martedì 5 aprile 2016

Retrospettiva sui Nirvana


Il 18 giugno 2015 esce, a nome di  Brent Morgen, il documentario Montage Of Heck. Nonostante l'aspettativa, comprensibilmente alta, di un documentario su una delle vicende personali che hanno maggiormente segnato una generazione, il prodotto cinematografico si dimostra tutto sommato all'altezza, capace, se non altro, di lavare via la delusione lasciata da Last Days (regia di Gus Van Sandt, 2005) e, soprattutto, la polemica complottista avviata da Kurt e Courtney (Nick Broomfield, 1998).



La pellicola, tuttavia, per quanto abbia il merito di riuscire ad inquadrare appieno il personaggio con delle bellissime sequenze animate che danno vita alle memorie tratte direttamente dal suo diario (ormai negli scaffali delle librerie da parecchi anni), presenta il terribile difetto di mantenersi fin troppo legata alle aspettative di un pubblico di massa, privilegiando sfacciatamente il gossip familiare rispetto a quelle legate alla scena musicale di Seattle. In questo modo, mantenendo furbescamente le distanze da qualsiasi tipo di giudizio verso la tragedia che ha scosso una intera generazione, si ha un po' la sensazione che dei Nirvana, tutto sommato, si dica poco e niente. In seguito alla pubblicazione del documentario, come a conferma dell'intento lucrativo del progetto, la Universal ha annunciato in grande stile la pubblicazione del "primo disco da solista" di Kurt Cobain intitolato, appunto, Montage Of Heck - The Home Recordings


L'album, pubblicato persino in versione deluxe e con un artork di tutto rispetto, è una raccolta delle registrazioni di peggior qualità mai realizzate da Kobain. Si tratta di sprazzi di idee, demo di demo, realizzate artigianalmente, in qualsiasi situazione, con i pochi strumenti a disposizione. I nastri, di per sé fondamentali per dare forza espressiva al documentario, proprio per il loro valore prettamente intimo e biografico, su disco risultano assolutamente inascoltabili. Cacofonici, impubblicabili per definizione, parte di essi era già stata distribuita, in maniera gratuita, per il piacere esclusivo di quei fan abbastanza sfegatati da avere la pazienza di ascoltarli: quelli a cui non erano bastati tutti i bootleg presenti nei vari archivi: i sei Outcesticide, il triplo cofanetto di With The Lights Out, né le varie bonus track per il ventennale dei quattro album.


A quanto pare, quando gli archivi degli studi sono stati svuotati, i discografici sono andati a cercare direttamente nei cassetti della famiglia. Insomma, a distanza di vent'anni, si può dire che Kurt Cobain sia diventato il nuovo re Mida del rock 'n roll, capace di trasformare in oro qualsiasi cosa su cui abbia messo la mano. Anche la merda. 


Al contrario, sicuramente Kurt Cobain  non avrebbe apprezzato né lo sfarzo con cui viene periodicamente celebrato né l'attaccamento morboso dei media alla sua vicenda personale. Uno degli aspetti emersi dalle varie testimonianze era che detestasse essere messo in ridicolo - del resto lo sareste anche voi, se qualcuno frugasse tra le vostre cose e diffondesse qualcosa che preferivate rimanesse privato o, ancora peggio, di cui normalmente vi vergognereste. Questa operazione commerciale non è che l'ennesima conferma dell'efferratezza dell'industria discografica, la stessa che si autocelebra nel melodramma pop rock di Vinyl e che allo stesso tempo pesca a piene mani, senza alcuno scrupolo, nel passato di una celebrità morta e defunta piuttosto che tirare su nuove, interessanti leve.
Montage Of Heck è, in questo senso, la rivincita dell'industria discografica nei confronti dei Nirvana, di Kurt Cobain e la definitiva conferma che gli anni novanta, con tutta la loro rabbia giovanile ed il risveglio delle coscienze, non sono che un lontano, defunto ricordo.
Una volta vidi al mercato un tizio che vendeva una maglietta di Che Guevara. Al fianco esponeva quella di Mussolini. Vedere Montage Of Heck a fianco di In Utero mi fa lo stesso effetto.

la rivoluzione fa il botto
la rivoluzione diventa popolare
la rivoluzione diventa virale
la rivoluzione è un prodotto commerciale

Il problema è che gli anni passano e la gente poi non solo ci passa sopra, ma dimentica. Comprare la maglietta dei Nirvana diventa come averne una degli Iron Maiden, o di Madonna, o di Rihanna.
Ma gli anni 90 per me che ci sono solo nato e non li ho vissuti, hanno avuto un valore, ed è per questo che vorrei prendermi la libertà di ricordare, a tutti quei cretini che penseranno di aver comprato "il disco solista postumo di Kurt Cobain, il tipo più bello e fico del secolo", perché i Nirvana sono stati e sono tuttora una band fondamentale, che ha rotto gli schemi, grazie a quella genialità che, più che con un talento vero e proprio, ha a che vedere con la capacità di sfruttarne la mancanza.
Nel 2014, a 20 anni precisi dalla morte di Kurt Cobain, i Nirvana entrano a far parte della  Rock And Roll Hall Of Fame. Sul sito ufficiale, vengono rappresentati con questa foto:


Ossia, come Tre Cazzoni.

