ben Goldwasser)
A Day In The Life 
(featuring Miley Cyrus & New Fumes)

Rivisitare un'opera musicale che ha ispirato generazioni di musicisti è tutt'altro che un lavoro semplice, né costituisce di per sé una novità assoluta. Bisogna saper essere creativi ed allo stesso tempo non sfigurare rispetto alla versione originale. Ci sono artisti che vivono esclusivamente di questo, come gli Easy Star All Star, il progetto dub che aveva già rivistato tre capisaldi come The Dark Side Of The Moon, Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band ed Ok Computer


L'album maggiormente preso di mira dalle band mainstream, in questo senso, sembra proprio essere The Dark Side Of The Moon, di cui si possono segnalare anche un'inutile “copia carbone” dei Dream Theater, la recente pubblicazione di una versione dei Gov'T Mule ed, appunto, l'omaggio appassionato in chiave barrettiana dei Flaming Lips, The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing The Dark Side of the Moon


Si tratta di un album che aveva colto fin dal principio la mia attenzione per la copertina un po' irriverente ed oltraggiosa e del quale rimasi a lungo un po' scettico ed un po' spaventato allo stesso tempo, quasi come se l'idea del solo pensiero che qualcuno potesse mettere le mani sul Lato Oscuro Della Luna rappresentasse un oltraggio a qualcosa di sacro almeno quanto lo è l'immagine di Maometto per qualche scriteriato con la barba lunga a cui piace far saltare gente a caso per le strade di Parigi, Londra o Madrid.
Fu proprio quando mi decisi a lasciare da parte le mie reticenze che mi accorsi di quanto mi stessi sbagliando. Spesso le reinterpretazioni, anche se è lo stesso artista a riproporre i suoi pezzi anni dopo, finiscono per causare un certo senso di nostalgia per le versioni originali: manca il sentimento che l'artista mette nel momento stesso in cui crea e vive la canzone, e quella è una cosa unica, irripetibile. In The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing The Dark Side of the Moon, invece, non si sente niente di tutto questo. Le canzoni sono le stesse di The Dark Side Of The Moon, ma gli arrangiamenti ed alcune soluzioni ritmiche ed armoniche sono così diverse che non ti passa neanche un attimo per la testa di fare confronti con la versione originale. È una cosa bellissima, e secondo me è esattamente lo stesso che ha fatto Quentin Tarantino quando in Inglorius Bastards fa trucidare hitler da degli ebrei di origine americana, o di Duchamp quando disegnò i baffi alla Gioconda: si tratta di prendere uno stereotipo, anzi diciamo un tabù (come la rivisitazione di un'opera ritenuta ineguagliabile per bellezza o meriti artistici, o un tema delicato come lo sterminio degli ebrei o il corso della storia stessa) e riappropriarsene, attribuendogli così significati diversi. 


