Che cos'è che fa un'artista, se non la
persona che c'è dietro?
È una bella domanda da porsi.
Mi
ricordo che qualche tempo fa io ed un mio amico stavamo tranquilli
seduti sul divano a fumarci un bel cannone ed ascoltando Fred Wesley,
quando di colpo ho sentito l'esigenza di raccontargli quanto mi
risultasse estenuante accettare i complicati meccanismi alla base
della vita sociale torinese.
“Torino è una città estremamente
competitiva” gli dicevo “Non puoi uscire una sera a prenderti una
birra senza dovertene per forza venire fuori con qualcosa di
eclatante. E poi cosa succede? Te ne arrivi lì, entri nel
pub, o ti siedi su quella sozza panchina in Largo Saluzzo, la spari grossa e la
gente per un minuto o due sembra anche piuttosto soddisfatta. Ti
guardano con delle facce del tipo: “molto bene” o del tipo:“forse ho
fatto bene a non rimanere tutta la sera davanti al computer
stanotte”. Poi però seguono puntualmente due minuti di silenzio
imbarazzati. Qualcuno si rolla una sigaretta. Qualcun altro si guarda
intorno. La stragrande maggioranza scrive sul cellulare o addirittura
controlla il proprio status su facebook, almeno finché uno della compagnia non
se ne viene fuori con un'altra sparata: si crea un circolo vizioso.
Ci si guarda intorno, si parla, ma non si comunica. E la situazione,
dopo un po' non si smuove, è tipico. Migliaia di ragazze ti passano
intorno, t'innamori puntualmente una, due, tre o dieci volte ma
qualcosa ti dice che non muoverai mai un dito per staccarti da quel
gruppettino inutile: sei annoiato, sei stanco, non staresti simpatico neanche
a te stesso. Ed allora ritorni ai tuoi amici, a
quelle chiacchiere senza senso, in attesa che l'alcool ti salga in
corpo. Ed è a quel punto che, se sei un po' sveglio, capisci che
l'amico con cui stai uscendo in fondo è lui, il sacro nettare di
Bacco. Ti guardi di nuovo intorno e ti rendi conto che il 90% delle persone
sono nella tua stessa situazione e che quelli che passano la metà
del tempo a spippolare su facebook stanno ancora peggio perché
preferiscono l'idea di essere ricercati piuttosto che ricercare qualcosa nelle persone che hanno intorno.”
Lui mi ha guardato con uno sguardo
beffardo, gli occhi lucidi ma non ancora rossi. Ha fatto sventolare
la canna davanti a sé come se la stesse usando per dirigere
un'orchestra, ha incrociato le gambe ed ha cominciato a sostenere
che, in fin dei conti, Torino non è che un grande, immenso liceo,
almeno finché la gente non si rende conto di aver compiuto i 35
anni. Ha esordito come un libro stampato: “Vedi, il Torinese medio
– e per Torinese non mi riferisco ad un torinese DOC (anche perché
quelli sono pressoché estinti) ma una persona che vive a Torino - è
un borghese timido e generalmente un po' viziato, al quale non manca
nulla se non un po' di affetti umani. E non mi riferisco a quegli
affetti tipo familiari. Neanche a quelli relazionali. Però quante
volte hai visto un ragazzo ed una ragazza fequentarsi, la loro
reazione è uno schifo, lo sanno tutti, lo sanno loro, eppure quei
due tirano avanti per 3-4 anni, proprio nel fiore della loro vita?