Il che, in realtà, è il modo più adeguato per ricordarli. Questa foto non potrebbe essere il modo di migliore per ricordarli, perché non credo assolutamente che Dave Grohl e soci desidererebbero altrimenti.
 Facciamo un salto indietro nel tempo.
1992. Questi tre "cazzoni", come li abbiamo appena chiamati, sbucati dal nulla un anno prima, hanno venduto così tante copie col primo album realizzato in uno studio decente (Nevermind) da rubare il podio a Michael Jackson, che da allora non diventerà che uno squallido ricordo di sé stesso. Nevermind, ad oggi, ha venduto circa 27 milioni di copie.
Kris Novoselic, un bassista pescato chissà dove, che probabilmente non avrebbe potuto suonare in un'altra band in vita sua, Dave Grohl, batterista in erba con un mare di idee nel cassetto, Kurt Cobain, un artista squattrinato e vagabondo, probabilmente dipolare, ascoltatore onnivoro con la passione per il punk. Un album già all'attivo di cui non si ricordava quasi nessuno, tre accordi, usando tre pedali economici, una testata Marshall e grida come se non ci fosse un domani.
Un tocco di postproduzione da parte di un paio di esperti del settore (tra cui, va ricordata la mano pesantissima di Butch Vig, che fece storcere il naso alla band) ed il gioco è fatto: i Nirvana portano nel pop quello che a Seattle stava succedendo dal 1985.
A differenza di Jackson, però, i Nirvana sembra quasi che non riescano proprio a rendersi conto del proprio, inaspettato successo (divertente, a questo proposito, la nota diatriba coi Guns 'N Roses).  Pur essendo musicisti appena accettabili, uniscono critica e pubblico, in barba a tutti i canoni estetici dell'industria musicale (ivi compreso l'uso professionale del click, secondo cui un pezzo pop od un pezzo punk generalmente presenta gli stessi bpm dall'inizio alla fine del pezzo). La loro influenza è tale che di lì a poco, sarà la moda ed i modi ad abituarsi ai Nirvana e non viceversa, ed artisti come Soundgarden, Pearl Jam ed Alice In Chains diventeranno il nuovo punto di riferimento dell'alternative mondiale, suonando per migliaia di ragazzini coi capelli lunghi e la camicia di flanella.
I Nirvana tendono ad ironizzare sul proprio ruolo generazionale, rifiutano le interviste, le cerimonie come gli Awards e lo stile di vita da sogno americano.
A conferma di questo atteggiamento il trio, a due anni distanza, sotto i riflettori di tutto il mondo, si lascia alle spalle la produzione fin troppo laccata di Butch Vig e si reca da un vero guru del noize, Steve Albini, produttore, già all'epoca, di band come Jesus Lizard, Slint e Jon Spencer Blues Explosions, vero e proprio rappresentate della scena musicale a cui i Nirvana realmente appartengono. Questi, che aveva definito i Nirvana "i R.E.M. con un fuzz tra le mani", inizialmente rifiuta, ma poi si rende conto che, tutto sommato, sono tre ragazzi esattamente identici agli sfigati a cui è abituato a fare incidere dei dischi "lampo" (cioè, in non più di tre giorni di registrazioni), secondo il suo modus operandi. L'album, intitolato In Utero, è così più duro e cupo del precedente da presentare le istruzioni per l'ascolto.


Per quanto se ne dica di Nevermind, In Utero è e rimane il massimo apice creativo dei Nirvana. Lasciati da parte gli impulsi adolescenziali, i testi scritti all'ultimo momento lasciano spazio alle riflessioni del cantante sulla vita fatta negli ultimi anni, rivelando un talento fino a quel momento rimasto nascosto. Il punkrocker si mette a nudo e diventa poeta, mostrando la visione autoironica (I think I'm dumb/maybe just happy - Dumb) e disillusa (Teenage angst had paid off well/now I'm bored and old - Serve The Servants) sulla propria esperienza da rockstar (What Is Wrong With Me? - Radio Friendly Unit Shifter) e ponendosi le prime, irrisolte domande sul proprio futuro (What else should I write? [..]/What Else Should I Be? - All Apologies).
 Trainati dalla bellissima Heart Shaped Box, i Nirvana restano in testa alle classifiche.

