Premessa ed antefatto
Torino, 13 dicembre (credo). Mi trovo in San Salvario, davanti al Carrefour che sta aperto 24 ore al giorno. Vicino all'entrata c'è un automobile dall'aria familiare che m'incuriosisce. Decido di non indagare a proposito, perché non è quel genere di giornata in cui sono in grado di farmi guidare dalla curiosità. Mi girano troppo i coglioni. Ho un concerto tra due giorni e la mia voce fa schifo, sono sommerso dai catarri e quest'ultimo esame imprevisto mi ha arrugginito le dita. Non è così che si fa. Sono fottuto. Fuori fa freddo, piove, ho indosso un doppio cappuccio, giacca sopra e maglia pelosa sotto. Entro nel supermercato, prendo un paio di bottiglie di Nebbiolo al volo, ma alla cassa mi si parano davanti due conoscenze del liceo. Una perdita di tempo da evitare. Sono due coglionazzi che non vedo da un pezzo, ma hanno una filosofia spiccia e precisa: l'obbligo del sorriso smagliante, della sparata esplosiva. Gente che scambia la conversazione con l'agonismo, ma oggi non sono proprio in vena. Non mi hanno ancora visto in faccia, decido di non incrociare i loro sguardi. I due cappucci abbassati mi vengono in aiuto. La carta di credito mi fa saltare un po' di fila e fa il resto.
Ciao, "amici" tamarri travestiti da universitari qualunque. Ciao, buttafuori rasato. Ciao, zingara che fai l'elemosina. Ciao, ragazzi UNICEF.
Esco, finalmente.
La macchina è ancora lì. Adesso ne comprendo la familiarità. Vicino ad essa, in piedi, c'è Emanuele Via. Eugenio Cesaro è un po' più in là, e poi c'è Lorenzo Federici. Me lo immaginavo un po' più alto, sarà l'effetto del palco. Paolo Di Gioia non c'è. Entrano in macchina, ma non me li faccio scappare. Busso al finestrino, facendo attenzione alle bottiglie che ho in mano.
“Ciao ragazzi, voi siete gli Eugenio in Via Di Gioia?” Emanuele, alla guida, mi conferma positivamente, con una calma quasi eterea, sebbene i suoi occhi siano quelli di una persona ormai irrimediabilmente in ritardo. “Piacere," rispondo io, barricato dietro ai miei cappucci "io ho scritto un articolo su di voi”. Ed è festa grande. Grida e sorrisi. Saltano fuori dalla macchina, mi scoprono il capo, cominciano a stringermi la mano, mi chiedono come mi chiamo e facciamo conoscenza. Sono belli simpatici. Mi regalano il cd ed una spilletta, fanno perfino i complimenti per come scrivo. Io non ho niente in cambio. Forse il modo migliore per ricambiare potrebb'essere entrare dentro alla macchina, afferrare i dischi dei Mumford & Sons e volarli fuori dalla finestra e sostituirli con, ad esempio, i primi due dischi degli Incubus. Invece accetto. Un regalo, alla fine, è un regalo.
La conversazione che viene fuori è piuttosto piacevole. Senza moine, senza darsi ragione a vicenda, senza autoreferenzialismo. Tutto è così semplice e spontaneo allo stesso tempo. Siamo anni luce distanti dallle situazioni del Margot, dell'Astoria o dei collettivi universitari. C'è molta umanità, ma soprattutto, disinteressata. La passione ci accomuna.
“Siamo a corto coi soldi, e pieni di debiti” Mi dice Emanuele. Il macchinone è loro, lo utilizzano per spostarsi in giro per l'Italia ed a quanto ho capito forse devono ancora finire di pagare le rate. Suonare è quindi una questione di passione, anche perché, dovendo fare leva solo sui loro mezzi, spesso, ci rimettono di tasca loro. “Però” – penso io “Che esperienze che si fanno! Chissà quante cose avranno da raccontare ai loro figli.”
Mi accorgo che la mia ammirazione non è inquinata dall'invidia e, per un attimo, i miei problemi si dissolvono e ritorno ad essere felice. Sono riuscito finalmente a dimostrare la tesi che sostenevo fin da ottobre e cioè che gli "artisti" sono persone e basta e che gli Eugenio In Via Di Gioia fanno della bella musica e dei bei concerti perché sono delle Belle persone, capaci di trasmettere i loro lati positivi (di trasmetterSI, appunto!) attraverso le loro canzoni.
Se non che, la mia gioia cessa con un sibilo, una frase, un monito, un pettegolezzo: “Certo che hai sparato a zero su tutti, nel tuo articolo, specie su Johnny Fishborn”. È la voce di Eugenio che parla. Ritorno alla realtà. Ritorno ai miei problemi. Eugenio non è mica uno stupido. Forse anch'io, un paio d'anni addietro, quand'ero un musicista in erba (in tutti i sensi) avrei potuto fare un commento analogo. Forse Eugenio è solo abituato a doversi rivolgere in questi termini in determinati ambienti, perché è così che funziona. Devi cavalcare l'onda, finché sei a a galla.
