Queste sono vere soddisfazioni.
Abbiamo una trentina di fans, niente praticamente, ma a quanto pare, ci abbiamo visto giusto e prima degli altri. Non abbiamo fatto in tempo di far notare a tutti che Nasty, il nuovo singolo dei Prodigy sembrava frutto del precedente album, Invaders Must Day, che lo stesso Liam Howett ha dichiarato di aver lanciato quella traccia per errore. " Il leader ha aggiunto: “Non so come possa essere successo, stavamo lavorato su della musica futuristica veramente all'avanguardia così naturalmente era quella quello che volevamo lanciare, piuttosto che questa canzone che è tutto quello che avete già sentito precedentemente da noi assemblato in tre minuti e mezzo di rumore."
- mi sono
elettronicamente svezzato con i Prodigy.
- resto un
estimatore di Liam
Howlett.
-
questa è la recensione del rompicazzo di turno necessaria a fini
statistici
Qualche
mese fa, dopo un lungo silenzio, ci fu l'interruzione dello stesso ed
una voce (quella di mr. Howlett ndr) disse che il prossimo album
sarebbe stato "violent-sounding". Forse è il frutto delle delusioni accumulate fin'ora, ma ogni volta che qualcuno che ha già fatto la storia della musica annuncia un fatidico nuovo album mi tremano le
gambe, mi si gelano le dita e tiro un sospiro: ho sempre paura.
Cosa
ci sarà mai da avere paura? Credo derivi dalla consapevolezza che ormai chiunque, anche voi sareste pronti a vendere vostra madre in catene per 10
euro e 10 minuti di gloria e quindi tutto sommato mi sembra legittimo lasciarlo fare a qualcuno in possesso di una buona fetta del mercato, per lo meno avrà i mezzi per farlo meglio.
Fare surf, ovvero cavalcare l'onda, è storicamente più
facile che creare il più piccolo dei flutti e nel 2015 l'onda non è
composta da acqua e sale, diciamo che è fatta di acqua e sale
digeriti e qualche residuo organico non catturato dai
villi, ecco perché ho paura.
Ma bando
alle ciance, e veniamo all'ascolto vero e proprio.
È
stato pubblicato giusto qualche ora fa e mentre scrivo sta facendo il
giro del web, negli stessi attimi, terminato il primo ascolto mi
chiedo: ma di che anno è? Non è che per caso ho messo in
riproduzione Invaders Must Die e non mi sono accorto di
questa traccia fantasma? No, non mi sbaglio, è proprio il primo estratto del nuovo album
(The Day Is My Enemy) in uscita il 30 Marzo.
Da qui viene fuori la domanda cruciale:
è possibile che 6 anni non abbiano portato nessuno spunto nuovo degno
di nota? Evidentemente si, ma forse no, insomma, spesso quello che
passa per la testa di un musicista, e che magari scrive anche, non è
per forza solo quello che viene poi pubblicato, soprattutto in ambito
"professionale": ci tenevo a sottolinearlo giusto per
insinuare un po' il dubbio e spezzare in anticipo una mezza lancia a favore, perché musicalmente
qui non c'è proprio nulla di nuovo, c'è sempre Flint che canta da
psicopatico, il mitico beat molto big e tutti quei sintetizzatori che possiamo
definire ben riusciti ma non eccessivamente incisivi.
Voglio dire, non vi
basterà un ascolto per fissarli, violenti o nolenti, nel cranio. Vi
piace questa formula? Allora vi piacerà anche Nasty.
Ed il video? Forse mr. H si è un po' fatto prendere la mano dopo aver
visto le realizzazioni dei Queens of the Stone Age, soprattutto
quelle inerenti Like Clockwork. Si, va bene, è roba carina, ma non sono stati neanche
loro i primi e trovo la somiglianza un filo troppo marcata, la
distanza temporale un po' troppo sottile.
Tirando
due somme, non c'è nessuna nuova tendenza all'interno. Un bene? Un
male? A voi l'ardua sentenza, una cosa è certa: ci risparmieremo una
sfilza di chiacchere da bar per le quali "Eh ormai anche i
Prodigy si sono venduti, non sono più quelli di una volta,
blablabla...." mentre invece gli elogi dei
nostalgici si sprecano a a confermare ancora una volta che il passato sia il nuovo
futuro.