A questo punto Kurt Cobain ha circa 26 anni ed ha tutto quello che si possa desiderare. Una bella moglie (anche se un po' eroinomane), la ricchezza, la soddisfazione di aver realizzato il proprio sogno senza cedere a compromessi - questo anche grazie alla sua straordinaria bellezza, che lo rende un idolo delle teenager. Potrebbe ritirarsi e vivere di rendita, ma dentro di sé non è affatto felice.
Dieci anni di musica come mezzo di evasione da una famiglia un po' limitata, che invece di affrontare le stranezze del ragazzo lo ha visto come una patata bollente da rimbalzare da un parente all'altro, hanno fatto sì che quelli - e vorrei mettere l'accento su questo punto - che sono tutto sommato dei normali problemi in adolescenza, almeno per la stragrande maggioranza dei ragazzi americani cresciuti in una famiglia di periferia un po' bigotta, non siano stati affatto superati. Invece dell'affetto e del supporto di una famiglia, Kurt ha trovato conforto nell'attaccamento verso le fidanzate, la band, la pittura, il successo e l'eroina.
Ha ragione Keith Richards quando sostiene:


che la morte di Kurt Cobain non è una tragedia generazionale poiché che la gente si è sempre suicidata nel silenzio generale. D'altronde, è anche vero che molta gente che convive con problemi molto più profondi e trova comunque la maniera di sorridere. Evidenziare il carattere estremamente privato di questa tragedia è a dir poco cruciale. Kurt Cobain non è l'ennesima persona che è stata sconfitta dal successo o dallo star business, ma un insicuro che è stato divorato da una, tutto sommato, banale storia di difficoltà familiare e che si è cacciato in un turbine autodistruttivo grazie alla spinta propulsiva dell'eroina - in cui, inizialmente, aveva trovato conforto.
Per quanto il dibattito intergenerazionale tenda a definirlo tale, Kurt Cobain non era né un'idiota, né uno squilibrato, né un depresso, né un tossico. Guardatevi pure i concerti del 1994: non era una favola, ma non stava nemmeno così male. Se volete farvi un'idea di cosa poteva essere un musicista tossico, andatevi a cercare qualche video di Frusciante di quel periodo!


Allo stesso tempo, non è neanche giusto parlare di lui come se fosse semplicemente una pussy, una miserabile checca che si piangeva addosso. La tendenza generale è stata quella di passare troppo facilmente ai giudizi senza soffermarsi sufficientemente sull'età della persona: Kurt Cobain era un ragazzo. Soprattutto, solo un ragazzo, con le proprie, normalissime fragilità. Le pagine tratte dal suo diario mostrano in maniera assai evidente che l'idea del suicidio era un pensiero ricorrente e questo, per quanto abbia generato tanto scalpore mediatico, non ha niente di anormale. Anche il sottoscritto, se rileggesse qualche vecchio diaro, troverebbe facilmente dei contenuti simili. Anzi, è mia opinione che, dopo la masturbazione, l'idea del suicidio premeditato sia la seconda cosa che più accomuna i giovani nel periodo adolescenziale.
I momenti difficili, la sofferenza che ne consegue, sono cose che fanno parte della crescita che è alla base della vita. Cadere in depressione è un problema diffuso. L'autocommiserazione è il baratro che ci aspetta sempre dietro l'angolo ed, una volta dentro, è sufficiente un momento di breve ed intensa follia per non tornare più indietro.

Quello che dovrebbe insegnare questa storia a noi tutti, invece di tirare conclusioni enorme sui Nirvana, o sulle possibili turbe psichiche di Kurt Cobain, o sugli anni 90 in generale, l'industria musicale o la Generazione X, è di fare caso a quanto queste tragedie siano alla questione del giorno. Il problema del suicidio è che il gesto in sé esercita un enorme fascino, alimentato per lo più dalla suggestione del senso di colpa. Nel caso dei Nirvana, l'attenzione mediatica ha generato un mito generazionale, col pericolo di generare degli emuli ed il risultato di depositare un'ombra indelebile sull'ultima grande band in grado di imporre le proprie regole all'industria discografica.
Che senso ha, quindi, unirci al dibattito interminabile che è durato circa vent'anni e che ha visto il susseguirsi un giro di accuse senza fine? L'unica cosa che possiamo fare è applicarci per le persone per cui possiamo fare veramente qualcosa, ossia le persone che abbiamo intorno, perché anche loro possono avere qualche preoccupazione che li possa condurre, in un momento di debolezza, a compiere qualche stronzata. Poco conta la nostra opinione in merito alle loro preoccupazioni. L'unica cosa che possiamo tentare di fare è di comportarci bene con loro, cercando di stare loro vicini ed offrirgli il nostro supporto e la nostra comprensione, accettando anche il dolore del fallimento, perché non siamo né santi, né eroi, né abbiamo il potere degli déi. Ma non dobbiamo mai smettere di cercare, perché esiste sempre, la via di uscita.