Perché uno dei problemi più grandi di questa generazione (e della musica generale) – e sto parlando di un problema che è al centro del dibattito filosofico da anni – è che si ha l'impressione che sia un po' già stato fatto tutto e che non si possa produrre niente di nuovo e spesso si guarda al passato con nostalgia, ci si cristallizza sull'idea che ci sono cose (come The Dark Side Of The Moon, o il Sergente Pepper) che mai saranno uguagliate perché, del resto “erano altri tempi” oppure “i tempi sono sbagliati”: si ha l'abitudine di guardare molto al passato ed avere poca fiducia nel futuro. E così quei patrimoni indiscussi rimangono lì in bella mostra, a portata di tutti e nessuno, come una bella fica che non disdegna fare quattro parole con tutti ma non la mai a nessuno. Ed i Flaming Lips, così come Duchamp, così come Tarantino, hanno quella capacità di sbloccare la situazione, impadronendosi del Sergente Pepper e dipingendo baffi a destra e a manca sulla sua faccia, stravolgendo le strutture delle canzoni, infilando sintetizzatori saturi come un rollo di pancetta che cuoce nel burro fuso, quasi come se Coyne, capo indiscusso di tutta questa baracca di anarco-insurrezionalisti, volesse gridarci a spada tratta: “Questo album è un patrimonio dell'umanità, di tutti! Inutile limitarci a guardarci indietro, non bisogna essere prevenuti! Tanto vale scherzarci sopra, tutt'insieme, in questa bellissima giostra che è la musica, perché un mito nasce proprio quando cadono i tabù che ruotano attorno ad esso!”
La personale rivisitazione dei Flaming Lips del famoso Sergente Pepper è un colpo messo incredibilmente a segno.
 Il progetto nasce a metà tra l'idea di ripetere la grande sfida di The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing The Dark Side of the Moon e della pubblicazione di un album dalla formazione allargata che è già stato alla base di The Flaming Lips And Heady Fwends.
With A Little Help From My Fwends è una specie di versione sgangherata ed in chiave noize del classico dei Beatles. A mio giudizio le versioni migliori sono proprio quelle della title-track e la tanto chiacchierata Lucy In The Sky With Diamond, che vede alla voce la pop star più discussa degli ultimi anni.
Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band ha il pregio di riuscire ad aumentare la teatralità della presentazione in chiave musicale, pur facendo a meno dell'orchestra di fiati che affiancava i Fabolous Four. È più dinamica, quasi ballabile, con tutti quei suoni elettronici che fanno da sfondo alla voce esile che presenta la band. Il bridge ad un minuto, invece, presenta quel suono vibrante che riesce a rendere quasi tangibile quell'immagine da circo che i Beatles volevano tanto ma non avrebbero mai potuto sognare di realizzare: e questo perché, pur essendo dei musicisti di tutto rispetto rispetto a Coyne e Drozd, ai Fab Four è sempre mancata la sfacciataggine musicale dei Flaming Lips. Il ritornello, invece, sembra preso in prestito dalla versione di Jimi Hendrix ed è un muro di overdrive e distorsioni (neanche la voce è risparmiata), ma ciò che veramente sono il rallentamento che la precede e la successiva accelerazione: una piccola manovra permessa dall'aiuto del progresso tecnologico, ed il risultato è come se la canzone fosse un collage di tre parti montate assieme ed un pezzo unico allo stesso tempo. 


Lucy In The Sky With Diamonds, che presenta Miley Cyrus alla voce, che peraltro non sfigura per niente su quella tonalità (anche se manca quell'appeal psichedelico che aveva solo ed esclusivamente la voce di Lennon), sembra riuscire ad enfatizzare la portata emotiva del ritornello, grazie a quello stacco di tastiera che lo introduce. È probabile che il merito di questo ritocco sia ad attribuire a Moby (altro collaboratore del pezzo), ma la saturazione ed il suono delle tastiere costituiscono ormai un marchio di fabbrica dell'ultima produzione dei Lips (7 Skies H3 in particolare).
Negli altri pezzi, in generale, ci si ritrova davanti a delle versioni più sporche e rumorose delle originali. In alcuni pezzi la componente elettronica è veramente preponderante: Fixing A Hole è così pesantemente filtrata che sembra venir fuori da un'allucinazione di Donnie Darko, She's Leaving Home ha una batteria elettronica pesantemente trip-hop, Being For The Benefit Of Mr Kite, col suo basso ripetitivo privo di variazioni tonali e tutti quei synth cupissimi, sembra provenire direttamente dall'oltretomba, le voci robotiche di When I'm Sixty Four sopprimono così tanto il senso melodico della composizione originale che quando appaiono i suoni di campana sembra uno sprazzo di paradiso all'inferno, Lovely Rita sembra un pezzo indie new wave, Good Morning Good Morning ha uno stacco indimenticabile a 01:50, come se avessero chiamato un coro di robot ad intonare un gospel.
La bonus track, A Day In The Life, vede di nuovo la presenza di Miley Cyrus. 