Insomma, i Prodigy hanno vinto in ogni caso, noi abbiamo perso e nel frattempo
aspettiamo di ascoltare (senza limitarci a sentire) il resto dell'album, ma non senza un po' d'amaro in bocca. E non si tratta del sapore del caffé.
(featuring Maynard James Keenan, Puscifer & Sunbears!)
Within You Without You
(featuring Birdflower & Morgan Delt)
When I'm Sixty-Four
(featuring Def Rain & Pitchwafuzz)
Lovely Rita
(featuring Tegan and Sara & Stardeath and White Dwarfs)
Good Morning Good Morning
(featuring Zorch, Grace Potter & Treasure Mammal)
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club (Reprise)
(featuring Foxygen & Ben Goldwasser)
A Day In The Life
(featuring Miley Cyrus & New Fumes)
Rivisitare un'opera musicale che ha
ispirato generazioni di musicisti è tutt'altro che un lavoro
semplice, né costituisce di per sé una novità assoluta. Bisogna saper
essere creativi ed allo stesso tempo non sfigurare rispetto alla
versione originale. Ci sono artisti che vivono esclusivamente di
questo, come gli Easy Star All Star, il progetto dub che aveva già
rivistato tre capisaldi come The Dark Side Of The Moon, Sgt. Peppers
Lonely Hearts Club Band ed Ok Computer.
L'album maggiormente preso di mira
dalle band mainstream, in questo senso, sembra proprio essere The
Dark Side Of The Moon, di cui si possono segnalare anche un'inutile
“copia carbone” dei Dream Theater, la recente pubblicazione di
una versione dei Gov'T Mule ed, appunto, l'omaggio appassionato in
chiave barrettiana dei Flaming Lips, The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing The Dark Side of the Moon.
Si tratta di un album che aveva colto
fin dal principio la mia attenzione per la copertina un po'
irriverente ed oltraggiosa e del quale rimasi a lungo un po' scettico
ed un po' spaventato allo stesso tempo, quasi come se l'idea del solo
pensiero che qualcuno potesse mettere le mani sul Lato Oscuro Della
Luna rappresentasse un oltraggio a qualcosa di sacro almeno
quanto lo è l'immagine di Maometto per qualche scriteriato con la
barba lunga a cui piace far saltare gente a caso per le strade di
Parigi, Londra o Madrid.
Fu proprio quando mi decisi a lasciare
da parte le mie reticenze che mi accorsi di quanto mi stessi sbagliando. Spesso le reinterpretazioni, anche se è lo stesso
artista a riproporre i suoi pezzi anni dopo, finiscono per causare un
certo senso di nostalgia per le versioni originali: manca il
sentimento che l'artista mette nel momento stesso in cui crea e vive
la canzone, e quella è una cosa unica, irripetibile. In The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing The Dark Side of the Moon, invece,
non si sente niente di tutto questo. Le canzoni sono le stesse di The
Dark Side Of The Moon, ma gli arrangiamenti ed alcune soluzioni
ritmiche ed armoniche sono così diverse che non ti passa neanche un
attimo per la testa di fare confronti con la versione originale. È
una cosa bellissima, e secondo me è esattamente lo stesso che ha
fatto Quentin Tarantino quando in Inglorius Bastards fa trucidare
hitler da degli ebrei di origine americana, o di Duchamp quando
disegnò i baffi alla Gioconda: si tratta di prendere uno stereotipo,
anzi diciamo un tabù (come la rivisitazione di un'opera ritenuta
ineguagliabile per bellezza o meriti artistici, o un tema delicato come lo sterminio degli ebrei o il corso della storia stessa) e riappropriarsene,
attribuendogli così significati diversi.
