Ho cercato di inseguire i C'mon Tigre
per un po' di tempo. Impossibile scoprire molto sul loro
conto. Tutto quello che ero riuscito ad avere sottomano era costituito da uno
stupendo video (realizzato con qualche migliaio di fotografie
dipinte A MANO da un'artista italiano, Gianluigi Toccafondo), l'album su Spotify ed un sito internet riportante una descrizione dalla prosa italianeggiante in
maniera alquanto sospetta. Il loro facebook, inoltre, riporta
commenti e post quasi del tutti in lingua italiana.
I C'mon Tigre giocano a fare i
misteriosi e la critica è entusiasta ovunque: sembra che grazie questo
giochetto in cui mascherano le proprie origini siano riusciti persino a
conquistare la critica europea.
Resta da chiedersi se l'origine del
loro fascino sia racchiusa nel mistero che li avvolge, o se si tratti
solo di fumo gettato negli occhi.
Per capirne di più, mi sono recato al TPO di Bologna a sentirli. Prezzo d'ingresso: 10 eurini. Un po' altino, per una band ancora così poco conosciuta, ma che, d'altronde, include la soddisfazione di finanziare un centro sociale di ottimo calibro e di assecondare le esigenze di un organico così numeroso (9 elementi). Il volantino, inoltre, assicurava anche una performance di painting dal vivo.
Per capirne di più, mi sono recato al TPO di Bologna a sentirli. Prezzo d'ingresso: 10 eurini. Un po' altino, per una band ancora così poco conosciuta, ma che, d'altronde, include la soddisfazione di finanziare un centro sociale di ottimo calibro e di assecondare le esigenze di un organico così numeroso (9 elementi). Il volantino, inoltre, assicurava anche una performance di painting dal vivo.
Il TPO è magnifico. È spazioso, ha un
ampio cortile esterno dove poter fumare, un bancone del bar colorato
dalle inservienti graziose e non eccessivamente trasandate, un buon
impianto illuminazione e, soprattutto, un palco con un impianto
stupendo. Per certi versi, non sembra di essere neanche dentro a
centro sociale. Al confronto, l'Askatasuna è una latrina a cielo
aperto. Insomma, il luogo ideale per far suonare una band dal sound così variegato come i C'mon Tigre.
Eccolì lì, i C'mon Tigre. Sono nove,
come promesso. Tutti di carnagione bianca, contrariamente a quanto ci
si potesse aspettare dai titoli del disco, che rimandano invece alla
primavera araba. Qualcuno, infatti, vocifera che si tratti di un complesso
italo-olandese. Il pubblico è abbastanza vasto, c'è un ampia
percentuale femminile e mi viene come l'impressione che sia dovuta
allo slanciato chitarrista col frangione. Il cantante è un tipo
sulla trentina, con una leggera panzetta, capelli lunghi e barba
scura, ed ha una postazione mixer davanti a lui collegata ad un
synth. Non c'è bassista in formazione, e le rare parti di basso
vengono fuori proprio dalle note più basse del sintetizzatore.
Sempre in primo piano, il batterista (sulla sinistra), contrariamente alle mie previsioni, suona con gli
spartiti davanti ed ha la batteria divisa tra pad elettronici ed i cari vecchi
tamburi. Sul lato destro, invece, un elegante signore con un papillon
è circondato da qualche tastiera ed un bellissimo xylofono. Alle
loro spalle sono presenti cinque fiati, tutti vestiti molto casual,
alcuni (come il trombettista) tanto giovani da poter tranquillamente
confondersi coi vostri compagni di corso all'università. Riesco a
contare una tromba, due sax ed un trombone. L'elemento mancante, in
questo momento, non mi sovviene. Visti così, sono carini. Sembrano
giovani e poco presuntuosi, il live potrebbe essere più energico di
quanto mi aspettassi.
