martedì 3 marzo 2015

Come Rendere Digesta L'Eleganza DeNdkadente


Ho Una Fissa
Puzzle
Un Po' Esageri
Sci Desertico
Nevischio
Rilievo
Diluvio
Derek
Vivere Di Conseguenza
Alieni Tra Noi
Contro La Ragione
Inno Del Perdersi
Funeralus



Mi chiedevo quant'acqua sarebbe passata sotto ai ponti, prima che io scrivessi un pezzo sui Verdena. Parlarne mi risulta particolarmente impegnativo a causa dello zelo e della passione da me dedicata alla alla loro musica in tutti questi anni. Ma cercherò, per una volta, di stringere un po' il discorso. Mi limiterò a dire che, per quanto le canzoni dei Verdena possano risultare ostiche, melodrammatiche, depressive, bizzarre ed alle volte persino inconcludenti e prive di messaggio, farcite come sono di rime banali e scipite come “noi-poi”, “me-te”, "mai-sai", resto un fautore dell'idea che i Verdena hanno rappresentato negli ultimi quindici anni un caso unico e prezioso in questo Paese.
Questo perché i Verdena sono una band sempre moderna, autentica, sempre al passo coi tempi, capace di reinventarsi e mettersi in gioco, sorprendentemente abile nello sfruttare a suo favore la promozione delle grandi etichette industriali come la Warner pur mantenendo il controllo pressoché totale di tutte le tappe produttive della loro musica. Sono ormai tre anni che Alberto Ferrari produce e registra la musica direttamente nello studio/sale prove della band, il "pollaio”: i tempi di Valvonauta sono ormai decisamente ad anni luce di distanza. 

 
Facciamo una rapida carrellata sulla carriera della band, esattamente come avevamo fatto precedentemente per i Flaming Lips:

1997


 esce il demo, una manciata di canzoni in stile grunge di un gruppo di adolescenti (Luca, il batterista, ha all'incirca 15 anni). Le copie finiscono subito, la band si guadagna il titolo di “Nirvana Italiani”.


 1999

 
 L'esordio omonimo, prodotto da Giorgio Canali, lancia i tre poco più che maggiorenni dai barrettini di provincia ai palchi da cinquemila persone di MTV. Il sound è decisamente più pop rispetto al demotape ma non per questo privo di grinta. I testi sono inesistenti. I singoli piazzati sono ben quattro: Valvonauta, Viba, Ovunque e Dentro Sharon


2001


 Sotto la guida artistica di Manuel Agnelli, il ventitrenne Alberto Ferrari comincia a scrivere dei testi che abbiano un senso. Come Un Grande Sasso è fortemente debitore verso i Motorpsycho ed, a mio giudizio, resta il loro lavoro migliore.


2004


 Il Suicidio Del Samurai recupera le tinte grunge del primo album con la cura dei testi del secondo. Il disco funziona, il sound potrebb'essere quello definitivo, ma nell successivo album la band sconvolge completamente le carte.


2007
 
 Requiem spiazza critica e pubblico. La qualità della registrazione diminuisce a favore di un approccio più personale, seppur estremamente derivativo, per lo meno nei titoli, alla composizione ed anche l'ep Canos, del resto, sembra guardare in questo senso. La band sembra non saper più che pesci pigliare: se da una parte sembra ritrovare la cattiveria del demo (Non Prendere L'Acme Eugenio, Don Callisto), dall'altra comincia ad emergere una vena più prog (Il Gulliver, Sotto Prescrizione Del Dottor Huxley) ed elettronica (Opanopono). Il tour che ne segue prosciuga le finanze dei tre. Alberto diventa padre. Roberta si trova un impiego provvisorio.

 
2011



 Wow conquista critica e pubblica a sorpresa, nonostante sia un doppio album in cui convivono istanze musicali completamente differenti, se non opposti. La nuova musa è il Battisti di Anima Latina. Le composizioni del cantautore poggiobustonese sembrano fornire il collante necessario per fondere vecchie e nuove influenze e trovare finalmente l'approccio originale alla composizione. Il risultato è un pop eclettico e maturo che risulta in un album estremamente variegato, capace di sorprendere senza annoiare.