Godi fanciullo mio: stato soave, stagion lieta è cotesta
avrebbe detto il gobbo più celebre d'Italia. Ecco che mi ritrovo ad essere Leopardi (chissà, magari mi sono pure ingobbito) di fronte a tanto entusiasmo fine a sé stesso. Guardo gli Eugenio con gli occhi di un vecchio - sarà che io ho smesso di suonare quando lui ha cominciato? - o di un adulto che ha sofferto troppo. Scruto nei suoi occhi l'autocompiacimento che a suo tempo mi distrusse. Illuso di poter cambiare il mondo, mentre non stavo facendo un cazzo per migliorarmi, né stavo producendo qualcosa di buono per gli altri. Convinto che nella vita il rispetto me lo sarei guadagnato sul palco. Finché la realtà non si palesò in tutta la sua amarezza e cioé che a vent'anni, io, ero solo un povero stronzo.
Ora, assumendo che Eugenio sia una persona intelligente, o almeno, con una sensibilità un poco più spiccata rispetto alla media, mi chiedo che diavolo avranno capito gli altri musicisti che hanno letto il mio articolo. Al mio ritorno a casa rientro con un'idea: definire meglio il mio messaggio, stendendo una classifica di cinque artisti che, a mio giudizio, hanno rappresentato il meglio delle novità torinesi dell'anno 2014. Tirando anche in ballo conoscenti ed amici, perché, il mio, vuol'essere un discorso universale. La musica emergente, così come i programmi televisivi, sono espressione del substrato sociale e culturale da cui provengono. Il mio approccio è volto alla comprensione del dilemma – senza per questo fare a meno di una bella analisi appassionata delle canzoni – che sta alla base del nostro vivere quotidiano, attraverso l'analisi delle ragioni intrinseche della musica che ne è il frutto.
Soppesare arte e confezione, scatola e contenuto, mettere gli artisti sulla bilancia dei due aspetti per carpire meglio la psicologia e la ragione stessa della loro musica e raccontarla a loro stessi, attraverso una critica che non può che essere indirizzata alla crescita. Più mi rendo conto di quello che faccio e più mi rendo conto di quanto questo Paese abbia bisogno di persone che scrivano in questa maniera. I risultati sono stati abbastanza sconcertanti. Sono stato accusato d'essere invidioso e pieno di rimorso. Non è così che si fa. Ci vuole sportività. Le recensioni positive sono floride di visualizzazioni. Le recensioni negative, invece, vengono puntualmente represse, censurate. Su facebook c'è spazio solo per il like.
In questa classifica, invece, non c'è spazio per gli Eugenio In Via Di Gioia. Il perché ve lo spiego dopo.
Ritornando al tema delle dinamiche sociali, senza avere la pretesa di darmi uno spessore intellettuale (per quanto ne possa conseguire: ma siete bravi anche voi a copiare un testo da un libro), ma anzi ai fini del discorso, vorrei citare le parole che il grande Aldous Huxley scrisse nel saggio Ritorno al Nuovo Mondo. Sono parole che ormai hanno una sessantina d'anni, ma che sono quantomai terribilmente attuali:
[…] al nostro sistema etico tradizionale (in esso l'individuo ha importanza primaria) si va sostituendo un'Etica Sociale. Le parole chiave di questa etica sono: adattamento, condotta socialmente orientata, appartenenza, acquisizione di capacità sociali, lavoro di squadra, vita di gruppo, lealtà di gruppo, dinamica di gruppo, creatività di gruppo. […] Secondo l'Etica Sociale aveva assolutamente torto Gesù, quando affermava che il Sabato è fatto per l'uomo. Al contrario, l'uomo è fatto per il Sabato; egli deve sacrificare le proprie idiosincrasie ereditarie, e fingere d'essere quel buon ingrediente standardizzato che gli organizzatori dell'attività di gruppo stimano perfetto per i loro fini. Quest'uomo ideale è colui che mostra “conformismo dinamico” (espressione stupenda), intensa lealtà verso il gruppo, e desiderio indomabile di subordinarsi, di appartenere.
Pensate ai miei "amici" del supermercato ed alle "conversazioni agonistiche". Pensate alla corsa quotidiana per i like su facebook. Da una parte, il desiderio di essere apprezzati, dall'altro, la disillusione perfetta di un'esigenza individualistica. Un atto fatto per emergere al di sopra degli altri, represso nel momento stesso in cui si realizza che l'intera comunità ripete esattamente lo stesso gesto: facebook diventa la piattaforma ideale dove trasformare l'impulso individuale in una conformazione allo status quo. La società liquida. Ecco perché criticavo Fishborn, ecco perché sostengo che la musica dei The Circle non è male, ma non colpisce. Quando parlo “male” di queste persone io non le ritengo stupide o incapaci, ma vittime. Vittime di una quotidianità virtuale che sopprime la critica e favorisce l'emulazione e l'adulazione: due piccoli mostri che danno beneficio immediato ma non rendono sulla lunga distanza. Impediscono di guardarsi dentro e prendere atto dei propri difetti e dei propri limiti, gli stessi che ci insegnano a crescere. Perché dico tutto questo, vi chiederete?