È ormai noto come la band sia in buoni rapporti con lei. Ho come l'impressione che i Flaming Lips stiano facendo per la scena indie rock quello che Miles Davis ha fatto dei musicisti jazz per anni e cioè di saper riconoscere i fenomeni musicali degni di nota e fornire i giusti spazi perché lo possano dimostrare. Non è un caso che nel precedente The Flaming Lips And Heady Fwends apparissero Bon Iver ed i Tame Impala, che oggi sono dei fenomeni indiscussi. 

 
 
Stando alle loro interviste, sembrerebbe che la Cyrus abbia la testa sulle spalle molto più di quanto voglia far credere e che stia semplicemente sfruttando il proprio corpo e certi atteggiamenti un po' osé (come, del resto hanno fatto anche Lady Gaga, Cher, Madonna, Rihanna, Shakira, Grace Jones, Jennifer Lopez, le Serebro, Cristina Aguilera prima di passare alla famiglia dei cetacei, Britney Spears, le Spice Girls ecc ecc…) come pura strategia di marketing, La sua recente amicizia coi Flaming Lips le farà imparare molto ed è probabile che da lei potremmo aspettarci delle sorprese, questa volta finalmente sul piano musicale.

E quindi ringrazio i Flaming Lips, e ringrazio Wayne Coyne perché quando si tratta di Wayne Coyne non si possono avere certezze e diventa finalmente bello dubitare di sé stessi e di tutte le nostre certezze, e credo che per questa generazione lui e la sua musica siano una vera manna dal cielo così come lo erano Lou Reed ed Iggy Pop per gli anni 70, perché portano avanti una piccola rivoluzione che ha qualcosa da insegnare ad ognuno di noi.

sabato 10 gennaio 2015

L'ennesima vittoria di Wayne Coyne


Prima parte

Il mio sogno? essere Wayne Coyne.


Eccolo qui, Wayne Coyne. Non pensiate che ci sia inganno: è proprio il suo sorriso. Coyne è la persona più realizzata che abbia mai visto in vita mia. Cantante afono, chitarrista approssimativo, amante delle belle tette (grosse e sode, da modelle), della marijuana e dei derivati dell'acido lisergico, appassionato di musica dei Pink Floyd, Coyne a 23 anni non aveva di certo la strada del successo dischiusa davanti a sé, né avrebbe mai potuto sperare in un impiego stabile. Anzi, probabilmente era proprio quello che avremmo definito, senza mezzi termini, un cazzone



Eppure, le strade della vita lo hanno portato ad essere prima il chitarrista e poi il leader e cantante indiscusso di una interessante formazione a 3, i Flaming Lips, almeno fino alla prima metà degli anni 90. Successivamente, il collettivo si è allargato per dare spazio alla nuova mente creativa del complesso, Steven Drozd.
Ora, non posso fermarmi a spiegarvi tutto quello che hanno fatto i Flaming Lips nel corso della carriera, perché se lo facessi un articolo come questo non basterebbe.
Mi limiterò a dire che i Flaming Lips dal 1983 ad oggi, dopo 17 album uno più diverso ed interessante dell'altro, non solo sono sopravvissuti, ma sono una delle formazioni più floride e creative sulla faccia della terra. Wayne Coyne ha 53 anni, è completamente afono ma continua ad essere pieno di sorprese.
Negli ultimi tre anni i Flaming Lips hanno pubblicato:

The Flaming Lips 2011 #1: Two Blobs Fucking

  realizzato su Youtube come dodici video, ognuno con relativo video, da riprodurre simultaneamente con dodici smartphone

The Flaming Lips 2011 #2: The Flaming Lips with Neon Indian

 

The Flaming Lips 2011 #3: Gummy Song Skull 


realizzato come un grande teschio in gelatina edibile contenente un USB con 4 canzoni
The Flaming Lips 2011 #4: The Flaming Lips with Prefuse 73




