giovedì 2 novembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #8 The Circle

Questo blog è ormai fuori dal tempo, ma devo ammettere che resta uno dei tentativi più longevi di portare avanti un mio progetto.
In uno dei testi che ho scritto recentemente, un grido misto di paura e di odio, mi sono autoidentificato come Don Chijote, un'idiota che lotta contro i mulini a vento nel mondo del 21esimo secolo, in cui i cavalli sono le parole, quelle che pensi che contino, ed i mulini gli smartphone, le notizie false ed, in generare, l'arroganza diffusa dei social network e dei siti di false notizie o, peggio ancora, della pubblicità rivenduta come notizia.
Tanto valeva provare ad adattarsi, una volta ogni tanto, cavalcando questa moda introdotta di vari Looper, WatchMojo, WhatCulture (questa, forse, l'unica salvabile del lotto), ecc...
Per cui, bando agli indugi, ecco a voi

LE OTTO + GRANDI DELUSIONI MUSICALI ITALIANE DI QUESTO 2017

#8 The Circle
ossia
"Come sono sopravvissuto alla scena indie e ne sono uscito ancora più punk di prima" 




I The Circle? Ma non erano quelli presi di mira in quell'articolo, che poi era stato cancellato?
Forse questa ve la siete persa. Ero un po' più giovane, si parla del 2014. Avevo scritto un articolo in cui in apparenza facevo un po' il lecchino ai The Circle per il loro album di debutto. In realtà - e vi assicuro, non accorgendomene neanche io - sfruttavo confidenze e li smerdavo.
Un compito difficile, quasi impossibile, in cui non ci sono cascati. Questa è una delle cose che ti succedono quando c'è di mezzo il coinvolgimento e l'amiciza.
Torniamo ancora più indietro nel tempo. Era il 2012, vivevo a Torino in una camera da circa 30 metri quadrati un po' scassata che partoriva polvere come l'amianto i cantieri della val di Susa, ma che pagavo 145 euro il mese, avevamo perso un batterista ed un bassista ma li avevamo rimpiazzati con due musicisti splendidi: Marco B., che sapeva suonare jazz ma veniva da noi col plettro e gli effetti, e Marco M., anche lui di estrazione jazz-prog, ed infatti faticava a tenere un accento senza cambiarlo ma aveva una cura del tocco che aveva svoltato il sound radicalmente, e poi era indubbiamente l'elemento più simpatico del lotto.
Gli Acid Food non erano ancora un grande nome, ma avevamo il nostro piccolo giro, stavamo considerando di virare verso delle forme canzoni, sperimentare scale lidie e soluzioni modali, allungarci verso jam psichedeliche, provare soluzioni più elettroniche alle volte, sperimentare testi in italiano, fare insonorizzazioni e colonne sonore.



E, cosa più importante, in sala si respirava buona aria, eravamo un gruppo di amici, e ridevamo per qualsiasi cazzata, che si trattasse dell'ordinazione dal kebabbaro o dell'ennesimo gioco di parole di Marco M..Ormai avevamo messo insieme un'ora buona di repertorio, ed almeno un'ora buona di nuovo materiale ancora più valido per il periodo a seguire. Io perdipiù avevo riesumato una vecchia conoscenza, il caro Esma - quello dei Rouse Project, dei Sidera Ves e, prima ancora, dei Moog - nella speranza che ci producesse un Ep, e lui per risposta mi aveva catapultato dentro la sua band, di fatto allargando il mio giro di conoscenze. Cominciavo a guardarmi intorno, a crescere, stavo affinando il mio stile e cambiando rotta, dimostrando di essere anche capace di rinnovarmi. Una parte di me, sepolta sotto una marea di insicurezze, pensava che avrei potuto seriamente considerare di fare questa strada, o almeno illudermi di ciò per un paio di anni. 