Il concerto si apre con Rabat, e segue con la
tanto chiacchierata Federation Tunisienne De Futball, che qualche critico cretino che credeva di fare bella figura ha paragonato persino a Mulatu
Astatke. All'attacco del brano mi accorgo fin da subito che la
ritmica della chitarra dal vivo perde tutte quelle sfumature che
aveva invece nella versione in studio. Preso dall'esaltazione,
comincio a tenere il tempo con le mani, sperando di contribuire a
creare quell'energia vitale che mi piace tanto ai concerti (e che lo
stesso video sembra voler celebrare nella partita di calcio a piedi scalzi tra ragazzini
di quartiere). Qualche buon anima tra il pubblico mi asseconda, ma ancor prima che il
battito si possa trasformare in un pulsare ritmico il cantante, con
fare irritato, alza una mano per invitarci a desistere. Il pezzo esce maluccio. La band, dall'aria piuttosto insicura, sbaglia tutti i
cambi principali ed il cantante, vocalizzando sul tema degli ottoni,
lo soffoca, col risultato che la canzone esce monotona e priva di
vivacità. Tutt'un altro discorso, invece, per la successiva Fan For
A Twenty Years Of Human Being, anche se da qui in poi si ha
l'impressione che il concerto non sarà che una riproduzione a
cesello dell'album in studio, senza nessuna sorpresa particolare ad
eccezione del dilatato stacco elettronico di Life In A Preened Tuxedo
Jacket, su cui si inserisce la performance di live painting,
utilizzando rulli che colorano a mo' di stencil e vernice adesiva per
rappresentare – indovinate un po'? Una tigre con le ali. Mistero e
simbologia, quindi, ma vien da chiedersi: che cosa c'entrano le tigri col Nord Africa?
Il concerto dei C'mon Tigre si può
definire, in conclusione, come uno spettacolo di tutto rispetto,
forse eccessivamente impersonale, o forse semplicemente trasmette
l'idea di un complesso consapevole di aver trovato una
formula artistica così perfetta o così inedita da poter fare
tranquillamente a meno del contatto col pubblico, o che si abbia a che fare con una performance artistica e non con un concerto. Un
simile atteggiamento lo avevo incontrato in precedenza solo coi
Godspeed You! Black Emperor. Con la differenza, però, che i GY!BE
hanno scritto la storia della musica, mentre i C'mon Tigre hanno a malapena
un'identità. Inoltre, se nello spettacolo dei primi c'era un
turbinio di suoni e di emozioni differenti in ballo, ed in ogni caso il flusso
musicale era accompagnato dalle immagini di uno schermo grosso quanto una parete quello dei secondi era abbastanza monotono e le soluzioni
armoniche e ritmiche dei vari pezzi erano così simili tra di loro,
che alla lunga rischiavano perfino di annoiare.
Non che lo schermo mancasse, semplicemente era posto su una parte laterale del locale, ma si limitava a proiettare in loop il video di Federation Tunisienne de Football.
Il disco C'mon Tigre si presta
benissimo come musica di sottofondo. Tutti i pezzi, presi singolarmente, sono
molto validi ed è indubbio che la band abbia sviluppato un sound
maturo e personale, inoltre bisogna rendere merito al complesso di farsi carico di proporre pezzi con tempi estremamente lenti, in cui l'incastro tra i vari e numerosi strumenti rende molto difficile l'esecuzione dal vivo. Il destino infido dei C'mon Tigre, però, potrebbe essere quello d'incappare nella
stessa sorte dei Tame Impala, ovvero di diventare così originali da non poter
fare a meno di continuare ad essere la fotocopia malriuscita di sé stessi. Il primo passo per migliorare la proposta, sicuramente, dev'essere quello
cercare di dare un po' più di brio a questi show. Questo, almeno, finché la loro musica sia concepita come rivolta a centri sociali, locali ed arene, piuttosto che a festival di Jazz o teatri.
Cedere un palco ad un pittore, lasciando l'accompagnamento ad una base preregistrata, per quanto sia una trovata senza dubbio accattivante, non è sufficiente a far passare in secondo piano il senso di noia di uno show ancora troppo statico, ripetitivo e monotono.
Cedere un palco ad un pittore, lasciando l'accompagnamento ad una base preregistrata, per quanto sia una trovata senza dubbio accattivante, non è sufficiente a far passare in secondo piano il senso di noia di uno show ancora troppo statico, ripetitivo e monotono.
Eccovi le prossime date:
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