The Flaming Lips 2011 #5: The Soft Bulletin Live la Fantastique de Institution 2011
 

The Flaming Lips 2011 #6: Gummy Song Fetus 

  realizzato come una replica di un feto non nato in gelatina edibile contenente un USB con 4 canzoni

The Flaming Lips 2011 #7: The Flaming Lips with Lightning Bolt



The Flaming Lips 2011 #8: Strobo Trip - Light & Audio Phase Illusions 
 Toy 

https://www.youtube.com/watch?v=gtiVedrPIOE


contenente una canzone della durata di sei ore, I Found A Star On The Ground


The Flaming Lips 2011 #9: 24 Hour Song Skull
 

  realizzato per Halloween, contenente un vero teschio umano con una flash drive integrata contenente una unica traccia di 24 ore, 7 Skies H3

The Flaming Lips 2011 #10: Atlas Eets Christmas - Infinite Christmas Sounds


The Flaming Lips 2011 #11: The Flaming Lips with Yoko Ono/Plastic Ono Band



2012


The Flaming Lips and Heady Fwends


2013


The Terror

Peace Sword

2014

7 Skies H3 – una versione di 50 minuti di 7 Skies H3
With a Little Help from My Fwends – la rivisitazione, in collaborazione con altri artisti, del classico “Stg Peppers Lonely Hearts Club Band”

Le uscite di quest'ultimo anno non hanno lasciato per niente a desiderare. 
Cominciamo con 7 Skies H3.

7 Skies H3 (Can't Shut Off My Head)
Meepy Morp
Battling Voices From Beyond
In A Dream
Metamorphosis
Requiem
Meepy Morp (Reprise)
Riot In My Brain!!
7 Skies H3 (Main Theme)
Can't Let It Go


La decisione di pubblicare 7 Skies H3 ha permesso finalmente di rendere accessibile le idee musicali del sopracitato Teschio. L'opera originale era stata concepita come “un disco che dovesse fare da sfondo sonoro ad un'intera giornata lavorativa”. Si trattava di musica di sottofondo, che non cerca di prendere troppo l'attenzione dell'ascoltatore, e quindi con ritmi molto lenti ed accordi di piano “eterei” che durano all'infinito (la sola Meepy Morp, nella versione originale, durava quasi un paio d'orette, per intenderci).
In questo disco, le idee vengono compattate e le canzoni assumono una forma più dinamica, che permette di fare capolino alle due dimensioni che hanno contraddistinto i Flaming Lips degli anni duemila, quella rumorista-psichedelica inaugurata con Embryonic (Battling Voices From Beyond, Metamorphosis), così come quella del pop un po' kitsch un po' psichedelico (Rice for The Prize, per intenderci) che li aveva contraddistinti dati tempi di Yoshimi Battles The Pink Robots, che fa proprio capolino nelle pennellate di tastiera che intervallano quel complesso multicolore che è Metamorphosis. Riot Brain, invece, rappresenta un inaspettato ritorno alla dimensione punk-noize del periodo anni 80 (Telephatic Surgery, Cloud Taste Metallic). 

L'album si presenta come un concept che gira intorno al tema principale di 7Skies H3, un giro ciclico di accordi in minore molto semplice, accompagnato da un tema di sintetizzatore nel migliore stile Shine On You Crazy Diamonds. I Flaming Lips si districano abilmente (come del resto hanno già dimostrato con Embryonic e I Found A Star On The Ground) tra diversi livelli e stili di psichedelia. L'album si evolve come un flusso musicale continuo. La litania quasi liturgica di Can't Get My Head Off (che introduce il tema principale) sfuma sulle tastiere distorte e sospese di Meepy Morp che quasi riconducono alle famose Campane Tubulari, per poi virare verso i terreni cupi e drammatici (Battling Voices From Beyond) ed infine cedere spazio ad un omaggio al movimento kruat rock(In a Dream) (un tentativo simile si era visto già in Pompeii Am Götterdämmerung). 