Perché uno dei problemi
più grandi di questa generazione (e della musica generale) – e sto
parlando di un problema che è al centro del dibattito filosofico da
anni – è che si ha l'impressione che sia un po' già stato fatto
tutto e che non si possa produrre niente di nuovo e spesso si guarda
al passato con nostalgia, ci si cristallizza sull'idea che ci sono
cose (come The Dark Side Of The Moon, o il Sergente Pepper) che mai
saranno uguagliate perché, del resto “erano altri tempi” oppure
“i tempi sono sbagliati”: si ha l'abitudine di guardare molto al
passato ed avere poca fiducia nel futuro. E così quei patrimoni
indiscussi rimangono lì in bella mostra, a portata di tutti e
nessuno, come una bella fica che non disdegna fare quattro parole con
tutti ma non la mai a nessuno. Ed i Flaming Lips, così come Duchamp,
così come Tarantino, hanno quella capacità di sbloccare la
situazione, impadronendosi del Sergente Pepper e dipingendo baffi a
destra e a manca sulla sua faccia, stravolgendo le strutture delle canzoni, infilando sintetizzatori
saturi come un rollo di pancetta che cuoce nel burro fuso, quasi come
se Coyne, capo indiscusso di tutta questa baracca di
anarco-insurrezionalisti, volesse gridarci a spada tratta: “Questo
album è un patrimonio dell'umanità, di tutti! Inutile limitarci
a guardarci indietro, non bisogna essere prevenuti! Tanto vale scherzarci sopra, tutt'insieme, in
questa bellissima giostra che è la musica, perché un mito nasce proprio quando cadono i tabù che ruotano attorno ad esso!”
La personale rivisitazione dei Flaming
Lips del famoso Sergente Pepper è un colpo messo incredibilmente a
segno.
Il progetto nasce a metà tra l'idea di ripetere la grande
sfida di The Flaming Lips and Stardeath and White Dwarfs with Henry Rollins and Peaches Doing The Dark Side of the Moon e della pubblicazione di un album dalla formazione
allargata che è già stato alla base di The Flaming Lips And Heady
Fwends.
With A Little Help From My Fwends è
una specie di versione sgangherata ed in chiave noize del classico
dei Beatles. A mio giudizio le versioni migliori sono proprio quelle
della title-track e la tanto chiacchierata Lucy In The Sky With
Diamond, che vede alla voce la pop star più discussa degli ultimi
anni.
Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band
ha il pregio di riuscire ad aumentare la teatralità della
presentazione in chiave musicale, pur facendo a meno dell'orchestra
di fiati che affiancava i Fabolous Four. È più dinamica, quasi
ballabile, con tutti quei suoni elettronici che fanno da sfondo alla
voce esile che presenta la band. Il bridge ad un minuto, invece,
presenta quel suono vibrante che riesce a rendere quasi
tangibile quell'immagine da circo che i Beatles volevano tanto ma non avrebbero mai
potuto sognare di realizzare: e questo perché, pur essendo dei
musicisti di tutto rispetto rispetto a Coyne e Drozd, ai Fab Four è
sempre mancata la sfacciataggine musicale dei Flaming Lips. Il
ritornello, invece, sembra preso in prestito dalla versione di Jimi
Hendrix ed è un muro di overdrive e distorsioni (neanche la voce è
risparmiata), ma ciò che veramente sono il rallentamento che la
precede e la successiva accelerazione: una piccola manovra permessa
dall'aiuto del progresso tecnologico, ed il risultato è come se la
canzone fosse un collage di tre parti montate assieme ed un pezzo
unico allo stesso tempo.
Lucy In The Sky With Diamonds, che
presenta Miley Cyrus alla voce, che peraltro non sfigura per niente
su quella tonalità (anche se manca quell'appeal psichedelico che
aveva solo ed esclusivamente la voce di Lennon), sembra riuscire ad
enfatizzare la portata emotiva del ritornello, grazie a quello stacco
di tastiera che lo introduce. È probabile che il merito di questo
ritocco sia ad attribuire a Moby (altro collaboratore del pezzo), ma
la saturazione ed il suono delle tastiere costituiscono ormai un
marchio di fabbrica dell'ultima produzione dei Lips (7 Skies H3 in
particolare).