 --------  Dedicato A Lucia, che non ha avuto la forza
e che era bella come il sole, come lo era Kurt

venerdì 16 ottobre 2015

Tirando le somme - per deliziarsi le orecchie

Dal momento che non ho tempo per scrivere su questo blog, né probabilmente lo avrò nel futuro immediato, questa pagina è dedicata alle canzoni che hanno caratterizzato questo 2015. Il mio 2015.

01 - Lady (Fela Kuti)


L'afrobeat mi è caduto addosso per caso durante il mio percorso alla ricerca del funk. Dai primi esperimenti di Ginger Baker ai contemporanei Shaolin Afronauts, mi ha permesso di riscoprire la fondamentale differenza del suonare correttamente e suonare bene. D'altronde, nessun bianco è mai riuscito a far suonare tre accordi in questa maniera. Il capolavoro assoluto dell'afrobeat, directly from Nigeria.

02 - Shaolin Afronauts - Kilimanjaro



La canzone degli interpreti austrialiani era già comparsa l'anno scorso su questo blog. Poi ho scoperto che anche il resto dell'album spaccava il culo ai passeri.

03 - Bombino - Animidine


Dalla Nigeria ci spostiamo al Mali ed incontriamo una scena del tutto differente. Qui, dove il blues trae le sue origini più arcaiche, tra una fatwha e l'altra, esiste una scena tuareg dove la musica tradizionale incontra l'hard rock ed il blues. Mentre in America ed in Europa si punta al synth, in Mali si guarda ai Led Zeppelin. E Dan Auerbach esulta.

04 Mulatu Astatke - Yekatit


Mentre in Mali si ripercorrono le origini del blues, in Etiopia s'incontrano quelle del reggae, ma qui incontrano il jazz. Per ulteriori informazioni ascoltare l'album con gli Heliocentrics.

05 C'mon Tigre - Federation Tunisienne de Football


Agli italiani C'mon Tigre va il merito di avermi schiuso gli occhi verso l'Africa. Un altro modo per dire che non è necessario seguire le mode per fare della buona musica.

06 Cymbals Eat Guitars - Warning


La KEXP mi ha permesso di scoprire quante belle novità fioriscono in questi momenti. I CEG possiedono la stoffa degli At The Drive In, come se scarnificassero il sound indie per riportarlo indietro ai novanta.

07 BSBE - Mama

 
I BSBE volevo recensirli, l'anno scorso. Il loro ultimo album piace sempre di più ad ogni ascolto. Col tempo hanno imparato ad essere meno noiosi e a evitare le sviolinate pop. Più che i Jon Spencer Blues Explosions, la risposta italiana ai Black Keys di Thickfreakness.

08 Katzenjammer - Demon Kitty Rag


Ebbene sì, lo ammetto. Mi piace la musica da lindy hopper. Mi è sempre piaciuta. E mi piacciono le cose a metà, come questa. Una cantante da urlo, feromoni ed attitudine punk.

09 Cab Calloway Orchestra - The Scat Song


Parlando di lindy, e di swing, non dimentichiamoci che lo scat nasce all'incirca con questa canzone.

10 Jaco Pastorius - Come On, Come Over


Jaco è indimenticabile. Non tanto per il personalissimo, ormai copiatissimo modo di suonare. Io personalmente lo trovo noioso e stancante, alla lunga. Quel che mi piace di Jaco è che se n'è sempre fregato di fare jazz in senso stretto ed ha saputo fare scuola in ambiti diversi. Su tutti, ricordiamo che ha reso uno standard The Chicken, la canzone che Pee Wee Ellis (sassofonista dei JB's del Godfather), una canzone funk modale che di standard non ne ha né l'aspetto né l'intenzione.

11 Tryo - Desolé Pour Hier Soir


I Tryo sono dei giusti. Immaginate che dei vostri amici fricchettoni decidano di mettere su una band, imparino a suonare davvero bene e diventino famosi: a quel punto, decideranno di portare con sé tutto l'immaginario della vita del viaggiatore: saltimbanchi vari, mangiafuoco, bolas, tessuti e quant'altro avrete sempre considerato "roba carina che si spaccia come arte ma che tutto sommato non è tale" in uno spettacolo dei Tryo trova il suo posto. I Tryo sono alla portata di tutti ed in Francia, infatti, li amano.