Pensate a Perfetto Uniformato. Pensate a Il mondo Che Avanza. Pensate a Noi Adulti. Gli Eugenio In Via Di Gioia, in parte, qualcosina di tutto questo discorso l'hanno capito, ma non vogliono farsi carico di un messaggio tanto delicato, né intendono rinunciare alla leggerezza che li contraddistingue. Il loro disco d'esordio, realizzato in fretta e furia, è troppo furbettamente leggero e poco pretenzioso, in modo da captare puntualmente l'indulgenza della critica musicale. Non è così che si fa. Quando li vidi per la prima volta ad Agosto, pensai che gli EIVDG dovessero realizzare un album al più presto. Mi sbagliavo.
Lorenzo Federici
Argh!
La Cosa Peggiore Dell'Universo
Ho Perso
Non Ancora
Ottetto Di Stabilità
Noi Adulti
Egli
Pam
Troppo Sul Seriale
Zoo Balneare (ft. Banda Fratelli)
Il Mondo Che Avanza (Ghost Track)
Hanno già detto che il punto forte di questo disco è la leggerezza di quest'album, ed in effetti è vero: ma qui da Bangszine, l'indulgenza non è di casa. Lorenzo Federici (il titolo è un piccolo tributo al membro “sfigato” il cui nome non è entrato a far parte di quello della band) è un album lungo all'incirca il doppio del precedente Ep Urrà, che era un'accozzaglia di canzoni registrate alla meglio. Circa 34 minuti, compresa la ghost track che fa finta di essere tale - non immaginatevi la pausa che prelude a Endless Nameless – semmai, può definirsi "spettrale" nel nuovo arrangiamento di All You Can Eat, qui rinominata Il Mondo Che Avanza. Sotto certi versi, questa canzone, che aveva pieno diritto ad essere collocata nell'album d'esordio, essendo il cavallo da battaglia e forse uno dei pezzi migliori della band fino ad adesso, rappresenta un tentativo di realizzare una versione più matura rispetto alla precedente. Questo, specialmente, lo si può notare nella correzione dei versi finali da non vorrebbe più avanzare a non vuole più avanzare e di la sazietà non ci basta proprio più in di sazietà non ne possiamo proprio più. Forse sarebbe il caso di soffermarsi su un'analisi più lucida del messaggio e di porre domande come "siete sicuri che questo mondo non voglia avanzare?" "sapete che l'avanzo è alla base della nostra economia, il modello di crescita esponenziale e tutto il resto?" ma quello che ci ritroviamo davanti, e che si evince da un ascolto completo del disco, è un approccio non solo leggero ai temi della quotidianità, ma forse persino un po' troppo ingenuo (tanto che quest'ingenuità trova il suo apice nell'encomio del PAM, noto per una gestione berlusconiana degli introiti). Voglio dire, non è che sono qui a colpevolizzare gli EIVDG perché fanno la spesa al PAM o all'Esselunga. Io sarò pure un povero disilluso che rischia di diventare cinico e non voglio certo cercare di pestare i piedi a chi ancora, come loro, ci crede, a qualcosa. Ciononostante, il pezzo zoppica proprio a causa del nuovo arrangiamento. Troppo ricercato per gli EIVDG, una band che dà il suo meglio quando gli arrangiamenti sono semplici ma impreziositi dalle armonie vocali (Ho perso, Argh!) e da strutture un po' più varie rispetto alle canzoni pop classiche (Zoo Balneare, Ottetto di Stabilità, Ho Perso). Quello che manca qui è proprio la forza trainante di All You Can Eat: i cori polifonici, che qui invece tendono alla monotonia ed al sintetico. (Non usate mai più un vocoder o un vocal tuner in studio, ragazzi. Vi prego. MAI.)
Un indubbio merito del disco resta, in ogni caso, l'ecletticità nel rispetto sostanziale della canzone pop folk. L'attacco, ad esempio, non è per niente male, con quella specie di canto popolare in 7/4 (il tempo prog più amato: Money, Disco Labirinto) che è Argh! e la successiva, trainante, Ho Perso, dal riuscitissimo sapore swing.
In seguito si passa al pop di Non Ancora, alla dimensione da osteria dell'Ottetto ed alla melensa ed ironica Noi Adulti. Il problema è che non passati neanche undici minuti e siamo già ai pezzi di riempimento. Non Ancora non sa di nulla, anche se qua e là c'è qualche barlume di lucidità, come il riferimento all'inutilità dei dottorati in questa società antimeritocratica, ma il tema è sfiorato così delicatamente che è persino difficile accorgersene. Ottetto di Stabilità ha un andamento simpatico, ma zoppicante: mi fa male la cabeza, se penso all'idea di ascoltarla due volte di fila. Noi Adulti riesce a strapparmi un sorriso, ma è un pezzo impubblicabile. Andava bene per il primo Ep, forse, ma qui stiamo giocando a fare sul serio. Chiunque voglia affacciarsi al mercato come gli Eugenio, che hanno aperto i concerti ai Marta Sui Tubi ed agli Zen Circus e che ormai suonano un po' in tutta Italia, è bene che provveda ad un'adeguata selezione dei pezzi. Altrimenti ci fa una figura di merda. L'idea, dopo aver ascoltato Argh! e Ho Perso, di avere a che fare con un artista fresco, ironico, simpatico, brillante e potenzialmente virale è del tutto prosciugata quando si arriva all'ascolto di Noi Adulti. E sapete perché? Perché gli Eugenio In Via Di Gioia sono diventati seguitissimi ancora prima di imparare a suonare seriamente, come invece hanno imparato a fare i Circle o i Maniaxxx o i Foxhound e tanti gruppi di cui ho parlato precedentemente, che ne hanno dovuta mangiare di merda prima di diventare la piccola realtà che sono adesso: eppure su un palco dell'Heineken Jammin' Festival non sfigurerebbero, perché è gente che sa suonare a dovere. Il rischio qui, è che gli Eugenio, nati troppo in fretta, pubblicati troppo in fretta, seguitissimi troppo in fretta, si ritrovino un giorno a dover dimostrare di non essere all'altezza del mondo musicale che li attende (anche De Gregori non lo era, ma erano altri tempi).