Negli altri pezzi, in generale, ci si
ritrova davanti a delle versioni più sporche e rumorose delle
originali. In alcuni pezzi la componente elettronica è veramente
preponderante: Fixing A Hole è così pesantemente filtrata che
sembra venir fuori da un'allucinazione di Donnie Darko, She's Leaving
Home ha una batteria elettronica pesantemente trip-hop, Being For
The Benefit Of Mr Kite, col suo basso ripetitivo privo di variazioni
tonali e tutti quei synth cupissimi, sembra provenire direttamente
dall'oltretomba, le voci robotiche di When I'm Sixty Four sopprimono
così tanto il senso melodico della composizione originale che quando
appaiono i suoni di campana sembra uno sprazzo di paradiso
all'inferno, Lovely Rita sembra un pezzo indie new wave, Good Morning
Good Morning ha uno stacco indimenticabile a 01:50, come se avessero chiamato un coro di robot ad intonare un gospel.
La bonus track, A Day In The Life, vede
di nuovo la presenza di Miley Cyrus.
È ormai noto come la band sia
in buoni rapporti con lei. Ho come l'impressione che i Flaming Lips
stiano facendo per la scena indie rock quello che Miles Davis ha
fatto dei musicisti jazz per anni e cioè di saper riconoscere i
fenomeni musicali degni di nota e fornire i giusti spazi perché lo
possano dimostrare. Non è un caso che nel precedente The Flaming Lips And Heady Fwends apparissero Bon Iver ed i Tame Impala, che oggi sono dei fenomeni
indiscussi.
Stando alle loro interviste, sembrerebbe che la Cyrus
abbia la testa sulle spalle molto più di quanto voglia far credere e
che stia semplicemente sfruttando il proprio corpo e certi
atteggiamenti un po' osé (come, del resto hanno fatto anche Lady
Gaga, Cher, Madonna, Rihanna, Shakira, Grace Jones, Jennifer Lopez, le Serebro, Cristina Aguilera prima di passare alla famiglia dei cetacei, Britney Spears, le Spice Girls ecc ecc…) come pura strategia di
marketing, La sua recente amicizia coi Flaming Lips le farà imparare
molto ed è probabile che da lei potremmo aspettarci delle sorprese,
questa volta finalmente sul piano musicale.
E quindi ringrazio i Flaming Lips, e
ringrazio Wayne Coyne perché quando si tratta di Wayne Coyne non si
possono avere certezze e diventa finalmente bello dubitare di sé
stessi e di tutte le nostre certezze, e credo che per questa
generazione lui e la sua musica siano una vera manna dal cielo così
come lo erano Lou Reed ed Iggy Pop per gli anni 70, perché portano
avanti una piccola rivoluzione che ha qualcosa da insegnare ad ognuno
di noi.
Eccolo qui, Wayne
Coyne. Non pensiate che ci sia inganno: è proprio il suo
sorriso. Coyne è la persona più realizzata che abbia mai visto in
vita mia. Cantante afono, chitarrista approssimativo, amante delle
belle tette (grosse e sode, da modelle), della marijuana e dei
derivati dell'acido lisergico, appassionato di musica dei Pink Floyd,
Coyne a 23 anni non aveva di certo la strada del successo dischiusa
davanti a sé, né avrebbe mai potuto sperare in un impiego stabile.
Anzi, probabilmente era proprio quello che avremmo definito, senza
mezzi termini, un cazzone.
Eppure, le strade della vita lo hanno
portato ad essere prima il chitarrista e poi il leader e cantante
indiscusso di una interessante formazione a 3, i Flaming Lips,
almeno fino alla prima metà degli anni 90. Successivamente, il
collettivo si è allargato per dare spazio alla nuova mente creativa
del complesso, Steven Drozd.
Ora, non posso fermarmi a
spiegarvi tutto quello che hanno fatto i Flaming Lips nel corso della
carriera, perché se lo facessi un articolo come questo non
basterebbe.
Mi limiterò a dire che i Flaming Lips dal 1983 ad
oggi, dopo 17 album uno più diverso ed interessante dell'altro, non
solo sono sopravvissuti, ma sono una delle formazioni più floride e
creative sulla faccia della terra. Wayne Coyne ha 53 anni, è
completamente afono ma continua ad essere pieno di sorprese.