C'è gente che sostiene che il vero amore sia questo. In realtà è
un supplizio, ma soprattutto insicurezza. Da ambo le parti. La gente
ha un disperato bisogno di affetto e di essere compresa. Ma non deve,
non vuole abbassare la guardia. Così utilizza la miglior difesa:
l'attacco. Per prima cosa, aumenta la distanza, nel modo più
semplice del mondo: tirandosela un po'. Ed è qui che entra in gioco
Facebook. Una persona ingenua mette tag ovunque e la maggior parte
delle sue foto fa più che schifo. Il profilo del Torinese tipo sarà
pieno di cose come: io dal barbiere, io da mio nonno, io che
suono al superfestival, io ed i miei amici superfelici, io che metto la musica in casa, la pizza
fatta in casa fotografata con tanto di ricetta in Inglese, ecc... In
realtà sta gridando: sto facendo uno sforzo, anch'io voglio essere
così, o forse addirittura sta solo gridando aiuto. Ed in una conversazione puoi scommetterci che, se
qualcuno farà un commento negativo su di te, ma ti conosce poco, è
perché sta cercando la tua attenzione. Attacca, perché vuole far credere di non essere indifeso, ma in realtà ti sta tendendo una mano. Non pretendere di ragionare
con un adulto o di ragionare come un adulto se esci la sera a Torino,
immagina solo di essere al Liceo, se necessario all'asilo, ma da un
altra parte. Se una ragazza che ti ha appena visto ti fa un commento offensivo vuol dire
che sta puntando dritto in mezzo alle tue gambe: io è così che mi
sono fatto la scopamica. È la tecnica dell'asilo: lui mi piace,
allora lo insulto. Così tutti cercando l'attenzione con dei
microinsulti, però tutti se la pigliano, ed alla fine ognuno si
tiene gli amici e le ragazze che la vita gli ha imposto, senza
sceglierseli. Ma ognuno facendo finta che la propria vita sia una
figata. Perché è l'apparenza che conta, sennò finirai nel gruppo
degli sfigati, in questo grande e grosso liceo che è il mondo. In
fondo basta capirlo e tutte le dinamiche ritornano ad avere una loro
logica. Basta imparare ad essere dei santi, avere molta pazienza, e
si possono ottenere degli stupendi risultati da tutti. Anzi, forse capirlo rende Torino una città più facile in cui vivere."
Ma che c'entra questo con gli Eugenio
in Via Di Gioia? Un attimo e ci arrivo.
Vorrei premettere che sono bene al
corrente che qualcuno si sentirà offeso dal discorso fatto finora
ma, per quanto sembri semplicistico (e, sicuramente in parte lo è, premettendo che
non si sta facendo di tutta l'erba un fascio, ma si sta semplicemente
valutando un atteggiamento generalizzato e normalmente inconsapevole)
questa piccola diatriba al THC ci fornisce la chiave interpretativa di un intera generazione di artisti e giovani.
Questa chiave interpretativa è: il
narcisismo.
Non si confonda Narciso con il
narcisista. È un po' diverso. Narciso è innamorato di sé stesso,
il narcisista è colui che deve assolutamente piacere agli altri e
per farlo richiede continuamente troppo di sé stesso e sente
l'esigenza di parlare di sé stesso.
Non c'è bisogno di essere dei geni, basta anche dare un'occhiata su wikipedia:
[...] alti livelli di narcisismo possono manifestarsi in forma patologica, chiamata disturbo narcisistico della personalità, a causa del quale il paziente sopravvaluta le sue capacità e ha un eccessivo bisogno di ammirazione e affermazione.
Il narcisimo è ormai una piaga sociale, ed a
Torino particolarmente evidente. Io non so come funzioni a Firenze o
a Bologna o a Roma, ma Torino è l'unica città d'Italia dove i
colletivi studenteschi (e parlo degli Studenti Indipendenti, non
delle ragazzine che fanno solo sesso anale prima del matrimonio) sono
sempre pieni e poi l'affluenza alle manifestazioni è scarsa, ma in quei pochi casi in cui non lo è (es Gay Pride) è ampiamente documentata su Facebook. È l'unica città
sociale dove un circolo Arci nato da un movimento studentesco (i
Corsari) si è trasformato nella vetrina pubblicitaria della SweetLife Society.
È una città dove, ad esempio, gli studenti di
antropologia hanno questo fenomeno davanti al naso ma preferiscono
andare a prendere il caffé al bar universitario e parlare dei
Mapuche o della borsetta che si sono comprati durante la vacanza
fricchettona a Granada. È una città modaiola e con una tradizione
classista – di cui rimane evidente la separazione geografica tra
collina e città - che la gente sta recuperando attraverso la
generazione di un Avatar modaiolo e superfelice che può essere un
intellettuale, un lindy hopper, un supermusicista, poeta o letterato
ma che in realtà è solo un fantasma, un'utopia, un ideale.