Ma c'era un incubo dietro l'angolo: l'università. Ed un altro ancora: l'Erasmus. "Vai in Erasmus, vai in Spagna, tromba, dimostra agli altri che ce l'hai più grosso".
Ad un certo punto della vita, tutti ti parlano di questa cosa come se fosse il punto di svolta della vita. La rinascita. Gli sfigati scopano, i normali diventano divi, eccetera. A me è successo esattamente il contrario. Prima stavo normalmente bene, dopo stavo abnormalmente male.
Morale della favola: siamo nel 2013, io vado in Spagna, Ale (il chitarrista) e Marco M. fondano i The Circle con un tipo tutto sommato ok ma pur sempre un risvoltinato ed un fonico di studio come altro chitarrista. Nel giro di sei mesi questi incidono una canzone e totalizzano 20mila visualizzazioni ed il doppio dei like degli Acid Food. Io non riesco a capacitarmi. 20mila visualizzazioni?
Ad ogni modo, cerco di continuare la composizione a distanza. Ale smette di rispondermi. Marco M. pure, Marco B. è l'unico che resiste, facciamo un paio di Skype, mi dice che si sta dedica al suo progetto nu-jazz, i Satoyama.
Al mio ritorno, Ale finalmente si rende reperibile ed esce dal silenzio: nel nuovo gruppo ha ritrovato un ruolo, la passione per la chitarra (che forse aveva perso a causa della mia esuberanza precedente), e preferisce non continuare. Marco M., invece, mi invita a fare delle prove, mi dà dei consigli da vero professionista, dice che siamo il gruppo con cui può esprimersi più liberamente sulla batteria e mi propone di darmi da fare, ma io sono ancora impantanato dall'esperienza dell'Erasmus. Sono depresso, ingrassato, vado a letto con ragazze che non mi piacciono solo per legittimare l'esigenza di sputarmi in faccia da solo, non riesco più a cantare come prima, sono convinto di essere meno dell'ombra di me stesso, non riesco a suonare. Le prove fanno cacare, proviamo a chiamare dentro un altro chitarrista, ma è ancora peggio.
2014. Io lascio perdere, torno a rinchiudermi nel mio dolore. Dopo essermi laureato, scappo a Firenze, dentro di me convinto della evidente retrocessione, ma sperando di farmi una vita lontano dalla necessità, prettamente torinese, di doversi costantemente confrontare con gli altri. Nel frattempo esce il primo disco dei Circle, prodotto impeccabilmente e che tutto sommato in mezzo a tanta brodaglia pop melensa, qualche "Oh-oh" di troppo, capace di piazzare qualche pezzo ben riuscito (The End, Green Like Soul pt. one). 



E qui salta fuori la mia recensione. Ale era stato avvertito, lo avevo dapprima chiamato, quindi gliel'avevo fatta leggere prima di pubblicarla, ma non non ha avuto il coraggio di dirmi quello che pensava. Che era una recensione codarda, frutto del mio risentimento. Che sarebbe stato un errore e che avrebbe rotto delle amicizie. Il più onesto fu il cantante. Marco M. da allora non mi ha più parlato.
Io, in compenso, di lì a poco conobbi un chitarrista un po' più grande di me un po' nella mia situazione. Ci mettemmo a studiare insieme, a ricominciare da capo, dagli standard jazz, dalle scale blues. Nel giro di un annetto, siamo passati dal non riuscire a provare Vento In Faccia in una stanza a ragionare sulle singole tipologie di fuzz da utilizzare in relazione alle testate, a ragionare il sound del gruppo in termini di gamma di frequenze, a scrivere in tempi dispari, a non avere tempo sufficiente per imparare le nostre stesse composizioni. La mia voce è risbucata dal nulla. Sono riuscito persino a prestare servizio in una cover band dei Nirvana.


Marco B. dopo tre anni ha partecipato alla sonorizzazione del museo Egizio coi Satoyama, ha fatto il suo primo tour in Norvegia con loro, ed è diventato il bassista di un altro paio di formazioni, i Litha e gli Ennedì. I Litha hanno dato una forma italiana ad una vecchia bozza che aveva scritto per gli AF, L'Uomo Che Verrà.


Ale dopo quattro anni ha mollato i The Circle, per motivi personali. Nel 2016 hanno pubblicato un disco pop iperprodotto ed anacronistico, How To Control The Clouds. Il disco è stato presentato con due video in HD, uno che mostra la band, ridotta a terzetto, ad interpretare una chiave semiacustica di uno dei loro brani, e l'altro girato a Londra, con una modellona nordeuropea che scatta foto ai graffiti. 