12 Zen Circus - Viva


Lasciando perdere che la musica non è niente di che, per quanto i quattro accordoni finali hanno un che di liberatorio, questa canzone è riuscita meglio di qualsiasi altra a rappresentare tutte le mie preoccupazioni riguardo alla mia generazione. Le parole sono quelle che avrei voluto scrivere da anni, ma che non ho mai trovato.
"Viva la guerra, tanto vivi si muore". Ragazzi, mi fa venire la pelle d'oca. Gli Zen Circus hanno fotografato questo momento storico come nessun altro. Chapeu.

13 Foxhound - I Just Don't Mind


Li ho visti crescere, ho persino gareggiato con loro e suonato con loro. Ho sempre pensato che tutto sommato non fossero né dei gran musicisti, né dei gran cantanti. Cose normali, quando cerchi di farti le ossa in un ambiente così competitivo. Pensavo sempre che avrei potuto scrivere anche io i loro riff ma, a conti fatti, è come quando ci vuoi provare con una donna e non lo fai: ogni lasciata è persa. Con questo album i Foxhound hanno messo un gran colpo a segno, dimostrando personalità, carisma e, finalmente, anche una tecnica notevole. Li criticavo, eppure me li sono sempre ascoltati, e con gusto peraltro, perché senza accorgermene ero già da un pezzo loro fan. Benvenuti nella top list, compagni!

14 The White Stripes - The Air Near My Fingers


Bello riscoprire che in tutti questi anni avevo ignorato un tale capolavoro. Da cantare per ore.

15 Calexico - Fade


Hanno esordito raccontando l'America tradizionale mentre imperversava il grunge e fiorivano generi come il math ed il post rock. Così ci hanno provato anche loro, non dimenticando anche che potevano attingere anche il jazz. 

16 Essbjorn Svensson Trio - Dodge The Dodo


Per chiunque credesse che il jazz è un genere morto o perlomeno una roba retrò per giocare a fare l'intellettuale per scoparsi le studentesse del collettivo di lettere, consiglio caldamente l'ascolto degli EST. Il termine corretto sarebbe Nu-Jazz e c'è spazio per tutto, dal post rock alla drum'n bass. Basta avere quella flessibilità e quella capacità d'ascolto necessaria ad ogni buon musicista.

17 Frank Zappa - Nanook Rubs I


Probabilmente è ormai la mia canzone preferita. Ascoltare il testo per credere. Do do do do do dooooo!

18 Foals - The French Open


Peccato che i Foals abbiano abbandonato le coordinate iniziali per un indie pop di pregio ma che comunque non incide quanto vorrebbe. Questo pezzo mescola ritmiche math, dopodiché vira in maniera fluida da sonorità afro a un indie canonico e danzereccio. Purtroppo, è rimasto un esperimento isolato, tant'è che i Foals suonano senza fiati almeno da sei anni ormai.

19 James Brown - Coolbloded


Per chi se lo fosse perso, consiglio vivamente l'ascolto di Hell di James Brown, forse il suo album migliore.

Vorrei scrivere altro, ma purtroppo credo proprio di non avere tempo.

martedì 6 ottobre 2015

Jimi Hendrix - Band Of Gypsis

Dal momento che è sempre più difficile trovare questo concerto online, ci siamo presi la libertà di pubblicarlo.
Molti lo ritengono caotico ed abbozzato, ma non capiscono un cazzo. Quest'album e genio dall'inizio alla fine e buona probabilità, per certi aspetti è sicuramente il migliore del Figlio Vodoo.
Il video è già stato bloccato in 248 paesi. Pensate un po'.


domenica 30 agosto 2015

L'ennesimo post che non leggerà nessuno

Ormai questo genere di cose non le fa più nessuno.
Ma non importa.
Bastava un post su facebook, ma io sono all'antica.
Da quando ho scoperto questa canzone non sono più solo.