L'atteggiamento è reso ancora più
drastico dai cosiddetti appartenenti alla comunità artistica e, se
da un lato, tutto sommato la gente si fa mandare giù certi
atteggiamenti un po' egocentrici ed un po' da predicatori del
musicista del momento, dall'altro adesso questi rischiano di
sconfinare nella vendita vera e propria di un alter ego, un
personaggio costruito ad hoc che finisce per sostituirsi all'artista
stesso, sopra e fuori dal palco.
Ma da dove trascende il diritto di
tirarsela?
Forse da 5000 fan su Facebook? Ma guardatevi intorno! I
Verdena sono diventati famosi da piccoli e sono passati attraverso
storie di tossicodipendenza e depressioni. Non avete notato che Luca
non suona più a torso nudo, ma col maglione? Eccolo, qui, guardatelo, con il giubbotto elegante è proprio il ritratto della salute:
Eppure dopo Requiem
hanno dovuto chiedere i soldi ai genitori. E sto parlando di uno
squalone come i Verdena, non di un pesce come Johnny Fishborn. Bob
Dylan piaceva perché sembrava un ragazzetto qualunque, e lo era, era
anche simpatico: oggi è un vecchio insopportabile e pieno di sé,
neanche capace di rendersi conto che quando canta i suoi brani sembra che stia imitando Tom Waits che canta Bob Dylan. Lo stesso vale per Alex Turner,
che ci sembrava così geniale quando era un ragazzetto brufoloso che
gridava “scommetto che staresti bene sulla pista da ballo” alle
cassiere dei supermercati. Ed è per questo che mi piacciono gli
Eugenio in Via Di Gioia, è in questo che credo che loro, almeno
questa volta, abbiano proprio vinto. Mi piacciono perché delle mie
amiche me ne parlavano in continuazione quest'estate, e credevo
fosse il nuovo gruppo italiano dell'anno e invece ho scoperto che erano addirittura ancora in
concorso a Torino Sotterranea. E quindi sono andato di volata al
Reset Festival a vederli e c'erano almeno 30 fan che sapevano tutte
le loro canzoni a memoria, ma hanno vinto i Sica, il cui cantante,
interpellato a commentare la vittoria, si è limitato a dire, dietro
ai suoi occhiali da sole: “Hi everybody, we are Sica!”.
Gli
EIVDG, invece, chiamati ad esprimere un commento “a caldo” sul
loro secondo posto, hanno detto, rispettivamente: “caldo”,
“caldissimo”, “180°”, “tiepido”.
Gli Eugenio In Via Di Gioia hanno 4100
fan su facebook. I loro video su youtube superano in alcuni casi le
10mila visualizzazioni. Un risultato finora insperato per gente come
Gionatan Scalzi, Enrico Esma, The Circle, che li rende secondi solo
ai Foxhound, se non vogliamo considerare formazioni come i Subsonica
o i Linea77.
Ecco la biografia riportata dalla loro
pagina facebook:
Eugenio Cesaro nasce piangendo nel 1991
e rinasce cantautore nel 2011, suona per strada e per strada trova
l'ispirazione per gran parte dei propri testi. Continua a suonare per
la gente, ma il fato benevolo lo conduce inaspettatamente nel
settembre 2012 verso tre ottimi e pazienti musicisti.
Emanuele Via nasce nel più recente 1992 con una grande predisposizione alla musica, si trasferisce a Torino per gli studi universitari portando con sé il pianoforte e la fisarmonica.
Paolo Di Gioia nasce tenendo il tempo nel 1991: siamo nel 2014 e non ha ancora smesso di tenerlo.
Lorenzo Federici nasce nel 1987 e vive a Terni la propria pubertà, imparando a suonare buona musica. Si trasferisce ormai adulto a Torino, per prendere in mano il basso acustico e integrarsi perfettamente nel motore della band.
Insieme, i quattro diventano musicisti, attori e interpreti, armonizzando piacevolmente un suono altrimenti incompleto.
Emanuele Via nasce nel più recente 1992 con una grande predisposizione alla musica, si trasferisce a Torino per gli studi universitari portando con sé il pianoforte e la fisarmonica.
Paolo Di Gioia nasce tenendo il tempo nel 1991: siamo nel 2014 e non ha ancora smesso di tenerlo.