Negli
ultimi tre anni i Flaming Lips hanno pubblicato:
The
Flaming Lips 2011 #1: Two Blobs Fucking
realizzato su Youtube come dodici video, ognuno con relativo video,
da riprodurre simultaneamente con dodici smartphone
The
Flaming Lips 2011 #2: The Flaming Lips with Neon Indian
The
Flaming Lips 2011 #3: Gummy Song Skull
realizzato come un grande teschio in gelatina edibile contenente un
USB con 4 canzoni
The
Flaming Lips 2011 #4: The Flaming Lips with Prefuse 73
The
Flaming Lips 2011 #5: The Soft Bulletin Live la Fantastique de
Institution 2011
The
Flaming Lips 2011 #6: Gummy Song Fetus
realizzato come una replica di un feto non nato in gelatina edibile
contenente un USB con 4 canzoni
The
Flaming Lips 2011 #7: The Flaming Lips with Lightning Bolt
The
Flaming Lips 2011 #11: The Flaming Lips with Yoko Ono/Plastic Ono
Band
2012
The
Flaming Lips and Heady Fwends
2013
The
Terror
Peace
Sword
2014
7
Skies H3 – una versione di 50
minuti di 7 Skies H3
With
a Little Help from My Fwends – la
rivisitazione, in collaborazione con altri artisti, del classico
“Stg Peppers Lonely Hearts Club Band”
Le uscite di quest'ultimo
anno non hanno lasciato per niente a desiderare.
Cominciamo con 7 Skies H3.
7 Skies H3 (Can't Shut Off My Head)
Meepy Morp
Battling Voices From Beyond
In A Dream
Metamorphosis
Requiem
Meepy Morp (Reprise)
Riot In My Brain!!
7 Skies H3 (Main Theme)
Can't Let It Go
La decisione di pubblicare
7 Skies H3 ha permesso finalmente di rendere accessibile le idee
musicali del sopracitato Teschio. L'opera originale era stata
concepita come “un disco che dovesse fare da sfondo sonoro ad
un'intera giornata lavorativa”. Si trattava di musica di
sottofondo, che non cerca di prendere troppo l'attenzione
dell'ascoltatore, e quindi con ritmi molto lenti ed accordi di piano
“eterei” che durano all'infinito (la sola Meepy Morp,
nella versione originale, durava quasi un paio d'orette, per
intenderci).
In questo disco, le idee
vengono compattate e le canzoni assumono una forma più dinamica, che
permette di fare capolino alle due dimensioni che hanno
contraddistinto i Flaming Lips degli anni duemila, quella
rumorista-psichedelica inaugurata con Embryonic (Battling Voices From
Beyond, Metamorphosis), così come quella del pop un po' kitsch un
po' psichedelico (Rice for The Prize, per intenderci) che li aveva
contraddistinti dati tempi di Yoshimi Battles The Pink Robots, che fa
proprio capolino nelle pennellate di tastiera che intervallano quel
complesso multicolore che è Metamorphosis. Riot Brain, invece,
rappresenta un inaspettato ritorno alla dimensione punk-noize del
periodo anni 80 (Telephatic Surgery, Cloud Taste Metallic).
L'album si presenta come
un concept che gira intorno al tema principale di 7Skies H3, un giro
ciclico di accordi in minore molto semplice, accompagnato da un tema
di sintetizzatore nel migliore stile Shine On You Crazy Diamonds. I
Flaming Lips si districano abilmente (come del resto hanno già
dimostrato con Embryonic e I Found A Star On The Ground) tra diversi
livelli e stili di psichedelia. L'album si evolve come un flusso
musicale continuo. La litania quasi liturgica di Can't Get My Head
Off (che introduce il tema principale) sfuma sulle tastiere
distorte e sospese di Meepy Morp che quasi riconducono alle famose
Campane Tubulari, per poi virare verso i terreni cupi e drammatici
(Battling Voices From Beyond) ed infine cedere spazio ad un omaggio
al movimento kruat rock(In a Dream) (un tentativo simile si era visto
già in Pompeii Am Götterdämmerung).
