mercoledì 19 novembre 2014

Dinosauri incapaci di estinguersi

Anche questo 2014 che volge alla fine, come tutti gli anni precedenti, del resto,  ha visto affacciarsi sulle classifiche mondiali l'ennesima, inutile proposta discografica di qualche vecchio monolite del rock, incapace di accettare l'idea di un placido ritiro di fine carriera.
Fortunatamente, quest'anno Bob Dylan non c'entra. Se si esclude un fenomeno straordinario come quello di Mulatu Astatke o la straordinaria lucidità creativa di un campione come Peter Gabriel, risulta chiaro ed evidente come ormai al giorno d'oggi le rockstar nate prima degli anni 60 farebbero meglio a restare fuori dalle scene.
Ho deciso così di provvedere ad un'altra selezione della top 5, in senso decrescente, ovvero: dal peggio al meno peggio (se non al meglio), anche perché se dovessimo occuparci di recensire ognuna di queste proposte sarebbe, più che altro, una grande perdita di tempo.

#5 - Aretha Franklin - Rolling In The Deep


72 anni e non mostrarli? Ma no, è solo Photoshop. Aretha Franklin era già visibilmente sovrappeso ai tempi dei Blues Brothers (ed andava già per i 40), oggi a vederla sul palco è una vecchia cicciona e truccata ma, soprattutto, senza un filo di voce (qualsiasi persona con un minimo di nozioni sul canto è in grado di capire come la versione di Aretha sia molto più semplice di Adele, in quanto evita il cambio di registro sugli acuti e si perde in tecnicismi del tutto fuori luogo e mal riusciti). Le sue tette sembrano voler scivolare pericolosamente verso il terreno, come se fossero fatte di piombo, ma la cosa più inquietante è che, per cogliere l'attenzione del pubblico, con buon gesto da big mama, solleva costantemente le braccia flaccide che (bleargh!) farebbe meglio a tenere attaccate al corpo.
Cara Aretha, la tentazione di dare una lezione a quella giovincella amante della dieta ipercalorica che è Adele (che all'apice della sua carriera riuscirà a diventare poco più che una tua emula) è lecita, ma questa era una lezione che avrebbe potuto dare la Aretha di 30 anni fa. Non sei più quella di una volta, sei vecchia. Il tuo posto è a casa, a preparare torte per i tuoi nipotini, non al Sullivan Show!


#4 AC/DC - Play Ball

"Cosa rispondi a quelli che dicono che avete scritto 11 album tutti uguali?"
"Non è vero. Ne abbiamo scritti 12. Fate bene i conti"

Angus Young


Annunciato a dicembre il nuovo album degli AC/DC.
E con questo il conto si allarga. Il nuovo singolo non ha nulla in più da dire. Angus Young era già ridicolo a torso nudo ed in pantaloncini una decina d'anni fa. Adesso che il fratello è morto, è entrato in band il nipote. Bisogna spremere il brand, prima che schiattino tutti. Senza pudore.

#3 U2 - Song Of Innocence


Il nuovo album degli U2 sa di tutto tranne che di U2, se non fosse per la voce di Bono. Il gruppo ci sa sempre fare ed in effetti, per essere un bell'assembramento di canzoni prese a casaccio, rispettivamente per copiare la moda di turno (Arcade Fire e Coldplay in primis), il prodotto riesce, è compatto ed ogni ritornello rappresenta potenzialmente un inno da stadio. Sono pronto a commettere che molti cadranno in questa trappola. Potete usare questo album come buon test per distinguere gli intenditori di musica da quelli che puntualmente scambiano il disco più commerciale ed insipido di una band per l'album dell'anno, esattamente come tre anni fa con Eden dei Subsonica (faceva schifo, ma quanti vostri amici ne hanno parlato bene?) o l'anno scorso con AM degli Arctic Monkeys (su cui ci eravamo già espressi qui). Per quanto riguarda gli U2 stessi, sono così spaventati dal confronto del pubblico che hanno reso l'album direttamente disponibile in forma gratuita su iTunes e Spottify, mentre il video di Every Breaking Wave imperversava direttamente in televisione. Mossa da abili maestri, ma a noi non la si fa.