Lorenzo Federici nasce nel 1987 e vive a Terni la propria pubertà, imparando a suonare buona musica. Si trasferisce ormai adulto a Torino, per prendere in mano il basso acustico e integrarsi perfettamente nel motore della band.
Insieme, i quattro diventano musicisti, attori e interpreti, armonizzando piacevolmente un suono altrimenti incompleto.
Nulla di più vero, nulla di falso. Non
c'è nessuna intenzione di creare un mito attorno a sé. Gli Eugenio
In Via Di Gioia, che hanno un numero di fan largamente maggiore
rispetto alle band sopracitate, sono un gruppo fatto di persone che
hanno voglia di divertirsi. Lo dice il loro stesso nome, che è una
composizione creativa di nome e cognome dei vari componenti. Non si
dichiarano artisti, non sono personaggi. Incontrare gli Eugenio per
strada o su un palco non fa alcuna differenza. La loro musica è
splendida e genuina per un semplice motivo: trasmette la stessa
passione di un gruppo di amici che stanno passando una buona serata
insieme.
Non c'è quasi differenza tra gli
albori degli Eugenio e la situazione attuale. I ragazzi cantano
stupendamente ma hanno a malapena imparato a tenere in mano gli
strumenti (del resto, lo erano gli Stooges? I Velvet Underground?)
quanto basta per poter mettere in riga una sequenza di canzoni note
ed orecchiabili:
e da lì sono passati a cover più
audaci.
Quanto sarebbe bello trovarseli in un'osteria tutti e quattro, in una serata d'inverno dove ormai si è giunti alla conclusione che era meglio restare chiusi in casa, a cantare questa canzone?
Quanto sarebbe bello trovarseli in un'osteria tutti e quattro, in una serata d'inverno dove ormai si è giunti alla conclusione che era meglio restare chiusi in casa, a cantare questa canzone?
In seguito sono passati ragionevolmente
alla composizione. In fondo, l'ep degli Eugenio In Via Di Gioia non è
un granché e lamenta carenze tecniche e compositive ancora evidenti.
Ci sono dei buoni spunti nella svirgolata jazz di Prima Di Tutto Ho
Inventato Me Stesso, ma la canzone forse nel complesso meritava di
rimanere in fondo al cassetto. Se gli animali blabla è carina, ma
francamente preferisco I Can Be A Frog dei Flaming Lips, anche Emilia
non è male, perché cominciano ad apparire delle buone idee sui
testi (è colpa dei media/se odio i media) come ad esempio i riferimenti
ironici ai Gormiti, alle Winx ed alle fallaci pubblicità sul dimagrimento.
Fin qui, però, le canzoni sono penalizzate da delle soluzioni armoniche scontate e sempliciotte, tipiche di una band inesperta ed alle prime armi, anche se appare una verve umoristica che quasi mi ricorda i pressochédimenticatidatuttimanonperquestomenovalidi Fanali Di Scorta.
Fin qui, però, le canzoni sono penalizzate da delle soluzioni armoniche scontate e sempliciotte, tipiche di una band inesperta ed alle prime armi, anche se appare una verve umoristica che quasi mi ricorda i pressochédimenticatidatuttimanonperquestomenovalidi Fanali Di Scorta.
Su tutte però spiccano i due
“singoli”: Perfetto Uniformato e, soprattutto, All You Can Eat. La prima, anche
se estremamente infantile nell'arrangiamento, è arricchita da un
testo meraviglioso (se non consideriamo l'espressione un po' barocca del "deficiente sociale") e da un ritornello veramente incalzante: e mai
leggerò un giornale in vita mia/la televisione è molto più di
compagnia/ e sto meglio da quando sto dormendo/ sto ancora meglio
quando/sto dormendo.
Fanculo le stronzate alla “è trendy perché fa schifo” di Levante!
Qui ci ritroviamo finalmente davanti a qualcuno che vuole veramente raccontare qualcosa, che mette sul tavolo una piccola parte della propria esperienza, o del proprio credo. La canzone è un vero e proprio inno alla tranquillità come modello di vita, alla scelta del disinteresse ed al desiderio di passare inosservati, il tutto venato di un'ironia amara che non lascia scampo, se si considera la giovane età dei musicisti.