Echi del tema principale
tornano in Metamorphosis, seppur soffocati da un milione di suoni e
rumori quasi distanti, come se la melodia facesse fatica ad uscire,
per poi passare a Requiem, dove l'atmosfera in bilico tra melodia ed
asfissia si respirano accordi estesi ed armonie jazzate. Il tema di 7
Skies H3 viene così reintrodotto tramite una serie di rumori quasi
indistinti (Meepy Morp reprise) che evolvono verso il caos quasi
free di Riot In My Brain, in modo che il semplice fatto che si
ripresenti conceda quasi un sollievo rispetto al pezzo precedente. In
realtà credo che 7 Skies H3 sia un brano un po' sprecato, perché su
un giro di accordi semplice e ripetitivo del genere, un buon
chitarrista pentatonico avrebbe potuto trasformarlo nella nuova
Maggot Brain o Shine On You Crazy Diamonds, o per lo meno avrebbe
impresso gli ascoltatori come aveva fatto a suo tempo John Frusciante
in Before The Beginning.
Ma, dopotutto, questo non è il modo di
suonare dei Lips, che non avranno mai voglia di impressionarci con assoli pentatonici lunghi e melodici, se preferiscono forzarci ad ascoltare un'esecuzione come quella di Powerless.
La chiusura è affidata a
Can't Let It Go, con un altro semplice giro di accordi pop che mi
ricorda molto Sunday Morning Call degli Oasis.
È anche questa una
ballata triste che scema nel riff di sintetizzatori introdotto nel
primo pezzo, chiudendo così il circolo con un bel crescendo
melodico.
7 Skies H3 si presenta
così come un disco semplice, quasi un divertissement di una band in
ottima salute, per niente invecchiata e pienamente consapevole delle
proprie possibilità e sempre capace di mettersi alla prova (non mi
sarei mai aspettato un pezzo come Riot In My Brain). È un disco il
cui limite e pregio risulta proprio nel suo aspetto apparentemente
arrafazzonato: sono poche idee, buttate lì in maniera da creare un
flusso pressoché continuo, ma che colpiscono nel loro insieme per coesione e
la semplicità. Can't Get My Head Off non ci fa certo rimpiangere i
bei tempi del Soft Bulletin e troverà sicuramente lo spazio che si
merita nei prossimi concerti della band.
Non è facile mantenere un livello
compositivo medio alto ed allo stesso tempo assecondare i ritmi delle
uscite, quando si recensisce. Possono capitare minime variazioni
nella vita di tutti i giorni e si perde subito di vista il blog. Un
piccolo screzio e si perde la voglia di aprire il blog o la pagina
facebook. A volte si fa una critica che poi si trasforma in un
insulto oppure si fa un complimento che poi si trasforma in insulto
verso gli altri. Tralasciando il nostro interesse verso la musica più
di larga portata, a livello emergente abbiamo finora incontrato
i Mothercar, che hanno accolto a
braccia aperta la nostra lusinghiera recensione
i Moheir, che dopo averci contattato
come se fossimo l'ultimo fenomeno mediatico italiano, con tanto di
redazione e contatti intermedi, si sono limitati a fare finta che la
nostra recensione non fosse uscita
gli Eugenio in Via di Gioia, con cui il
responso critico è stato così ben accetto da porre le basi per un
incontro diretto coi quattro (tre, anzi, mancava il batterista)
i Chemical Wakes, che sebbene abbiamo
mostrato molta sportività (e noi di Bangszine molta di meno ed infatti chiediamo scusa pubblicamente,
in quanto inizialmente avevamo cominciato a spammare il nostro articolo su ogni loro post)
nell'accogliere una recensione attenta ma in fin dei conti negativa,
probabilmente sono rimasti offesi per il riferimento alle Scienze
della Formazione (che voleva essere una battuta su degli stereotipi,
ma insomma, a buon intenditor, poche parole)
Nell'articolo sugli Eugenio in Via di
Gioia, che voleva essere rivolto anche alla scena musicale di Torino
in generale, avevo citato una serie di gruppi al solo scopo di
mettere in luce qual'era ormai la portata degli EIVDG. Molti hanno
inteso il riferimento ai gruppi citati come una critica verso questi
ultimi ed in particolare al povero Fishborn al quale va tutto il mio
rispetto. Abbiamo pensato che la cosa migliore per dimostrare che le
cose non stanno affatto in questa maniera fosse dedicare uno spazio personale a 5 gruppi emergenti diversi.
