mercoledì 25 febbraio 2015

C'mon Tigre: fumo o arrosto?


Ho cercato di inseguire i C'mon Tigre per un po' di tempo. Impossibile scoprire molto sul loro conto. Tutto quello che ero riuscito ad avere sottomano era costituito da uno stupendo video (realizzato con qualche migliaio di fotografie dipinte A MANO da un'artista italiano, Gianluigi Toccafondo), l'album su Spotify ed un sito internet riportante una descrizione dalla prosa italianeggiante in maniera alquanto sospetta. Il loro facebook, inoltre, riporta commenti e post quasi del tutti in lingua italiana. 

 
I C'mon Tigre giocano a fare i misteriosi e la critica è entusiasta ovunque: sembra che grazie questo giochetto in cui mascherano le proprie origini siano riusciti persino a conquistare la critica europea.
Resta da chiedersi se l'origine del loro fascino sia racchiusa nel mistero che li avvolge, o se si tratti solo di fumo gettato negli occhi.
Per capirne di più, mi sono recato al TPO di Bologna a sentirli. Prezzo d'ingresso: 10 eurini. Un po' altino, per una band ancora così poco conosciuta, ma che, d'altronde, include la soddisfazione di finanziare un centro sociale di ottimo calibro e di assecondare le esigenze di un organico così numeroso (9 elementi). Il volantino, inoltre, assicurava anche una performance di painting dal vivo. 


Il TPO è magnifico. È spazioso, ha un ampio cortile esterno dove poter fumare, un bancone del bar colorato dalle inservienti graziose e non eccessivamente trasandate, un buon impianto illuminazione e, soprattutto, un palco con un impianto stupendo. Per certi versi, non sembra di essere neanche dentro a centro sociale. Al confronto, l'Askatasuna è una latrina a cielo aperto. Insomma, il luogo ideale per far suonare una band dal sound così variegato come i C'mon Tigre.
Eccolì lì, i C'mon Tigre. Sono nove, come promesso. Tutti di carnagione bianca, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare dai titoli del disco, che rimandano invece alla primavera araba. Qualcuno, infatti, vocifera che si tratti di un complesso italo-olandese. Il pubblico è abbastanza vasto, c'è un ampia percentuale femminile e mi viene come l'impressione che sia dovuta allo slanciato chitarrista col frangione. Il cantante è un tipo sulla trentina, con una leggera panzetta, capelli lunghi e barba scura, ed ha una postazione mixer davanti a lui collegata ad un synth. Non c'è bassista in formazione, e le rare parti di basso vengono fuori proprio dalle note più basse del sintetizzatore. Sempre in primo piano, il batterista (sulla sinistra), contrariamente alle mie previsioni, suona con gli spartiti davanti ed ha la batteria divisa tra pad elettronici ed i cari vecchi tamburi. Sul lato destro, invece, un elegante signore con un papillon è circondato da qualche tastiera ed un bellissimo xylofono. Alle loro spalle sono presenti cinque fiati, tutti vestiti molto casual, alcuni (come il trombettista) tanto giovani da poter tranquillamente confondersi coi vostri compagni di corso all'università. Riesco a contare una tromba, due sax ed un trombone. L'elemento mancante, in questo momento, non mi sovviene. Visti così, sono carini. Sembrano giovani e poco presuntuosi, il live potrebbe essere più energico di quanto mi aspettassi. 


Il concerto si apre con Rabat, e segue con la tanto chiacchierata Federation Tunisienne De Futball, che qualche critico cretino che credeva di fare bella figura ha paragonato persino a Mulatu Astatke. All'attacco del brano mi accorgo fin da subito che la ritmica della chitarra dal vivo perde tutte quelle sfumature che aveva invece nella versione in studio. Preso dall'esaltazione, comincio a tenere il tempo con le mani, sperando di contribuire a creare quell'energia vitale che mi piace tanto ai concerti (e che lo stesso video sembra voler celebrare nella partita di calcio a piedi scalzi tra ragazzini di quartiere). Qualche buon anima tra il pubblico mi asseconda, ma ancor prima che il battito si possa trasformare in un pulsare ritmico il cantante, con fare irritato, alza una mano per invitarci a desistere. Il pezzo esce maluccio. La band, dall'aria piuttosto insicura, sbaglia tutti i cambi principali ed il cantante, vocalizzando sul tema degli ottoni, lo soffoca, col risultato che la canzone esce monotona e priva di vivacità. Tutt'un altro discorso, invece, per la successiva Fan For A Twenty Years Of Human Being, anche se da qui in poi si ha l'impressione che il concerto non sarà che una riproduzione a cesello dell'album in studio, senza nessuna sorpresa particolare ad eccezione del dilatato stacco elettronico di Life In A Preened Tuxedo Jacket, su cui si inserisce la performance di live painting, utilizzando rulli che colorano a mo' di stencil e vernice adesiva per rappresentare – indovinate un po'? Una tigre con le ali. Mistero e simbologia, quindi, ma vien da chiedersi: che cosa c'entrano le tigri col Nord Africa?



Il concerto dei C'mon Tigre si può definire, in conclusione, come uno spettacolo di tutto rispetto, forse eccessivamente impersonale, o forse semplicemente trasmette l'idea di un complesso consapevole di aver trovato una formula artistica così perfetta o così inedita da poter fare tranquillamente a meno del contatto col pubblico, o che si abbia a che fare con una performance artistica e non con un concerto. Un simile atteggiamento lo avevo incontrato in precedenza solo coi Godspeed You! Black Emperor. Con la differenza, però, che i GY!BE hanno scritto la storia della musica, mentre i C'mon Tigre hanno a malapena un'identità. Inoltre, se nello spettacolo dei primi c'era un turbinio di suoni e di emozioni differenti in ballo, ed in ogni caso il flusso musicale era accompagnato dalle immagini di uno schermo grosso quanto una parete  quello dei secondi era abbastanza monotono e le soluzioni armoniche e ritmiche dei vari pezzi erano così simili tra di loro, che alla lunga rischiavano perfino di annoiare. 
Non che lo schermo mancasse, semplicemente era posto su una parte laterale del locale, ma si limitava a proiettare in loop il video di Federation Tunisienne de Football.

Il disco C'mon Tigre si presta benissimo come musica di sottofondo. Tutti i pezzi, presi singolarmente, sono molto validi ed è indubbio che la band abbia sviluppato un sound maturo e personale, inoltre bisogna rendere merito al complesso di farsi carico di proporre pezzi con tempi estremamente lenti, in cui l'incastro tra i vari e numerosi strumenti rende molto difficile l'esecuzione dal vivo. Il destino infido dei C'mon Tigre, però, potrebbe essere quello d'incappare nella stessa sorte dei Tame Impala, ovvero di diventare così originali da non poter fare a meno di continuare ad essere la fotocopia malriuscita di sé stessi. Il primo passo per migliorare la proposta, sicuramente, dev'essere quello cercare di dare un po' più di brio a questi show. Questo, almeno, finché la loro musica sia concepita come rivolta a centri sociali, locali ed arene, piuttosto che a festival di Jazz o teatri.
Cedere un palco ad un pittore, lasciando l'accompagnamento ad una base preregistrata, per quanto sia una trovata senza dubbio accattivante, non è sufficiente a far passare in secondo piano il senso di noia di uno show ancora troppo statico, ripetitivo e monotono.

Eccovi le prossime date:


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