Il capolavoro, però, è All You Can Eat. Scritta con il giro armonico più banale del mondo, dev'essere uno dei primi pezzi in assoluto scritti da Eugenio, visto che è uno dei pochi dove si aiuta col capotasto per riuscire nel barré.
Il testo è un inno anticapitalistico come non si sentiva da tempo, cantato con passione, toccante e degno dei momenti migliori degli Afterhours.
Fanculo le stronzate alla “è trendy perché fa schifo” di Levante!
Qui ci ritroviamo finalmente davanti a qualcuno che vuole veramente raccontare qualcosa, che mette sul tavolo una piccola parte della propria esperienza, o del proprio credo. La canzone è un vero e proprio inno alla tranquillità come modello di vita, alla scelta del disinteresse ed al desiderio di passare inosservati, il tutto venato di un'ironia amara che non lascia scampo, se si considera la giovane età dei musicisti.
Il capolavoro, però, è All You Can Eat. Scritta con il giro armonico più banale del mondo, dev'essere uno dei primi pezzi in assoluto scritti da Eugenio, visto che è uno dei pochi dove si aiuta col capotasto per riuscire nel barré.
Il testo è un inno anticapitalistico come non si sentiva da tempo, cantato con passione, toccante e degno dei momenti migliori degli Afterhours.
Addobbi luminosi/isola pedonale/ la
gente ha soffocato il senso logico delle spese di Natale/sul
pavimento/scontrini e sigarette/ riscontro abbondanza di stipendi da
buttare/ stress accumulato a palate da placare / è Novembre/ il
nuovo mese di Natale.
Nell'incipit è evidente l'interesse nel calcare la strada già aperta da Vasco Brondi. L'intento, però, non è puramente emulativo. Vasco Brondi ha una rapporto perverso con le immagini industrial che evoca, se le vuole scopare, vuole ripeterle all'infinito per continuare a dirsi “ma quanto sono bravo, MA QUANTO SONO BRAVO!!” e si mena l'uccello quotidianamente su un poster che raffigura un carrello della spesa abbandonato sotto ad una vecchia ciminiera in disuso. La parte che segue, invece, è debitrice dei Mamfod & Sons (con tanto di banjo (?), cajon incalzante e riff di piano), ma ciò che veramente interessante è lo slogan che segue:
padrone dacci fame abbiamo troppo da mangiare/padrone dacci della fame
Questo non è un semplice ritornello, è un inno.
È una di quelle cose che ascolti e capisci al volo che colgono nel segno. Ecco che finalmente abbiamo davanti qualcuno che nella sua musica interpreta un'esigenza condivisa e propone una riposta, una soluzione ad un dilemma. Nella civiltà del vizio e del lusso, che non è più quella del benessere, in cui la gente è costretta a capitalizzare la propria immagine pubblica ed a vendersi quotidianamente come prodotto, perché tutto è troppo facile e tutto, quindi, non ha valore, viene la necessità di tirarsi fuori e mettersi finalmente in gioco. Padrone dacci fame abbiamo troppo da mangiare, padrone dacci della fame. Abbiamo troppo. Ci annoiamo. Non sappiamo fare un cazzo. Vogliamo imparare a cavarcela da soli, a toglierci il dito dal culo. Vogliamo imparare.
Non vogliamo buttare via le cose, vogliamo ripararle.
Non vogliamo passare il nostro tempo su 9GAG, vogliamo imparare a raccontarci le barzellette a tavola, saltando da una parte all'altra in modo comico, e divertirci con la bocca chemadre natura ci ha dato. Gratis.
Perché, come dice Jose Mujica: “Povero non è chi detiene poco, ma veramente povero è chi necessita infinitamente tanto e desidera, desidera, desidera sempre di più.”
Nell'incipit è evidente l'interesse nel calcare la strada già aperta da Vasco Brondi. L'intento, però, non è puramente emulativo. Vasco Brondi ha una rapporto perverso con le immagini industrial che evoca, se le vuole scopare, vuole ripeterle all'infinito per continuare a dirsi “ma quanto sono bravo, MA QUANTO SONO BRAVO!!” e si mena l'uccello quotidianamente su un poster che raffigura un carrello della spesa abbandonato sotto ad una vecchia ciminiera in disuso. La parte che segue, invece, è debitrice dei Mamfod & Sons (con tanto di banjo (?), cajon incalzante e riff di piano), ma ciò che veramente interessante è lo slogan che segue:
padrone dacci fame abbiamo troppo da mangiare/padrone dacci della fame
Questo non è un semplice ritornello, è un inno.