Che cosa aspettarci, dunque, da Endkadenz? Di sicuro, non l'ennesima rivoluzione del sound – quello era compito di Wow - e nemmeno uno sperimentalismo sfrenato. Endkadenz è il prodotto di una band ormai perfettamente consapevole delle proprie capacità, che ha imparato a guardare con ironia alla responsabilità morale e mediatica della propria immagine sul panorama musicale nazionale. La recensione di Ondarock suggerisce giustamente che i Verdena abbiano smesso di giocare a “fare i Verdena o i Motorpsycho” ed infatti è proprio così. 
Quest'album rappresenta l'ideale prosecuzione di Wow in format di album singolo. Scelta, questa, peraltro non desiderata dalla band, che si è presentata all'ora della pubblicazione con ben 112 pezzi pronti ed incapace di provvedere ad una selezione adeguata (ha smesso di esserlo, del resto, dai tempi di Requiem, che era già decisamente troppo lungo). A seguito del veto posto dalla Warner di pubblicare un album doppio, Alberto & Co hanno pensato di dividere il lavoro in due parti: Vol.1, uscito a fine gennaio, e Vol.2, che uscirà verso il mese d'Aprile. L'approccio, come ho detto, rimane quello un po' poppy di Wow, se non che il sound sembra un po' più ruvido, volutamente mirato a mantenere un certo eclettismo ma a creare stacchi di genere meno forti tra un pezzo e l'altro. Nel mantenere un format pop, senza perdere le proprie radici grunge ed alternative, sembra che i Verdena abbiano guardato stavolta, oltre che ad Anima Latina (Contro La Ragione) a certe soluzioni sonore degli ultimi Flaming Lips, affini ai tre per “rumorosità” e gusti musicali (del resto io stesso vidi i Verdena suonare come spalla ai Flaming Lips al Gru Village nel 2012). Quest'idea mi è venuta quest'idea ascoltando il riff di chitarra di Sci Desertico.
Enkadenz è un album coeso e variegato, con una identità forte ma che mantiene al tempo stesso una certa continuità con tutto quello che sono stati i Verdena precedentemente (ivi compresi i difetti, ovvero: la mancata cura delle parti vocali di Wow ed una sostanziale indifferenza al messaggio ed alla forma dei testi). Le composizioni sono tutte molto valide, seppur non sia capace di indicare una traccia che spicchi particolarmente rispetto alle altre, con la sola eccezione del singolo Un Po' Esageri, in cui la band mostra un atteggiamento ineditamente spensierato e leggero, con tanto di urletti che rimarcano il riff.


L'ascolto parte con la splendida Ho Una Fissa, che con buona probabilità rappresenterà il pezzo d'apertura dei prossimi concerti. Tracce come Puzzle e Nevischio sembrano guardare ai cantautori italiani degli anni 80 (Battisti, Rino Gaetano) sebbene le canzoni mostrino delle strutture decisamente interessanti, forse debitrici dell'eredità che hanno lasciato band come i Radiohead sulle modalità di costruzione della canzone pop del nuovo millennio. Derek sembra invece recuperare certe atmosfere chitarristiche dei primi album, anche se, in questo caso, ed anche nel resto dell'album, sembra i chitarroni costituiscano l'ossatura e non il rilievo, non essendo più la parte centrale attorno al cui ruotano le canzoni (come poteva essere, invece, per tracce come Starless, Muori Delay o la stessa Valvonauta). Forse il merito maggiore di quest'album consiste nella capacità di mettere a questa dichiarazione artistica. I Verdena, come del resto avevano già cominciato ai tempi di Wow, hanno smesso di ragionare sui riff, concentrando la loro attenzione sulle progressioni musicali e sui testi che possano accompagnarle: ed è in questo aspetto che risiede la loro maturità. È nelle strutture dei pezzi, non più nei tecnicismi chitarristici o vocali, che i Verdena mostrano tutta la loro innovatività ed il loro talento, ed è chiaro che quest'album creerà ancora una volta disturbi, confusioni e ripensamenti: gli stessi con cui ci ritroveremo a fare i conti nel prossimo Vol.2.
Nel frattempo, io mi preparo al concerto di stasera. Speriamo che i progressi siano riscontrabili anche dal vivo.



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