Sarà pure un prodotto di fino ed orecchiabile, ma è imbarazzante. Soprattutto da parte di una band che non è mai giunta al punto a dover fare un patto col demonio per comprarsi cocaina e puttane. Non lo dico per fare polemica, ma un pezzo così si scrivere in cinque minuti, ed in mezz'ora l'arrangiamento. Per il resto si paga un buon fonico e si investe nel mastering (che, non a caso, è stato fatto a New York). Ebbene sì, gli accordi sono proprio quelli: A- F C G - non mi sono tirato giù la tonalità esatta, probabilmente - ossia la sequenza VImin IV I V, quella di The Passenger, di Passenger, di metà dei ritornelli degli Iron Maiden quando sono rimasti senza idee però avevano capito che "ohohoh" avrebbe funzionato tranquillamente per i vent'anni a venire, di tutti i RiHanna, i Despacito, i Fedez, i Coldplay della svolta pop più becera, le Shakira, i Blowmywhistlebaby, il reggaeton in generale, di tutta la merda pop di questo mondo.
Questa puntualizzazione sulla scelta compositiva potrà sembrare un po' forte, ma il punto è  che non si può essere troppo leggeri su una banalità del genere che ha fatto naufragare un buon progetto, perché la banalità è la forma peggiore di fascismo.
La banalità, la standardizzazione, è il nulla, è una mostruosità.
Io, dal canto mio, muovendo i miei piccoli passi, prima con le prove a due chitarre in cucina, poi facendo a pugni con un bassista incapace ed arrogante, un mese dopo la pubblicazione di How To Control, ho prestato le mie corde vocali al servizio di due pezzi, una demo del cazzo, una produzione del cazzo, da cui è uscito questo pezzo qua sotto.
Ero fuori allenamento per via dell'estate. Avevo la consegna della tesi una settimana dopo e spazzavo l'ansia a sigarette, caffè e birra, la sessione diretta di registrazione era andata abbastanza male e mi rimaneva a disposizione solo mezz'ora per registrare due brani.
Niente mastering, solo un giro veloce per un banco solido. Niente New York. Eppure, nonostante tutte le scusanti, sentite che cazzo di pacca.

E questa è la versione col mix sbagliato! Infine quest'estate, a conclusione di un tour molto più ridotto rispetto a quello precedente, i The Circle si sono sciolti dopo 5 anni di onorato servizio, lasciandosi dietro un tenero video di addio, con un reportage dei quattro amici in tour, il tutto immancabilmente filtrato con un effetto stile vintage, per non mancare di calcare le tendenze attuali.

Fine 2017. Qualche settimana fa ero a Firenze con un mio amico di Torino e ci siamo messi a parlare dei The Circle. Abbiamo parlato dell'assurda pubblicità dell'articolo della Stampa che li aveva definiti faziosamente "gli Italiani che minacciano i Coldplay" (ci fu un articolo molto critico nei confronti di questo tipo di giornalismo al tempo, che parlava proprio di questo caso) e di quanto ancora più fuori luogo sembrasse loro recente inserzione in una playlist di Youtube, che aveva portato un loro brano ai 100mila ascolti, ed al passaggio sugli altoparlanti di San Siro. Il nostro punto era: 100mila visualizzazioni non le fa nemmeno il brano più conosciuto degli Afterhours ora che Agnelli è un giudice di X-Factor. Com'è possibile che i The Circle si possono permettere tanta visibilità, se il tour promozionale non arriva nemmeno a venti date?