#2 Pink Floyd - The Endless River

« The Endless River? Non lo ascolterò. Non ho più niente a che fare con loro. » Roger Waters


Ebbene sì, il nuovo album dei Pink Floyd non si merita un articolo tutto per sé. Nato dalle jam del '93 che portarono alla realizzazione di The Division Bell, non è nient'altro che una raccolta di outtake del periodo, la cui qualità sonora a volte risulta non sempre impeccabile (contrariamente a tutte le uscite dei Pink Floyd dal 1972). Del resto i Pink Floyd, già privi della loro mente più feconda dall'abbandono di Barret (Roger Waters), non avrebbero di certo potuto proseguire senza Richard Wright, decesso pochi anni or sono, così hanno deciso di riesumarlo (in senso puramente sonoro) tirando fuori dai cassetti i nastri in cui il contributo del tastierista alla band fosse ancora decisivo.
In fin dei conti, quest'album è molto meno paggio di quanto mi aspettassi. I principali difetti sono 2: il fatto che andava commercializzato non come un album, bensì come una raccolta di outtakes, e la copertina che, pur essendo dello studio Hypgnosis, fa abbastanza cacare.
Lasciando da parte il terribile singolo Louder Than Words e la finale Nervana, le canzoni danno prova di una band in uno stato di salute abbastanza buono, per quanto a volte pecchi di autoreferenzialità e sia facile il ritorno ai cliché di Shine On You Crazy Diamond (Things Left Unsaid), Welcome To The Machine (It's What We Do) e Us And Them (Anisina). Il punto di vincente di questa raccolta strumentale è l'onestà e la semplicità che erano mancate sia a The Division Bell che in A Momentary Lapse Of Reason, in assoluto l'album peggiore del gruppo.
Il mito del gruppo rimane salvo. L'errore più grande della band è stato semplicemente quella di riunirsi nel 1987.

#1 Robert Plant - Lullaby And ... The Ceaseless Roar


Robert Plant va ormai per i 66 anni e ne sono passati 45 dal suo esordio discografico con i Led Zeppelin. A differenza di tanti altri mostriciattoli rugosi che ai tempi d'oro giocavano come lui inserendo i pesci nelle fichette delle fan (non so se ricordate l'episodio, ma per pesce intendo proprio un pesce con tanto di squame e pinne), invece di rimanere ancorato ai vecchi fasti del passato e fotocopiarsi in una serie di prodotti discografici inutili (vedi Deep Purple, AC/DC, Jimmy Page e, bene o male, tutti i gruppi hard rock degli anni 70 che esistono ancor oggi), Plant ha sempre trovato, e specialmente negli ultimi 20 anni, modo di riscattarsi dall'immagine che lo contraddistingueva, avventurandosi in un interessante percorso di sperimentazione sonora e dimostrando di avere capacità e perseveranza. Nei soliti ultimi dieci anni possiamo ricordare l'ottimo duetto con Allison Krauss (Raising Sand)


 i soprendenti tre concerti di reunion coi Led Zeppelin (che ha dato recentemente alle stampe il buon Celebration Day)


 la rifondazione della sua band della gioventù, la Band Of Joy (con cui ha rilasciato il discreto Band Of Joy e, soprattutto, Live From The Artist Den



per arrivare a Lullaby And ... The Ceaseless Roar, che potrebbe rappresentare il suo migliore album in assoluto, forte di una band tutt'altro che convenzionale, i Sensational Space Shifters, con dei fuoriclasse che provengono da Portishead, Cast e Tinariwen.
 Il risultato è una american music che guarda al passato ma anche altrove, tra suggestioni africane ed interessanti sfumature elettroniche in uno straordinario equilibrio stilistico, che non indulge mai nell'autocelebrativo. Il disco finora ha ottenuto una media di 81/100 su 23 recensioni di riviste internazionali importanti.
Sembra proprio, infatti, che lo stesso Plant sia il primo ad aver capito la lezione, e che quindi continui a pubblicare solo perché conscio di avere ancora qualcosa di valido tra le mani. A proposito di quest'album ha dichiarato: 
Forse quest'album segna una fine per me. Non è il solito caleidoscopico di ispirazioni diverse, da Son House a Roni Size alla musica del Gambia, è qualcosa di diverso ed ho l'impressione che chiuda in qualche modo un percorso.

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