sabato 29 agosto 2015

Eugenio's Secret Show


Che fortuna di assistere ad un concerto "outstage" (oggi parlo Renzish) di Eugenio Cesaro! Eugenio, massì, quello in via di Gioia. Proprio lui. Sì, è vero, sarò un po' fissato, o ripetitivo, ma d'altronde le mode vanno a periodi e gli Eugenio negli ultimi tempi vanno alla grande. Qualcosa mi dice che andrà a finire che questa rubrica la chiameremo Eugenzine o Viadigioiazine. C'è un po' di sproporzione. Anche se dubito che questo sarà l'ultimo articolo su di loro.
Ad ogni modo no, scusate, mi sono sbagliato. Fortuna un cazzo. 
La fortuna esiste, ma la saggezza popolare vuole che essa aiuti gli audaci.
Ed io infatti mi sono portato dietro una chitarra, la più brutta che avevo (l'undecisimo tasto del mi cantino suona solo con lo slide) per tentare il jammone in viadigioia. Mi è andata abbastanza male. Ho beccato una serie di amiconi di vecchia data ubriachi che stavano gettando la situazione dalle parti di Manu Chao, del genere, ultimo ripiego. Quando cominci a fare cose tipo "la minore sol el vento viene, por la carretera ecc" vuol dire che sei proprio alla frutta. Inoltre, stavo facendo piuttosto cacare. Dopo un primo delicato approccio gli EIVDG sono scappati verso il ping pong. Tuttavia, Eugenio si è fatto vivo proprio mentre uno sconosciuto mi ha fatto improvvisare una canzone degli Smiths e mi ha offerto un secret show di una decina di minuti, all'ombra della stazione, per concedermi una breve anteprima del nuovo disco.
Ed ha suonato alla grande, cazzo, in mezzo a commenti del tipo "Ragazzi, ma ve la tirate troppo poco" o "Cazzo, ma sei troppo bravo" (ma su questo tempo ne ho già parlato a suo tempo: se volete, sfogliate qualche articolo più indietro e la mia opinione è messa per filo e per segno anche fin troppo nei dettagli).
Ad ogni modo, quel vecchio volpone è proprio bravo. E spontaneo. La musica gli esce direttamente da dentro. Tre accordi, ingrana il ritmo e via, a raccontare. 
Se a suo tempo avevo persino pensato di consigliargli degli ascolti, oggi, dopo averlo ascoltato nella sua dimensione personale, mi rendo conto che non ha bisogno di nessun ulteriore background musicale, perché rischierebbe solo di essere un bastone tra le ruote e compromettere il flusso creativo in cui, da un paio d'anni a questa parte, si ritrova immerso.
A volte troppa teoria può essere solo d'impaccio. L'importante per ogni musicista è trovarsi a perfetto agio col suo livello attuale. Mr Cesaro questo livello lo ha trovato e sforna canzoni come una macchinetta, tant'è che si appresta ad incidere un nuovo album.
Le due nuove canzoni che ho sentito sono molto belle e mi hanno risollevato dalla delusione che mi ha dato l'ultima incisione. Si tratta di roba alla Ho Perso, ma con un testo favolesco, una storia lunghissima piena di metafore e rimandi, con una metrica bella incalzante, sostenuta da quel groove da picchiatore della chitarra invogliante all'ancheggiamento che è un po' ormai il marchio di fabbrica della band. Una sistemata ai cori (in realtà il pezzo è ancora in fase di elaborazione) e sarà sicuramente un nuovo cavallone da battaglia per i concerti in giro per lo stivale.
Qualcosa bolle in pentola, e l'odore è buono. Secondo me la band ha trovato il suo sound, o è un passo dal farlo.

Ancora una piccola curiosità? Va bene, dai.
Vi dirò che di mezzo un grillo. Non potevo? Massì, vabbé. Facciamo di sì, e se no sarà solo l'ennesima cosa fuori luogo che ho scritto.
In bocca al lupo, ragazzi.

Wanted - Cercasi personale

La redazione ne ha le palle piene.
Abbiamo bisogno di altri recensori o questo blog dovrà chiudere per la sopravvenienza di altri impegni.
Abbiamo una trentina da album pronti ad essere ripartiti.
Mandateci i vostri amici.
Scriveteci su facebook.
Scriveteci sulla mail.

bangszine@gmail.com

"Bangszine, come Lester Bangs ma troppo tardi"

"Non siete Lester Bangs, non siete Carlo Emilio Gadda, avete dei gusti di merda e non si capisce un cazzo di quello che scrivete, bontà di Dio"

martedì 25 agosto 2015

Fortissimo 2015



La maggior parte delle riviste, o delle persone in generale, ormai ha smesso di parlare di Fortissimo. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, le persone che conosco tutt'al più hanno un ricordo nostalgico di Balla Coi Cinghiali.
Non sto a spiegarvi che cos'è Fortissimo. Vi rimando direttamente al loro sito, così potrete assumervi da soli la fatica di informarvi.
Vi dirò solo che, come hanno giustamente (e ruffianamente) rimarcato i FASK (all'anagrafe Fast Animals And The Slow Kids), Fortissimo è "il più bel festival musicale d'Italia". Forse quest'affermazione è un po' una svaccata, ma qualche buona ragione per sostenerla c'è eccome:

1) è un festival piccolo. Niente movimenti difficili, organizzazione superba, cessi puliti. Niente striscioni della Red Bull o obbligo di comprare solo le bibite dello stand che finanzia il palco. Niente bevande daa prezzi superdilatati.