Io non voglio che ricevano un calcio in culo dal mondo musicale, perché credo che non se lo meritino, ma questo disco è una presentazione a brache calate. Credo che con un paio d'anni di studio e di buona lena la band posa cominciare a contemplare la possibilità di una seria carriera musicale: il talento c'è, sono le capacità ancora troppo amatoriali.
Alcuni testi sono buoni, a volte l'ironia funziona davvero bene. Tuttavia, non si può fare a meno di notare la tendenza a parlare troppo frequentemente delle dinamiche che ruotano attorno alla vita del musicista emergente (Ho Perso, Argh!, Egli, Troppo Sul Seriale) che, per certi versi, mi ricorda certi rapper le cui canzoni dicono "ehi guardami, sono figo, faccio freestyle sul fatto che sto facendo freestyle, faccio rap e le mie canzoni parlano tutte del fatto che canto il rap" sebbene, a differenza dei rapper, l'atteggiamento degli Eugenio fortunatamente è ironico e non autocelebrativo. Il rischio è di diventare tautologici: non si può scrivere solo del fatto che si sta scrivendo.
Pubblicizzare questo disco in giro per la penisola va bene, se si ritorna in fretta a lavorare sulla composizione. Non è tanto la teoria che manca (Eugenio è un buon cantante, Emanuele un buon tastierista), piuttosto è ora di lasciarsi le canzoncine da liceo alle spalle. Potrei spendere altre due parole per parlare anche di Troppo Sul Seriale, o del cameo della Banda Fratelli in Zoo Balneare, ma sarebbe inutile, perché credo di aver già detto tutto quello che penso. Potrei aggiungere che la band conserva un'ironia ancora in ottima forma, ma vorrei fare presente che il nonsense è arte e che non tutti possono permettersi di giocare a fare gli Elio E Le Storie Tese, né i Monthy Python, o Maccio Capatonda.
Ben venga quindi il coretto in A-/F/C/G di Caaaaaaaaaaaaane, così come l'assolo che non parte in Zoo Balneare (vai tu, no vai tu) - ma rimane ancora così tanto su cui lavorare. Troppo almeno, rispetto alle attenzioni che questo disco sta ricevendo. I Fanali Di Scorta, un'altra band torinese di stampo cabarettistico, avevano già proposto un fa un lavoro simile quasi dieci anni fa, decisamente superiore per freschezza e lucidità compositiva, non ebbero neanche un decimo della fortuna degli EIVDG.
Forse sono stati un po' troppo impietoso fino ad adesso. Tutti i fan delusi si chiederanno finora qual'è la mia posizione riguardo ad Egli.
Non nego che sia un gran pezzo: poetico, toccante e di una semplicità estremamente elegante. Se non fosse una piccola perla dentro a questo ammasso di canzonette, ci ritroveremmo davanti un altro pezzo di storia della musica italiana, ma Egli è il colpo di genio della canzone scritta in 5 minuti, dell'incastro perfetto che non vuole ritocco. Come un colpo di fulmine, che va e viene e non sai quando tornerà. Dubito che gli EIVDG ci proporranno pezzi di questo calibro in futuro, ma sono sicuro che è questa la direzione che dovrebbero prendere. Composizioni corte e semplici, linea di piano melodica, escursioni dinamiche guidate dalla vocalità. Una formula compositiva semplice e facile che potrebbe adagiarli senza troppe difficoltà sulla cima delle classifiche indie italiane per almeno i prossimi cinque anni. Volendo continuare ad essere pignolo, potrei dire che in realtà non capisco il collegamento tra la parte pseudoautobiografica all'inizio e quella del matto alla fine, ma che mi piace comunque l'accostamento delle immagini evocate, la bella metrica e la cura delle rime.
Per riassumere: Lorenzo Federici, un disco di 34 minuti con 4 pezzi riempitivi, non è un granché come inizio. Gli spunti buoni ci sono, ma Non è così che si fa, non è minimamente sufficiente a guadagnarsi il posto che si prospetta nel panorama nazionale assieme agli Zen Circus, ai Marta Sui Tubi ed ai Pan Del Diavolo, perché è proprio lì che ci ritroveremo gli Eugenio In Via Di Gioia tra qualche anno. Lo Stato Sociale ci hanno già dimostrato che è solo una questione di followers e di testi, non di qualità.