Echi del tema principale tornano in Metamorphosis, seppur soffocati da un milione di suoni e rumori quasi distanti, come se la melodia facesse fatica ad uscire, per poi passare a Requiem, dove l'atmosfera in bilico tra melodia ed asfissia si respirano accordi estesi ed armonie jazzate. Il tema di 7 Skies H3 viene così reintrodotto tramite una serie di rumori quasi indistinti (Meepy Morp reprise) che evolvono verso il caos quasi free di Riot In My Brain, in modo che il semplice fatto che si ripresenti conceda quasi un sollievo rispetto al pezzo precedente. In realtà credo che 7 Skies H3 sia un brano un po' sprecato, perché su un giro di accordi semplice e ripetitivo del genere, un buon chitarrista pentatonico avrebbe potuto trasformarlo nella nuova Maggot Brain o Shine On You Crazy Diamonds, o per lo meno avrebbe impresso gli ascoltatori come aveva fatto a suo tempo John Frusciante in Before The Beginning.


 Ma, dopotutto, questo non è il modo di suonare dei Lips, che non avranno mai voglia di impressionarci con assoli pentatonici lunghi e melodici, se preferiscono forzarci ad ascoltare un'esecuzione come quella di Powerless.

La chiusura è affidata a Can't Let It Go, con un altro semplice giro di accordi pop che mi ricorda molto Sunday Morning Call degli Oasis


È anche questa una ballata triste che scema nel riff di sintetizzatori introdotto nel primo pezzo, chiudendo così il circolo con un bel crescendo melodico.
7 Skies H3 si presenta così come un disco semplice, quasi un divertissement di una band in ottima salute, per niente invecchiata e pienamente consapevole delle proprie possibilità e sempre capace di mettersi alla prova (non mi sarei mai aspettato un pezzo come Riot In My Brain). È un disco il cui limite e pregio risulta proprio nel suo aspetto apparentemente arrafazzonato: sono poche idee, buttate lì in maniera da creare un flusso pressoché continuo, ma che colpiscono nel loro insieme per coesione e la semplicità. Can't Get My Head Off non ci fa certo rimpiangere i bei tempi del Soft Bulletin e troverà sicuramente lo spazio che si merita nei prossimi concerti della band.

domenica 4 gennaio 2015

#4 The Rouse Project


Non è facile mantenere un livello compositivo medio alto ed allo stesso tempo assecondare i ritmi delle uscite, quando si recensisce. Possono capitare minime variazioni nella vita di tutti i giorni e si perde subito di vista il blog. Un piccolo screzio e si perde la voglia di aprire il blog o la pagina facebook. A volte si fa una critica che poi si trasforma in un insulto oppure si fa un complimento che poi si trasforma in insulto verso gli altri. Tralasciando il nostro interesse verso la musica più di larga portata, a livello emergente abbiamo finora incontrato
  • i Mothercar, che hanno accolto a braccia aperta la nostra lusinghiera recensione
  • i Moheir, che dopo averci contattato come se fossimo l'ultimo fenomeno mediatico italiano, con tanto di redazione e contatti intermedi, si sono limitati a fare finta che la nostra recensione non fosse uscita
  • gli Eugenio in Via di Gioia, con cui il responso critico è stato così ben accetto da porre le basi per un incontro diretto coi quattro (tre, anzi, mancava il batterista)
  • i Chemical Wakes, che sebbene abbiamo mostrato molta sportività (e noi di Bangszine molta di meno ed infatti chiediamo scusa pubblicamente, in quanto inizialmente avevamo cominciato a spammare il nostro articolo su ogni loro post) nell'accogliere una recensione attenta ma in fin dei conti negativa, probabilmente sono rimasti offesi per il riferimento alle Scienze della Formazione (che voleva essere una battuta su degli stereotipi, ma insomma, a buon intenditor, poche parole)
Nell'articolo sugli Eugenio in Via di Gioia, che voleva essere rivolto anche alla scena musicale di Torino in generale, avevo citato una serie di gruppi al solo scopo di mettere in luce qual'era ormai la portata degli EIVDG. Molti hanno inteso il riferimento ai gruppi citati come una critica verso questi ultimi ed in particolare al povero Fishborn al quale va tutto il mio rispetto. Abbiamo pensato che la cosa migliore per dimostrare che le cose non stanno affatto in questa maniera fosse dedicare uno spazio personale a 5 gruppi emergenti diversi.