Il mio amico mi ha confidato che pagavano fiori di soldi per avere visualizzazioni, che internet lo permette e c'è chi lo fa: i Circle non sarebbero che un gruppo tra tanti. A me continua a sembrare un'ipotesi assurda, per quanto, in effetti, continuano a rimanere alcuni aspetti di quella formazione, un insieme mezze verità, mezze bugie o bugie bianche, per come le si voglia interpretare, che non mi sono mai quadrati del tutto.
Un cantante di famiglia benestante, un chitarrista-fonico con uno studio di registrazione in casa (vedi il video sotto). E fin qui, insomma, niente di nuovo.
Però un primo album prodotto e registrato, stando alle dichiarazioni ufficiali dei social e delle testate, da un personaggio alla ribalta sulla scena indie internazionale (Omid Jazi) ma che, stando ad una confidenza di un interno alla band non solo ha funzionato solo da produttore/consulente esterno, in quanto il disco è stato registrato dal chitarrista-fonico, ma il missaggio è stato fatto da un intermediario, che ne ha sempre fatto le veci, così che di fatto la band e Jazi non si sono mai incontrati, seppure il suo nome fosse su ogni webzine, ogni giornale, ogni social.
Un articolo de La Repubblica fazioso, iperpromosso dalla band, che prendeva in considerazione i dati fluttuanti della classifica di Itunes, descrivendo la band come una minaccia al trono dei Coldplay - vi siete dimenticati di quando gli Stato Sociale balzarono per un giorno davanti a Pharrel Williams? Una recensione persino su un numero dell'Internazionale. Decine di migliaia di visualizzazioni difficilmente correlabili al numero di fans sulla pagina o all'attività del gruppo. C'è sempre stato una palese incorrispondenza tra l'apparente portata virale del gruppo e la loro dimensione reale: I Circle non sono mai arrivati ad essere i nuovi Verdena, non sono gli Afterhours, ma nemmeno i Be Forest, o i Soviet Soviet, ma hanno sempre dei canali mediatici solitamente riservati a band più "main".
A questo aggiungerei un peccato più veniale, che è quello delle montagne di filtri di Instagram, di selfie, di decisioni estetiche ed artistiche un po' paraculo che mi sono sempre sembrate subordinassero il discorso musicale vero e proprio.
Ma, in fin dei conti, una band che presenta ai suoi fan, in pompa magna, l'inserzione di un loro brano in una playlist americana altamente popolare su Youtube, in che direzione andando? Io ce li ho avuti i coinquilini che ascoltano la musica su Youtube. Non si ricordano il nome di centinaia di canzoni, non hanno nemmeno idea dell'artista. Quello è il target delle playlist. Però se ti inserisci nel canale giusto, i numeri si gonfiano in un attimo. Ma di per sé, per te questo, cosa rappresenta? A cosa serve essere ascoltato da migliaia di persone intorno al globo se nessuno fa nemmeno caso alla tua canzone, se non hai i mezzi per potergliela suonare davanti, se di fatto cercavano altre canzoni, più note? A me sembra che sia un po' come suonare di colpo di fronte a Vasco, o ai Coldplay: se non sei ancora qualcuno, la gente vedrà la tua apertura solo come una perdita di tempo. Questa è la differenza tra un ascoltatore virtuale (visualizzazioni, numeri) ed uno reale - il tipo che cerca il tuo concerto su internet e che è disposto ad investire nella tua musica.
La musica è un veicolo. Come la pittura. Di artisti capaci di dipingere il ritratto perfetto il mondo è pieno. Quelli capaci di catturare un'emozione, un sentimento, o il proprio animo su tela sono passati alla storia. Non è un caso che si parli ancora di Syd Barret e che tutti si siano già dimenticati di Gangnam Style. Anche se i numeri diranno il contrario. Eppure le celebrità del momento scompaiono nell'abisso, e tutti i poveracci come i Kafka, i Foscolo, i Barret, ma anche gente che ha fatto contropensiero più paraculata come Seneca, passano alla storia. Altrimenti studieremmo i personaggi del Grande Fratello sui libri di storia, e Wittgenstein chisseloincula, no?
 How To Control suona come una rincorsa alla visibilità, ed i suoi brani, impeccabili, perfetti...leziosi, suonano uno più piatto dell'altro.
Il mio nuovo progetto, Le Pietre Dei Giganti, è molto più sfigato, ma è un progetto come lo era quello degli Acid Food, forse da un certo punto di vista persino meglio. C'è più consapevolezza. Non c'è più l'approccio creativo precedente, ma ogni canzone è un parto sofferto che nasce dallo stomaco, c'è di mezzo la nostra sofferenza, non c'è molta attenzione per le mode e le possibilità di rimorchio. Siamo probabilmente anacronistici, forse non avremo mai successo né visibilità, ma abbiamo anche noi un'etichetta ed abbiamo già incontrato il produttore del disco di persona. Scriviamo i testi nella nostra lingua per connettere chi ci ascolta al nostro universo interiore, fatto di insicurezze, di angoscia, di gioia, di amore e di fatica. Al grafico della madonna ci penseremo quando avremo finito di suonare i pezzi come Dio comanda. Al fonico ci penseremo quando investiremo sul disco.
Noi siamo vivi, i Satoyama di Marco M. spaccano il culo. I The Circle non ci sono più.
Insomma, a distanza di cinque anni dalla mia partenza, malgrado tutto, gli Acid Food, o l'idea che c'era alla base, sono ancora vivi. Malgrado tutto.

   Per concludere, i The Circle rappresentano la delusione minore di quest'anno. La delusione sta nel fatto che avevo dei dubbi su quali fossero le intenzioni artistiche del gruppo, e purtroppo me li hanno confermati, sfornando un disco tutto sommato onesto nelle intenzioni del cantante, che è sempre stato un onestissimo autore di canzoni pop, ma un disco pur sempre sfacciatamente easy-listening.
Io comuque voglio fare pubblicamente ammenda a distanza di questi tre anni, e credo che questo sia l'unico modo per riscattarmi da quello che fu un errore senza possibilità di giustificazione.
Sbagliai di brutto a scrivere quella recensione, avrei dovuto stare dalla parte di Ale di Marco comunque, perché è quello che gli amici fanno, ed anche se i The Circle furono per gli Acid Food quello che Apple II è stato per Macintosh - un prodotto che vendeva, ma privo delle intuizioni e della visione dell'altro - erano comunque un gruppo di amici affiatato che si stava divertendo, affiatati ed impeccabili dal vivo, realizzando un piccolo sogno, mettendo insieme un tassello indimenticabile delle loro vite.



Caro Marco, mi dispiace che le cose siano andate così.
Eri un vero amico, e rimani un grandissimo musicista.


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