Volendo concretizzare: siamo sulla sufficienza, ma scarsina. Qui si rischia l'esame di riparazione.
VOTO: 60
Eugenio Cesaro: voce, chitarra acustica
Emanuele Via: fisarmonica, piano, cori
Paolo Via: cajon, charleston e crash senza bacchette, (occasionalmente una cassa?), cori
Lorenzo Federici: basso, titolo del disco
P.S. Per gli EIVDG: Spero ci sarà la possibilità comunque di incontrarvi e cenare con voi. Vi voglio sempre bene. Siamo io ed il tatto che non andiamo d'accordo.
Esco, finalmente.
La macchina è ancora lì. Adesso ne comprendo la familiarità. Vicino ad essa, in piedi, c'è Emanuele Via. Eugenio Cesaro è un po' più in là, e poi c'è Lorenzo Federici. Me lo immaginavo un po' più alto, sarà l'effetto del palco. Paolo Di Gioia non c'è. Entrano in macchina, ma non me li faccio scappare. Busso al finestrino, facendo attenzione alle bottiglie che ho in mano.
“Ciao ragazzi, voi siete gli Eugenio in Via Di Gioia?” Emanuele, alla guida, mi conferma positivamente, con una calma quasi eterea, sebbene i suoi occhi siano quelli di una persona ormai irrimediabilmente in ritardo. “Piacere," rispondo io, barricato dietro ai miei cappucci "io ho scritto un articolo su di voi”. Ed è festa grande. Grida e sorrisi. Saltano fuori dalla macchina, mi scoprono il capo, cominciano a stringermi la mano, mi chiedono come mi chiamo e facciamo conoscenza. Sono belli simpatici. Mi regalano il cd ed una spilletta, fanno perfino i complimenti per come scrivo. Io non ho niente in cambio. Forse il modo migliore per ricambiare potrebb'essere entrare dentro alla macchina, afferrare i dischi dei Mumford & Sons e volarli fuori dalla finestra e sostituirli con, ad esempio, i primi due dischi degli Incubus. Invece accetto. Un regalo, alla fine, è un regalo.
La conversazione che viene fuori è piuttosto piacevole. Senza moine, senza darsi ragione a vicenda, senza autoreferenzialismo. Tutto è così semplice e spontaneo allo stesso tempo. Siamo anni luce distanti dallle situazioni del Margot, dell'Astoria o dei collettivi universitari. C'è molta umanità, ma soprattutto, disinteressata. La passione ci accomuna.
“Siamo a corto coi soldi, e pieni di debiti” Mi dice Emanuele. Il macchinone è loro, lo utilizzano per spostarsi in giro per l'Italia ed a quanto ho capito forse devono ancora finire di pagare le rate. Suonare è quindi una questione di passione, anche perché, dovendo fare leva solo sui loro mezzi, spesso, ci rimettono di tasca loro. “Però” – penso io “Che esperienze che si fanno! Chissà quante cose avranno da raccontare ai loro figli.”
Mi accorgo che la mia ammirazione non è inquinata dall'invidia e, per un attimo, i miei problemi si dissolvono e ritorno ad essere felice. Sono riuscito finalmente a dimostrare la tesi che sostenevo fin da ottobre e cioè che gli "artisti" sono persone e basta e che gli Eugenio In Via Di Gioia fanno della bella musica e dei bei concerti perché sono delle Belle persone, capaci di trasmettere i loro lati positivi (di trasmetterSI, appunto!) attraverso le loro canzoni.
Se non che, la mia gioia cessa con un sibilo, una frase, un monito, un pettegolezzo: “Certo che hai sparato a zero su tutti, nel tuo articolo, specie su Johnny Fishborn”. È la voce di Eugenio che parla. Ritorno alla realtà. Ritorno ai miei problemi. Eugenio non è mica uno stupido. Forse anch'io, un paio d'anni addietro, quand'ero un musicista in erba (in tutti i sensi) avrei potuto fare un commento analogo. Forse Eugenio è solo abituato a doversi rivolgere in questi termini in determinati ambienti, perché è così che funziona. Devi cavalcare l'onda, finché sei a a galla.
Godi fanciullo mio: stato soave, stagion lieta è cotesta
avrebbe detto il gobbo più celebre d'Italia. Ecco che mi ritrovo ad essere Leopardi (chissà, magari mi sono pure ingobbito) di fronte a tanto entusiasmo fine a sé stesso. Guardo gli Eugenio con gli occhi di un vecchio - sarà che io ho smesso di suonare quando lui ha cominciato? - o di un adulto che ha sofferto troppo. Scruto nei suoi occhi l'autocompiacimento che a suo tempo mi distrusse. Illuso di poter cambiare il mondo, mentre non stavo facendo un cazzo per migliorarmi, né stavo producendo qualcosa di buono per gli altri. Convinto che nella vita il rispetto me lo sarei guadagnato sul palco. Finché la realtà non si palesò in tutta la sua amarezza e cioé che a vent'anni, io, ero solo un povero stronzo.