#4 The Rouse Project – The Rouse
Project (Ep)
Nemesis
Vamp
Iguana In December
Easter
Crack
ossiaQuando Enrico fa a meno di ESMA
Registrato presso lo studio Cerchio Perfetto di Tino Paratore (Arturo, Nerorgasmo, Belli Cosi, Isobel, Jinx, Titor, Acid Food, Braindamage) The Rouse Project è un
processo che esce sottotono, sottovoce, proprio nella maniera opposta
alla quale il suo principale artefice, Enrico Esma, è abituato.
Abituato fin dalla tenera età ad essere riconosciuto come uno dei
fenomeni musicali più interessanti prima a livello locale (Handle
With Care) e poi a livello nazionale (Moog) all'età di ventun anni,
Esma ha sempre avuto un po' di problemi col senso della mezza misura.
Dopo la piacevole
parentesi dei Sidera Ves, tranciata di netto dall'iniziativa di Vicio
(bassista dei Subsonica, promotore di quel tamarrock di cui sono
artefici i SICA) di trasformare il valido progetto in una puttanata elettronica e, a quanto risulta da voci di corridoio, da screzi amorosi con la bassista, Esma è diventato un progetto solista. I
risultati sono stati altalenanti.
Registrazioni iniziate, rimandate,
cambi di produttori, suddivisione del progetto in un paio di album
differenti, rimaneggiamento di pezzi vecchi, attingendo addirittura
dal catalogo Sidera Ves (Tossine, che è diventata Anestesia),
che
hanno dato origine ad un album eclettico ma discontinuo, che se da un
lato trova i suoi picchi espressivi nella bellezza poetica di certe
immagini poetiche (Pianoforte In Fiamme Sulla Spiaggia), dall'altra
si perde in un pop melenso, seppur comunicativo, ma piuttosto scialbo
e dimenticabile (Dente Di Drago, Resto Abile). Del resto, Esma rimane
un chitarrista elettrico profondamente ancorato agli 90 ed ai
Deftones come ai Vex Red e dà il meglio di sé proprio quando il
suono si fa saturo (Faraon, My Sweet Galera, Anestesia) ed è proprio
quando l'acustica sostituisce l'elettrica che il sound ne risente in
potenza ed efficacia (Universo, Vanessa). In particolare, il finale
di Vanessa è completamente sprecato – e non è di certo un video a
la Jodorowsky a risolvere il problema – ed avrebbe dovuto essere
saturo almeno quanto l'attacco di Anestesia.
Ed ho anche le prove per dimostrarlo!
Un discorso a parte merita Cambia Il
Mondo, che era perfetta nella sua versione originale quanto inutile la rivisitazione poppy che appare nel disco. La canzone può essere presa come il simbolo dell'Esma semplice e comunicativo, quello che ci piace. Anzi, di Enrico e del meglio che ci può offrire: canzoni semplici, dirette, perché non è detto che la
presa di coscienza debba per forza consistere nella comprensione di
un concetto troppo astratto. Come lui stesso disse: “Il
bello della vita è gratis!”.
Come una Stella, invece, nella sua
perfezione cristallina, non era che un plagio bello e buono di
Everlong, ripulita dal marchio Foo Fighters e con uno stacco d'ampio
respiro nel mezzo.
Con i Rouse Project, invece, Enrico torna alle
origini. Lasciata da parte l'immagine del personaggio un po' fricchetotone un po' megalomane che il chitarrista
che si era costruito attorno a sé, Enrico impugna l'elettrica e la
suona come non aveva mai fatto negli ultimi dieci anni, accompagnato
dal fedelissimo batterista Gianluca "Gillo" Mangione, già presente nei Sidera Ves e nella
formazione degli ESMA ai tempi di Come Una Stella (i Lupo) e della vittoria
all'Italia Wave regione Piemonte (peraltro, un articolo della stampa
riporta Esma come vincitore nazionale, per quanto il concorso sia
sempre stato solo regionale: Dio santo, vorrei proprio sapere chi è paga questa gente disinformata per scrivere al posto mio su quotidiani di fama nazionale).