#4 The Rouse Project – The Rouse Project (Ep)

 Nemesis
Vamp
Iguana In December
Easter
Crack

ossia Quando Enrico fa a meno di ESMA

Registrato presso lo studio Cerchio Perfetto di Tino Paratore (Arturo, Nerorgasmo, Belli Cosi, Isobel, Jinx, Titor, Acid Food, Braindamage) The Rouse Project è un processo che esce sottotono, sottovoce, proprio nella maniera opposta alla quale il suo principale artefice, Enrico Esma, è abituato. Abituato fin dalla tenera età ad essere riconosciuto come uno dei fenomeni musicali più interessanti prima a livello locale (Handle With Care) e poi a livello nazionale (Moog) all'età di ventun anni, Esma ha sempre avuto un po' di problemi col senso della mezza misura. 


Dopo la piacevole parentesi dei Sidera Ves, tranciata di netto dall'iniziativa di Vicio (bassista dei Subsonica, promotore di quel tamarrock di cui sono artefici i SICA) di trasformare il valido progetto in una puttanata elettronica e, a quanto risulta da voci di corridoio, da screzi amorosi con la bassista, Esma è diventato un progetto solista. I risultati sono stati altalenanti.


Registrazioni iniziate, rimandate, cambi di produttori, suddivisione del progetto in un paio di album differenti, rimaneggiamento di pezzi vecchi, attingendo addirittura dal catalogo Sidera Ves (Tossine, che è diventata Anestesia), 


che hanno dato origine ad un album eclettico ma discontinuo, che se da un lato trova i suoi picchi espressivi nella bellezza poetica di certe immagini poetiche (Pianoforte In Fiamme Sulla Spiaggia), dall'altra si perde in un pop melenso, seppur comunicativo, ma piuttosto scialbo e dimenticabile (Dente Di Drago, Resto Abile). Del resto, Esma rimane un chitarrista elettrico profondamente ancorato agli 90 ed ai Deftones come ai Vex Red e dà il meglio di sé proprio quando il suono si fa saturo (Faraon, My Sweet Galera, Anestesia) ed è proprio quando l'acustica sostituisce l'elettrica che il sound ne risente in potenza ed efficacia (Universo, Vanessa). In particolare, il finale di Vanessa è completamente sprecato – e non è di certo un video a la Jodorowsky a risolvere il problema – ed avrebbe dovuto essere saturo almeno quanto l'attacco di Anestesia.


Ed ho anche le prove per dimostrarlo!


Un discorso a parte merita Cambia Il Mondo, che era perfetta nella sua versione originale quanto inutile la rivisitazione poppy che appare nel disco. La canzone può essere presa come il simbolo dell'Esma semplice e comunicativo, quello che ci piace. Anzi, di Enrico e del meglio che ci può offrire: canzoni semplici, dirette, perché non è detto che la presa di coscienza debba per forza consistere nella comprensione di un concetto troppo astratto. Come lui stesso disse: “Il bello della vita è gratis!”.



Come una Stella, invece, nella sua perfezione cristallina, non era che un plagio bello e buono di Everlong, ripulita dal marchio Foo Fighters e con uno stacco d'ampio respiro nel mezzo.