Ora, assumendo che Eugenio sia una persona intelligente, o almeno, con una sensibilità un poco più spiccata rispetto alla media, mi chiedo che diavolo avranno capito gli altri musicisti che hanno letto il mio articolo. Al mio ritorno a casa rientro con un'idea: definire meglio il mio messaggio, stendendo una classifica di cinque artisti che, a mio giudizio, hanno rappresentato il meglio delle novità torinesi dell'anno 2014. Tirando anche in ballo conoscenti ed amici, perché, il mio, vuol'essere un discorso universale. La musica emergente, così come i programmi televisivi, sono espressione del substrato sociale e culturale da cui provengono. Il mio approccio è volto alla comprensione del dilemma – senza per questo fare a meno di una bella analisi appassionata delle canzoni – che sta alla base del nostro vivere quotidiano, attraverso l'analisi delle ragioni intrinseche della musica che ne è il frutto.
Soppesare arte e confezione, scatola e contenuto, mettere gli artisti sulla bilancia dei due aspetti per carpire meglio la psicologia e la ragione stessa della loro musica e raccontarla a loro stessi, attraverso una critica che non può che essere indirizzata alla crescita. Più mi rendo conto di quello che faccio e più mi rendo conto di quanto questo Paese abbia bisogno di persone che scrivano in questa maniera. I risultati sono stati abbastanza sconcertanti. Sono stato accusato d'essere invidioso e pieno di rimorso. Non è così che si fa. Ci vuole sportività. Le recensioni positive sono floride di visualizzazioni. Le recensioni negative, invece, vengono puntualmente represse, censurate. Su facebook c'è spazio solo per il like.
In questa classifica, invece, non c'è spazio per gli Eugenio In Via Di Gioia. Il perché ve lo spiego dopo.
Ritornando al tema delle dinamiche sociali, senza avere la pretesa di darmi uno spessore intellettuale (per quanto ne possa conseguire: ma siete bravi anche voi a copiare un testo da un libro), ma anzi ai fini del discorso, vorrei citare le parole che il grande Aldous Huxley scrisse nel saggio Ritorno al Nuovo Mondo. Sono parole che ormai hanno una sessantina d'anni, ma che sono quantomai terribilmente attuali:
[…] al nostro sistema etico tradizionale (in esso l'individuo ha importanza primaria) si va sostituendo un'Etica Sociale. Le parole chiave di questa etica sono: adattamento, condotta socialmente orientata, appartenenza, acquisizione di capacità sociali, lavoro di squadra, vita di gruppo, lealtà di gruppo, dinamica di gruppo, creatività di gruppo. […] Secondo l'Etica Sociale aveva assolutamente torto Gesù, quando affermava che il Sabato è fatto per l'uomo. Al contrario, l'uomo è fatto per il Sabato; egli deve sacrificare le proprie idiosincrasie ereditarie, e fingere d'essere quel buon ingrediente standardizzato che gli organizzatori dell'attività di gruppo stimano perfetto per i loro fini. Quest'uomo ideale è colui che mostra “conformismo dinamico” (espressione stupenda), intensa lealtà verso il gruppo, e desiderio indomabile di subordinarsi, di appartenere.
Pensate ai miei "amici" del supermercato ed alle "conversazioni agonistiche". Pensate alla corsa quotidiana per i like su facebook. Da una parte, il desiderio di essere apprezzati, dall'altro, la disillusione perfetta di un'esigenza individualistica. Un atto fatto per emergere al di sopra degli altri, represso nel momento stesso in cui si realizza che l'intera comunità ripete esattamente lo stesso gesto: facebook diventa la piattaforma ideale dove trasformare l'impulso individuale in una conformazione allo status quo. La società liquida. Ecco perché criticavo Fishborn, ecco perché sostengo che la musica dei The Circle non è male, ma non colpisce. Quando parlo “male” di queste persone io non le ritengo stupide o incapaci, ma vittime. Vittime di una quotidianità virtuale che sopprime la critica e favorisce l'emulazione e l'adulazione: due piccoli mostri che danno beneficio immediato ma non rendono sulla lunga distanza. Impediscono di guardarsi dentro e prendere atto dei propri difetti e dei propri limiti, gli stessi che ci insegnano a crescere. Perché dico tutto questo, vi chiederete?
Pensate a Perfetto Uniformato. Pensate a Il mondo Che Avanza. Pensate a Noi Adulti. Gli Eugenio In Via Di Gioia, in parte, qualcosina di tutto questo discorso l'hanno capito, ma non vogliono farsi carico di un messaggio tanto delicato, né intendono rinunciare alla leggerezza che li contraddistingue. Il loro disco d'esordio, realizzato in fretta e furia, è troppo furbettamente leggero e poco pretenzioso, in modo da captare puntualmente l'indulgenza della critica musicale. Non è così che si fa. Quando li vidi per la prima volta ad Agosto, pensai che gli EIVDG dovessero realizzare un album al più presto. Mi sbagliavo.
Lorenzo Federici
Argh!