È una di quelle cose che ascolti e capisci al volo che colgono nel segno. Ecco che finalmente abbiamo davanti qualcuno che nella sua musica interpreta un'esigenza condivisa e propone una riposta, una soluzione ad un dilemma. Nella civiltà del vizio e del lusso, che non è più quella del benessere, in cui la gente è costretta a capitalizzare la propria immagine pubblica ed a vendersi quotidianamente come prodotto, perché tutto è troppo facile e tutto, quindi, non ha valore, viene la necessità di tirarsi fuori e mettersi finalmente in gioco. Padrone dacci fame abbiamo troppo da mangiare, padrone dacci della fame. Abbiamo troppo. Ci annoiamo. Non sappiamo fare un cazzo. Vogliamo imparare a cavarcela da soli, a toglierci il dito dal culo. Vogliamo imparare.
Non vogliamo buttare via le cose, vogliamo ripararle.
Non vogliamo passare il nostro tempo su 9GAG, vogliamo imparare a raccontarci le barzellette a tavola, saltando da una parte all'altra in modo comico, e divertirci con la bocca chemadre natura ci ha dato. Gratis.
Perché, come dice Jose Mujica: “Povero non è chi detiene poco, ma veramente povero è chi necessita infinitamente tanto e desidera, desidera, desidera sempre di più.”
Non voglio sbilanciarmi nell'affermare
che All you can Eat è uno dei pezzi italiani più belli degli ultimi
15 anni. Sicuramente sarà uscito fuori per caso, avrà i suoi
piccoli difettucci (come quel bridge assolutamente non necessario),
ma va bene così com'è. Oggi come oggi c'è bisogno di un nuovo
singolo che ci faccia sentire fieri del made in Italy. Un singolo che
ci ricordi che in Italia le band sono ancora capaci di dire qualcosa
e non i soliti slogan da comunisti, perché l'emancipazione oggi è
un problema più dell'individuo che della massa. I Verdena sono
diventati troppo mistici a forza di prendere LSD nel caffé, gli
Afterhours, i Modena ed i Bandabardò sono incapaci di comunicare
alle nuove generazioni, i Marlene sarebbero capaci di leccare la fica
a Raffaella Carrà, il nuovo album dei Manager Del Dolore Post
Operatorio non sa di un cazzo. Chi ha un po' di talento cerca di
scrivere in inglese, per cui non possiamo che sperare che gli Eugenio
faranno strada.
Resta solo un ultima, cruciale
domanda?
E se Eugenio Cesaro si montasse la testa, credesse di essere un grande poeta e cominciasse a scrivere un sacco di pezzi destinati all'autocompiacimento ed alla fama del gruppo, piuttosto che a veicolare un messaggio? E se si togliesse gli occhialini da primo della classe, cominciasse ad indossare abitini attilati che mostrino esili caviglie albine come nemmeno gli Yellow Traffic Light?
E se Eugenio Cesaro si montasse la testa, credesse di essere un grande poeta e cominciasse a scrivere un sacco di pezzi destinati all'autocompiacimento ed alla fama del gruppo, piuttosto che a veicolare un messaggio? E se si togliesse gli occhialini da primo della classe, cominciasse ad indossare abitini attilati che mostrino esili caviglie albine come nemmeno gli Yellow Traffic Light?
Io ti dico una cosa Eugenio, e te lo
dico da amico. Sta per uscire l'album. Aspetta. Considera anche che
con molte delle tue fan, ora come ora, si rischiano le manette.
Quello che hai davanti è un momento meraviglioso, ma i frutti
migliori si raccolgono solo quando arrivati a piena maturazione. Dai
una lezione di modestia alla tua città. Gli Eugenio In Via Di Gioia
ci piacciono perché sono ancora autentici, cercate di non creare
distanza dal vostro pubblico, anzi foraggiate questo bel contatto che
avete, e troverete la Vera Grandezza.
Aspettiamo dicembre con ansia.
Aspettiamo dicembre con ansia.
Nessun commento:
Posta un commento