 
Con i Rouse Project, invece, Enrico torna alle origini. Lasciata da parte l'immagine del personaggio un po' fricchetotone un po' megalomane che il chitarrista che si era costruito attorno a sé, Enrico impugna l'elettrica e la suona come non aveva mai fatto negli ultimi dieci anni, accompagnato dal fedelissimo batterista Gianluca "Gillo" Mangione, già presente nei Sidera Ves e nella formazione degli ESMA ai tempi di Come Una Stella (i Lupo) e della vittoria all'Italia Wave regione Piemonte (peraltro, un articolo della stampa riporta Esma come vincitore nazionale, per quanto il concorso sia sempre stato solo regionale: Dio santo, vorrei proprio sapere chi è paga questa gente disinformata per scrivere al posto mio su quotidiani di fama nazionale).
 Il risultato è molto efficace e per niente pretenzioso: una new wave ridotta all'osso, duo chitarra batteria, con qualche sovraincisione di basso qua e là a cura dello stesso Enrico, che però guarda ad uno spettro d'influenze ben più ampio, che comprende lo stoner di vecchio stampo (Kyuss) ed un certo alternative metal anni 90 (Deftones su tutti). I primi quattro pezzi sono composizioni originali del gruppo, mentre la chiusura è affidata a due pezzi rivisitati direttamente dal catalogo Sidera Ves: Crash, che risulta abbellita un generale miglioramento tecnico nella vocalità e Chupacabras, forse il pezzo più bello del disco, un outro tutta Moog e distorsioni, che sfocia in un casino psichedelico che non può che ricordarmi i migliori momenti di Welcome To Sky Valley.

L'attacco è affidata a Nemesis, che comincia con la classica vocina campionata incomprensibile e ricalca un certo songwriting direttamente collegabile con i migliori episodi della new wave italiana (i Litfiba di Desaparecido, Diaframma): ricordiamo che gli Esma hanno anche avuto l'occasione di aprire Federico Fiumani e soci. La pronuncia non è di certo delle migliori, la timbrica sembra voler volutamente ricalcare il modo di cantare degli Editors. A seguire l'ipnotica Vamp, con quel basso che penetra ed un riff al fulmicotone che non lascia scampo. Tutto è lasciato al minimo: quattro note arpeggiate, la voce sembra il delirio di uno sballone in preda ad un acido (What You Think You Are...Thinking Is Destiny...The World Within/The World Without ed altre stronzate). Nella sua estrema indefinizione, a me piace un sacco, almeno la prima metà, fino all'arrivo di quel riff noiosetto che si dilunga troppo.
Iguana In December ha un attacco meraviglioso che ricorda qualcosa a metà tra un certo alternative anni 90, un riffone alla Who e Jump dei Van Halen, per poi tornare su un arpeggio ripetitivo ed a tratti opprimente su cui ritorna la voce a la Editors. Il gioco, ancora una volta, funziona grazie all'apertura melodica del ritornello che crea così un effetto di catarsi, per poi evolversi un frequenze un po' più più distorto ed un'altra bella coda casinara
Easter, invece, è un bellissimo strumentale che mi rimanda a certi pezzi minori (ma non per questo dimenticabili) dei Mogwai privi del prevedibile crescendo.Tre minuti ideali per fare da spartiacque alla parte più cattiva del disco, dedicata al rispolvero del catalogo Sidera Ves.
In conclusione, quindi, il progetto Rouse Project, che nasce e scompare nel tempo di comporre, arrangiare e registrare le canzoni, ci mostra una band matura (Esma è arrivato a 33 anni) e pienamente consapevole dei propri mezzi, capace di spaziare i generi e dare spazio al bagaglio di esperienza accumulato in 15 anni di attività tra progetti musicali differenti.
Probabilmente la miglior incisione di Enrico Esma.

VOTO: 65

Enrico Esma: Voce, chitarra elettrica, basso, Moog
Gianluca "Gillo" Mangione: batteria

#5 The Circle - Life In A Motion Picture Soundtrack

L'articolo desiderato è stato rimosso.

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La redazione Bangszine