2) è un festival ecosostenibile. Pur essendo in culo ai lupi c'è la differenziata divisa in quattro cassonetti diversi

3) la location è stupenda. Se la musica non vi piace, potete sempre andare a fare delle passeggiate incredibili in uno dei posti più belli d'Italia. La Francia è a due passi.

4) la selezione musicale è sempre attentissima alle ultime novità del panorama alternative italiano. Sarà che forse sono dei bravi ragazzi, sarà che si fanno pagare poco, ma c'è da dire che, nonostante le difficoltà economiche, ormai da dieci anni l'organizzazione Balla Coi Cinghiali non fa mancare la possibilità di mettere sullo stesso palco (o sugli stessi palchi) l'undeground più in vista del calderone musicale italiano.

5) Si rimorchia/si tromba. Scusate la franchezza, ma ritengo che ogni festival debba offrire anche queste forme di divertimento. Per intenderci, forse la proposta del A Night Like This di Chiaverano (TO) sarà sicuramente più dignitosa, ma vi sfido a camminare per quel campo da calcio e fare colpo su una sola persona, senza l'outfit adeguato.

6) Si mangia bene. Non dimentichiamoci che lo slogan di Balla Coi Cinghiali era "come a Woodstock ma si mangia meglio".

Ecco il mio reportage, artista per artista

Fast Animals And The Slow Kids


Bravi, anzi, bravissimi su quel palco. Che grinta, che carica! "Che bel culo" dicevano anche le mie amiche, guardando il cantante. Ma si sa, gli uomini sul palco aumentano il loro fascino. Delle donne non ne parliamo neanche. Peccato che mi sia visto solo gli ultimi dieci minuti. Giusto in tempo per sentire A cosa ci serve. Gran pezzo, però sarà che a me il riff ricorda tante delle cose ascoltate negli ultimi dieci anni, persino i Nadar Solo. Efficacissimo però. Sembrano i Verdena, solo che sono meno bravi e cantano meglio, oltre ad avere decisamente molta più voglia di vivere. Il problema dei Fast Animals è che mi danno l'idea di quella band che ha tutte le carte in regola, compreso un background musicale (grunge, Verdena, Strokes, Neurosis eccetera) tanto valido da far sembrare ogni composizione priva di una vera intuizione, se non quella del ritornello o del riffone. I motivi per cui io non riesco a comporre, a quanto pare per i FASK non sono importanti. Ecco spiegato come siano una figata dal vivo e così insipidi in studio. Da non perdere d'occhio, comunque.


Appino



Il nuovo re dell'alternative italiano? Ma neanche per scherzo, dai. Da cantautore a rocker, col nuovo disco bisogna però dire che Appino ha fatto proprio una bella svolta.
Sul palco ha suonato bene. Mi aspettavo un concerto da schifo e mi sono ritrovato a ballare come un pazzo (eccetto per i pezzi rock. Appino deve capire che come rocker ormai fa cagare da una decina d'anni): sarà che il nuovo sound più dub riesce dannatamente bene su un buon impianto live, sarà che la scelta di un chitarrista per le parti soliste è discretamente azzeccata, sarà che avrà trovato un timbro vocale più adatto all'espressività della voce, sarà che l'isola di Utopia mi è proprio piaciuta. Insomma, un ottimo concerto. Incluso anche il dessert: un abbraccio da quello stesso figlio di puttana del cantautore, incrociato per strada, forse un poco ebbro (come il sottoscritto), al mio commento: "Gran bel concerto. Non me lo aspettavo, ma mi è piaciuto."



Bombino


Noioso. Il disco però non perdetevelo, Nomad è una figata, forse persino meglio dei dischi dei Tinariwen. Sono rimasto abbastanza ipnotizzato dall'approccio personale ed estremamente "verticale" della chitarra. Inadatto, ad ogni modo, ad un festival di questo genere. Ve lo raccomando da sobri, in un auditorium, è un genere di musica che richiede attenzione ed anche pazienza, se si vuole apprezzarla a fondo. Dobbiamo ancora farci l'orecchio.