La Cosa Peggiore Dell'Universo
Ho Perso
Non Ancora
Ottetto Di Stabilità
Noi Adulti
Egli
Pam
Troppo Sul Seriale
Zoo Balneare (ft. Banda Fratelli)
Il Mondo Che Avanza (Ghost Track)
Hanno già detto che il punto forte di questo disco è la leggerezza di quest'album, ed in effetti è vero: ma qui da Bangszine, l'indulgenza non è di casa. Lorenzo Federici (il titolo è un piccolo tributo al membro “sfigato” il cui nome non è entrato a far parte di quello della band) è un album lungo all'incirca il doppio del precedente Ep Urrà, che era un'accozzaglia di canzoni registrate alla meglio. Circa 34 minuti, compresa la ghost track che fa finta di essere tale - non immaginatevi la pausa che prelude a Endless Nameless – semmai, può definirsi "spettrale" nel nuovo arrangiamento di All You Can Eat, qui rinominata Il Mondo Che Avanza. Sotto certi versi, questa canzone, che aveva pieno diritto ad essere collocata nell'album d'esordio, essendo il cavallo da battaglia e forse uno dei pezzi migliori della band fino ad adesso, rappresenta un tentativo di realizzare una versione più matura rispetto alla precedente. Questo, specialmente, lo si può notare nella correzione dei versi finali da non vorrebbe più avanzare a non vuole più avanzare e di la sazietà non ci basta proprio più in di sazietà non ne possiamo proprio più. Forse sarebbe il caso di soffermarsi su un'analisi più lucida del messaggio e di porre domande come "siete sicuri che questo mondo non voglia avanzare?" "sapete che l'avanzo è alla base della nostra economia, il modello di crescita esponenziale e tutto il resto?" ma quello che ci ritroviamo davanti, e che si evince da un ascolto completo del disco, è un approccio non solo leggero ai temi della quotidianità, ma forse persino un po' troppo ingenuo (tanto che quest'ingenuità trova il suo apice nell'encomio del PAM, noto per una gestione berlusconiana degli introiti). Voglio dire, non è che sono qui a colpevolizzare gli EIVDG perché fanno la spesa al PAM o all'Esselunga. Io sarò pure un povero disilluso che rischia di diventare cinico e non voglio certo cercare di pestare i piedi a chi ancora, come loro, ci crede, a qualcosa. Ciononostante, il pezzo zoppica proprio a causa del nuovo arrangiamento. Troppo ricercato per gli EIVDG, una band che dà il suo meglio quando gli arrangiamenti sono semplici ma impreziositi dalle armonie vocali (Ho perso, Argh!) e da strutture un po' più varie rispetto alle canzoni pop classiche (Zoo Balneare, Ottetto di Stabilità, Ho Perso). Quello che manca qui è proprio la forza trainante di All You Can Eat: i cori polifonici, che qui invece tendono alla monotonia ed al sintetico. (Non usate mai più un vocoder o un vocal tuner in studio, ragazzi. Vi prego. MAI.)
Un indubbio merito del disco resta, in ogni caso, l'ecletticità nel rispetto sostanziale della canzone pop folk. L'attacco, ad esempio, non è per niente male, con quella specie di canto popolare in 7/4 (il tempo prog più amato: Money, Disco Labirinto) che è Argh! e la successiva, trainante, Ho Perso, dal riuscitissimo sapore swing.
In seguito si passa al pop di Non Ancora, alla dimensione da osteria dell'Ottetto ed alla melensa ed ironica Noi Adulti. Il problema è che non passati neanche undici minuti e siamo già ai pezzi di riempimento. Non Ancora non sa di nulla, anche se qua e là c'è qualche barlume di lucidità, come il riferimento all'inutilità dei dottorati in questa società antimeritocratica, ma il tema è sfiorato così delicatamente che è persino difficile accorgersene. Ottetto di Stabilità ha un andamento simpatico, ma zoppicante: mi fa male la cabeza, se penso all'idea di ascoltarla due volte di fila. Noi Adulti riesce a strapparmi un sorriso, ma è un pezzo impubblicabile. Andava bene per il primo Ep, forse, ma qui stiamo giocando a fare sul serio. Chiunque voglia affacciarsi al mercato come gli Eugenio, che hanno aperto i concerti ai Marta Sui Tubi ed agli Zen Circus e che ormai suonano un po' in tutta Italia, è bene che provveda ad un'adeguata selezione dei pezzi. Altrimenti ci fa una figura di merda. L'idea, dopo aver ascoltato Argh! e Ho Perso, di avere a che fare con un artista fresco, ironico, simpatico, brillante e potenzialmente virale è del tutto prosciugata quando si arriva all'ascolto di Noi Adulti. E sapete perché? Perché gli Eugenio In Via Di Gioia sono diventati seguitissimi ancora prima di imparare a suonare seriamente, come invece hanno imparato a fare i Circle o i Maniaxxx o i Foxhound e tanti gruppi di cui ho parlato precedentemente, che ne hanno dovuta mangiare di merda prima di diventare la piccola realtà che sono adesso: eppure su un palco dell'Heineken Jammin' Festival non sfigurerebbero, perché è gente che sa suonare a dovere. Il rischio qui, è che gli Eugenio, nati troppo in fretta, pubblicati troppo in fretta, seguitissimi troppo in fretta, si ritrovino un giorno a dover dimostrare di non essere all'altezza del mondo musicale che li attende (anche De Gregori non lo era, ma erano altri tempi).
