giovedì 2 novembre 2017

Le otto più grandi delusioni musicali italiane di questo 2017 - #8 The Circle

Questo blog è ormai fuori dal tempo, ma devo ammettere che resta uno dei tentativi più longevi di portare avanti un mio progetto.
In uno dei testi che ho scritto recentemente, un grido misto di paura e di odio, mi sono autoidentificato come Don Chijote, un'idiota che lotta contro i mulini a vento nel mondo del 21esimo secolo, in cui i cavalli sono le parole, quelle che pensi che contino, ed i mulini gli smartphone, le notizie false ed, in generare, l'arroganza diffusa dei social network e dei siti di false notizie o, peggio ancora, della pubblicità rivenduta come notizia.
Tanto valeva provare ad adattarsi, una volta ogni tanto, cavalcando questa moda introdotta di vari Looper, WatchMojo, WhatCulture (questa, forse, l'unica salvabile del lotto), ecc...
Per cui, bando agli indugi, ecco a voi

LE OTTO + GRANDI DELUSIONI MUSICALI ITALIANE DI QUESTO 2017

#8 The Circle
ossia
"Come sono sopravvissuto alla scena indie e ne sono uscito ancora più punk di prima" 




I The Circle? Ma non erano quelli presi di mira in quell'articolo, che poi era stato cancellato?
Forse questa ve la siete persa. Ero un po' più giovane, si parla del 2014. Avevo scritto un articolo in cui in apparenza facevo un po' il lecchino ai The Circle per il loro album di debutto. In realtà - e vi assicuro, non accorgendomene neanche io - sfruttavo confidenze e li smerdavo.
Un compito difficile, quasi impossibile, in cui non ci sono cascati. Questa è una delle cose che ti succedono quando c'è di mezzo il coinvolgimento e l'amiciza.
Torniamo ancora più indietro nel tempo. Era il 2012, vivevo a Torino in una camera da circa 30 metri quadrati un po' scassata che partoriva polvere come l'amianto i cantieri della val di Susa, ma che pagavo 145 euro il mese, avevamo perso un batterista ed un bassista ma li avevamo rimpiazzati con due musicisti splendidi: Marco B., che sapeva suonare jazz ma veniva da noi col plettro e gli effetti, e Marco M., anche lui di estrazione jazz-prog, ed infatti faticava a tenere un accento senza cambiarlo ma aveva una cura del tocco che aveva svoltato il sound radicalmente, e poi era indubbiamente l'elemento più simpatico del lotto.
Gli Acid Food non erano ancora un grande nome, ma avevamo il nostro piccolo giro, stavamo considerando di virare verso delle forme canzoni, sperimentare scale lidie e soluzioni modali, allungarci verso jam psichedeliche, provare soluzioni più elettroniche alle volte, sperimentare testi in italiano, fare insonorizzazioni e colonne sonore.



E, cosa più importante, in sala si respirava buona aria, eravamo un gruppo di amici, e ridevamo per qualsiasi cazzata, che si trattasse dell'ordinazione dal kebabbaro o dell'ennesimo gioco di parole di Marco M..Ormai avevamo messo insieme un'ora buona di repertorio, ed almeno un'ora buona di nuovo materiale ancora più valido per il periodo a seguire. Io perdipiù avevo riesumato una vecchia conoscenza, il caro Esma - quello dei Rouse Project, dei Sidera Ves e, prima ancora, dei Moog - nella speranza che ci producesse un Ep, e lui per risposta mi aveva catapultato dentro la sua band, di fatto allargando il mio giro di conoscenze. Cominciavo a guardarmi intorno, a crescere, stavo affinando il mio stile e cambiando rotta, dimostrando di essere anche capace di rinnovarmi. Una parte di me, sepolta sotto una marea di insicurezze, pensava che avrei potuto seriamente considerare di fare questa strada, o almeno illudermi di ciò per un paio di anni. 