The Skints


Che suoni, ragazzi. E che supergnocca. Impressionante anche il batterista in qualità di cantante principale. Il loro è un dub fortemente europeizzato - ed infatti sono di Londra. Una formula a tre voci: cantante batterista acutissimo, nella migliore delle tradizioni jamaicane, una voce femminile sensuale (che, trall'altro, si occupa anche di suonare contemporaneamente organo, tastiera e drum machine) ed un cantante chitarrista (il fratello di lei) dalla voce più grave. Ottima presenza scenica, ottimi ritmi. Il bassista hipsterorso, poi, è un vero metronomo. Da non perdere. Peccato solo per la chitarra, precisissima ma troppo poco sentita nelle parti soliste.



Africa Unite


Per l'amor del cielo, con tutto il rispetto per Bunna e Madaski, ma ne ho le palle piene. Me li sono sentiti di striscio. Sempre bravissimi, d'altronde ormai sono una formazione storica. Fanno la loro porca figura ma, non pigliamoci in giro, stiamo parlando di una "novità" che ha ormai almeno 15 anni.


Lo Stato Sociale


Sono migliorati, ma non abbastanza. Adesso vanno a tempo. La chitarra a volte è ancora imbarazzante. Quel che mi è sembrato di capire assistendo ad un concerto degli Stato Sociale è che il loro successo si basa proprio nel portare sui grossi palchi quegli atteggiamenti che le band liceali alle prime armi solitamente devono abbandonare, come raccontare un episodio pseudoamoroso con una ragazzina fan, suonare delle parti troppo difficili per l'esecutore, saltare sempre e senza motivo per fare scena, continuare a ripetere un riff all'infinito perché il cantante si è dimenticato il testo, ballare in maniera scordinata e così via. Alle ragazze questo piace. Semplicemente perché la sincerità tira quasi quanto il denaro, in camera da letto. Eppure i Marta Sui Tubi sono sempre stati sinceri, solo che sapevano suonare. Si chiama professionalità, in fondo. Anche gli Elio E le Storie Tese sanno fare i coglioni e fanno ridere. Purtroppo questo dimostra che la maggior parte delle ragazzine italiane "impegnate" di musica non capiscono proprio una sega.
Mentre li guardavo dall'alto (dopo un po' mi sono tolto dalla ressa) mi sono reso conto che, effettivamente, almeno quattro di loro sono dei bei ragazzi, e che le prime file pullulano letteralmente di ragazzine arrapate. Ecco spiegato il mistero del successo degli Stato Sociale: ce n'è uno per tutti i gusti, c'è persino il tipo "non proprio bellino ma che ci sa fare". Fortuna che hanno dalla loro parte i testi, che ogni tanto fanno ridere o riflettere, sennò il mio giudizio sarebbe solamente negativo. Devo ammettere che mi hanno fatto sinceramente sorridere. Che desolazione, però, se penso che Sziget gli americani hanno mandato i Queens Of The Stone Age, i NOFX, i National, gli inglesi hanno mandato i Prodigy...e noi gli Stato Sociale. Diamo per scontato che per il resto del mondo, ormai, noi italiani siamo quelli che non sanno tenere il tempo.

 
Etruschi From Lakota



Sempre più in vista, sempre più fiduciosi in loro stessi. Gli Etruschi From Lakota sono una band per cui vale quanto ho detto per gli Eugenio In Via Di Gioia, con la differenza che forse la loro proposta musicale è, a mio giudizio, un po' più interessante. Il cantante strilla che è un piacere, senza stonatura, il chitarrista "malpelo" macina riff dei Wolfmother e dei Led Zeppelin a non finire, la seconda voce armonizza morbidamente il canto in italiano. Ancora giovanissimi, per cui è naturale che alcuni testi siano ancora un po' ingenui, per quanto appassionati. Tuttavia, il loro show, denso di quella goliardia tipicamente toscana che io adoro, è stato non solo simpatico, ma decisamente energico.
Co co co cornflakes!


Se dunque il prossimo anno non avete i soldi, o meglio, vostro paparino non vi passa i soldi per il Primavera, o per lo Sziget, venite a Fortissimo. Costa poco (non relativamente alla proposta, 45 € comprensivi di campeggio per tre giorni) ed è probabile che chi suona abbia la vostra età, se non di meno, e che non sia abituato ai camerini né alle groupie, tanto da permettersi di venire a prendersi una birra al bar con voi.
Se tutto questo non vi piace e preferite mantenere la distanza, perché avete bisogno che il vostro idolo non esca dalla teca di cristallo in cui l'avete rinchiuso, rimanete liberi di farlo.
Altrimenti, venite pure a Fortissimo, dove il palco ed il festival sono tutt'uno.
Vedrete, ci si diverte lo stesso. Forse, persino di più.

P.S. Non venite in troppi. Sennò poi mi rovinate il festival.