Io non voglio che ricevano un calcio in culo dal mondo musicale, perché credo che non se lo meritino, ma questo disco è una presentazione a brache calate. Credo che con un paio d'anni di studio e di buona lena la band posa cominciare a contemplare la possibilità di una seria carriera musicale: il talento c'è, sono le capacità ancora troppo amatoriali.
Alcuni testi sono buoni, a volte l'ironia funziona davvero bene. Tuttavia, non si può fare a meno di notare la tendenza a parlare troppo frequentemente delle dinamiche che ruotano attorno alla vita del musicista emergente (Ho Perso, Argh!, Egli, Troppo Sul Seriale) che, per certi versi, mi ricorda certi rapper le cui canzoni dicono "ehi guardami, sono figo, faccio freestyle sul fatto che sto facendo freestyle, faccio rap e le mie canzoni parlano tutte del fatto che canto il rap" sebbene, a differenza dei rapper, l'atteggiamento degli Eugenio fortunatamente è ironico e non autocelebrativo. Il rischio è di diventare tautologici: non si può scrivere solo del fatto che si sta scrivendo.
Pubblicizzare questo disco in giro per la penisola va bene, se si ritorna in fretta a lavorare sulla composizione. Non è tanto la teoria che manca (Eugenio è un buon cantante, Emanuele un buon tastierista), piuttosto è ora di lasciarsi le canzoncine da liceo alle spalle. Potrei spendere altre due parole per parlare anche di Troppo Sul Seriale, o del cameo della Banda Fratelli in Zoo Balneare, ma sarebbe inutile, perché credo di aver già detto tutto quello che penso. Potrei aggiungere che la band conserva un'ironia ancora in ottima forma, ma vorrei fare presente che il nonsense è arte e che non tutti possono permettersi di giocare a fare gli Elio E Le Storie Tese, né i Monthy Python, o Maccio Capatonda.
Ben venga quindi il coretto in A-/F/C/G di Caaaaaaaaaaaaane, così come l'assolo che non parte in Zoo Balneare (vai tu, no vai tu) - ma rimane ancora così tanto su cui lavorare. Troppo almeno, rispetto alle attenzioni che questo disco sta ricevendo. I Fanali Di Scorta, un'altra band torinese di stampo cabarettistico, avevano già proposto un fa un lavoro simile quasi dieci anni fa, decisamente superiore per freschezza e lucidità compositiva, non ebbero neanche un decimo della fortuna degli EIVDG.
Forse sono stati un po' troppo impietoso fino ad adesso. Tutti i fan delusi si chiederanno finora qual'è la mia posizione riguardo ad Egli.
Non nego che sia un gran pezzo: poetico, toccante e di una semplicità estremamente elegante. Se non fosse una piccola perla dentro a questo ammasso di canzonette, ci ritroveremmo davanti un altro pezzo di storia della musica italiana, ma Egli è il colpo di genio della canzone scritta in 5 minuti, dell'incastro perfetto che non vuole ritocco. Come un colpo di fulmine, che va e viene e non sai quando tornerà. Dubito che gli EIVDG ci proporranno pezzi di questo calibro in futuro, ma sono sicuro che è questa la direzione che dovrebbero prendere. Composizioni corte e semplici, linea di piano melodica, escursioni dinamiche guidate dalla vocalità. Una formula compositiva semplice e facile che potrebbe adagiarli senza troppe difficoltà sulla cima delle classifiche indie italiane per almeno i prossimi cinque anni. Volendo continuare ad essere pignolo, potrei dire che in realtà non capisco il collegamento tra la parte pseudoautobiografica all'inizio e quella del matto alla fine, ma che mi piace comunque l'accostamento delle immagini evocate, la bella metrica e la cura delle rime.
Per riassumere: Lorenzo Federici, un disco di 34 minuti con 4 pezzi riempitivi, non è un granché come inizio. Gli spunti buoni ci sono, ma Non è così che si fa, non è minimamente sufficiente a guadagnarsi il posto che si prospetta nel panorama nazionale assieme agli Zen Circus, ai Marta Sui Tubi ed ai Pan Del Diavolo, perché è proprio lì che ci ritroveremo gli Eugenio In Via Di Gioia tra qualche anno. Lo Stato Sociale ci hanno già dimostrato che è solo una questione di followers e di testi, non di qualità.
Volendo concretizzare: siamo sulla sufficienza, ma scarsina. Qui si rischia l'esame di riparazione.
VOTO: 60
Eugenio Cesaro: voce, chitarra acustica
Emanuele Via: fisarmonica, piano, cori
Paolo Via: cajon, charleston e crash senza bacchette, (occasionalmente una cassa?), cori
Lorenzo Federici: basso, titolo del disco
P.S. Per gli EIVDG: Spero ci sarà la possibilità comunque di incontrarvi e cenare con voi. Vi voglio sempre bene. Siamo io ed il tatto che non andiamo d'accordo.