Il risultato è molto efficace e per niente pretenzioso:
una new wave ridotta all'osso, duo chitarra batteria, con qualche
sovraincisione di basso qua e là a cura dello stesso Enrico, che però guarda ad uno spettro d'influenze ben più ampio, che comprende lo stoner di vecchio stampo (Kyuss) ed un certo alternative metal anni 90 (Deftones su tutti). I primi
quattro pezzi sono composizioni originali del gruppo, mentre la
chiusura è affidata a due pezzi rivisitati direttamente dal catalogo
Sidera Ves: Crash, che risulta abbellita un generale miglioramento tecnico nella vocalità e
Chupacabras, forse il pezzo più bello del disco, un outro tutta Moog e distorsioni, che sfocia in un casino
psichedelico che non può che ricordarmi i migliori momenti di Welcome To Sky Valley.
L'attacco è affidata a Nemesis, che comincia con la classica
vocina campionata incomprensibile e ricalca un certo songwriting
direttamente collegabile con i migliori episodi della new wave
italiana (i Litfiba di Desaparecido, Diaframma): ricordiamo che gli
Esma hanno anche avuto l'occasione di aprire Federico Fiumani e soci. La pronuncia
non è di certo delle migliori, la timbrica sembra voler volutamente ricalcare il modo di cantare degli Editors. A seguire l'ipnotica Vamp, con quel basso che penetra ed
un riff al fulmicotone che non lascia scampo. Tutto è lasciato al
minimo: quattro note arpeggiate, la voce sembra il delirio di uno
sballone in preda ad un acido (What You Think You Are...Thinking Is
Destiny...The World Within/The World Without ed altre stronzate). Nella sua estrema indefinizione, a me piace un sacco, almeno la prima metà, fino all'arrivo di quel riff noiosetto che si dilunga troppo.
Iguana In December ha un attacco
meraviglioso che ricorda qualcosa a metà tra un certo alternative
anni 90, un riffone alla Who e Jump dei Van Halen, per poi tornare su
un arpeggio ripetitivo ed a tratti opprimente su cui ritorna la voce a la Editors. Il gioco, ancora una volta, funziona grazie all'apertura melodica del ritornello che crea così un effetto di catarsi, per poi evolversi un frequenze un po' più più distorto ed un'altra bella coda casinara
Easter, invece, è un bellissimo
strumentale che mi rimanda a certi pezzi minori (ma non per questo dimenticabili) dei Mogwai privi del prevedibile
crescendo.Tre minuti ideali per fare da spartiacque alla parte più
cattiva del disco, dedicata al rispolvero del catalogo Sidera Ves.
In conclusione, quindi, il progetto Rouse Project, che nasce e scompare nel tempo di comporre, arrangiare e registrare le canzoni, ci mostra una band matura (Esma è arrivato a 33 anni) e pienamente consapevole dei propri mezzi, capace di spaziare i generi e dare spazio al bagaglio di esperienza accumulato in 15 anni di attività tra progetti musicali differenti.
Probabilmente la miglior incisione di Enrico Esma.
A causa di un rinnovo redazionale, e della conseguente ridistribuzione in merito alle singole facoltà decisionale degli individui, questa blog e le persone in esse coinvolte intendono dissociarsi da eventuali atteggiamenti o prese di posizione basate su coinvolgimenti personali da parte degli autori dell'articoli. Come ovvia conseguenza, tutti gli articoli considerati faziosi o nel quale è stato ritenuto che la sfera personale risultasse troppo prominente rispetto agli argomenti trattati sono stati rimossi o censurati. Con questo atto la redazione, ed in particolare l'autore del suddetto articolo, intende porgere le sue sentite scuse ad eventuali offese ed eventuali danni recati all'immagine dei gruppi coinvolti.