Ma c'era un incubo dietro l'angolo: l'università. Ed un altro ancora: l'Erasmus. "Vai in Erasmus, vai in Spagna, tromba, dimostra agli altri che ce l'hai più grosso".
Ad un certo punto della vita, tutti ti parlano di questa cosa come se fosse il punto di svolta della vita. La rinascita. Gli sfigati scopano, i normali diventano divi, eccetera. A me è successo esattamente il contrario. Prima stavo normalmente bene, dopo stavo abnormalmente male.
Morale della favola: siamo nel 2013, io vado in Spagna, Ale (il chitarrista) e Marco M. fondano i The Circle con un tipo tutto sommato ok ma pur sempre un risvoltinato ed un fonico di studio come altro chitarrista. Nel giro di sei mesi questi incidono una canzone e totalizzano 20mila visualizzazioni ed il doppio dei like degli Acid Food. Io non riesco a capacitarmi. 20mila visualizzazioni?
Ad ogni modo, cerco di continuare la composizione a distanza. Ale smette di rispondermi. Marco M. pure, Marco B. è l'unico che resiste, facciamo un paio di Skype, mi dice che si sta dedica al suo progetto nu-jazz, i Satoyama.
Al mio ritorno, Ale finalmente si rende reperibile ed esce dal silenzio: nel nuovo gruppo ha ritrovato un ruolo, la passione per la chitarra (che forse aveva perso a causa della mia esuberanza precedente), e preferisce non continuare. Marco M., invece, mi invita a fare delle prove, mi dà dei consigli da vero professionista, dice che siamo il gruppo con cui può esprimersi più liberamente sulla batteria e mi propone di darmi da fare, ma io sono ancora impantanato dall'esperienza dell'Erasmus. Sono depresso, ingrassato, vado a letto con ragazze che non mi piacciono solo per legittimare l'esigenza di sputarmi in faccia da solo, non riesco più a cantare come prima, sono convinto di essere meno dell'ombra di me stesso, non riesco a suonare. Le prove fanno cacare, proviamo a chiamare dentro un altro chitarrista, ma è ancora peggio.
2014. Io lascio perdere, torno a rinchiudermi nel mio dolore. Dopo essermi laureato, scappo a Firenze, dentro di me convinto della evidente retrocessione, ma sperando di farmi una vita lontano dalla necessità, prettamente torinese, di doversi costantemente confrontare con gli altri. Nel frattempo esce il primo disco dei Circle, prodotto impeccabilmente e che tutto sommato in mezzo a tanta brodaglia pop melensa, qualche "Oh-oh" di troppo, capace di piazzare qualche pezzo ben riuscito (The End, Green Like Soul pt. one). 



E qui salta fuori la mia recensione. Ale era stato avvertito, lo avevo dapprima chiamato, quindi gliel'avevo fatta leggere prima di pubblicarla, ma non non ha avuto il coraggio di dirmi quello che pensava. Che era una recensione codarda, frutto del mio risentimento. Che sarebbe stato un errore e che avrebbe rotto delle amicizie. Il più onesto fu il cantante. Marco M. da allora non mi ha più parlato.
Io, in compenso, di lì a poco conobbi un chitarrista un po' più grande di me un po' nella mia situazione. Ci mettemmo a studiare insieme, a ricominciare da capo, dagli standard jazz, dalle scale blues. Nel giro di un annetto, siamo passati dal non riuscire a provare Vento In Faccia in una stanza a ragionare sulle singole tipologie di fuzz da utilizzare in relazione alle testate, a ragionare il sound del gruppo in termini di gamma di frequenze, a scrivere in tempi dispari, a non avere tempo sufficiente per imparare le nostre stesse composizioni. La mia voce è risbucata dal nulla. Sono riuscito persino a prestare servizio in una cover band dei Nirvana.


Marco B. dopo tre anni ha partecipato alla sonorizzazione del museo Egizio coi Satoyama, ha fatto il suo primo tour in Norvegia con loro, ed è diventato il bassista di un altro paio di formazioni, i Litha e gli Ennedì. I Litha hanno dato una forma italiana ad una vecchia bozza che aveva scritto per gli AF, L'Uomo Che Verrà.


Ale dopo quattro anni ha mollato i The Circle, per motivi personali. Nel 2016 hanno pubblicato un disco pop iperprodotto ed anacronistico, How To Control The Clouds. Il disco è stato presentato con due video in HD, uno che mostra la band, ridotta a terzetto, ad interpretare una chiave semiacustica di uno dei loro brani, e l'altro girato a Londra, con una modellona nordeuropea che scatta foto ai graffiti. 

Sarà pure un prodotto di fino ed orecchiabile, ma è imbarazzante. Soprattutto da parte di una band che non è mai giunta al punto a dover fare un patto col demonio per comprarsi cocaina e puttane. Non lo dico per fare polemica, ma un pezzo così si scrivere in cinque minuti, ed in mezz'ora l'arrangiamento. Per il resto si paga un buon fonico e si investe nel mastering (che, non a caso, è stato fatto a New York). Ebbene sì, gli accordi sono proprio quelli: A- F C G - non mi sono tirato giù la tonalità esatta, probabilmente - ossia la sequenza VImin IV I V, quella di The Passenger, di Passenger, di metà dei ritornelli degli Iron Maiden quando sono rimasti senza idee però avevano capito che "ohohoh" avrebbe funzionato tranquillamente per i vent'anni a venire, di tutti i RiHanna, i Despacito, i Fedez, i Coldplay della svolta pop più becera, le Shakira, i Blowmywhistlebaby, il reggaeton in generale, di tutta la merda pop di questo mondo.
Questa puntualizzazione sulla scelta compositiva potrà sembrare un po' forte, ma il punto è  che non si può essere troppo leggeri su una banalità del genere che ha fatto naufragare un buon progetto, perché la banalità è la forma peggiore di fascismo.
La banalità, la standardizzazione, è il nulla, è una mostruosità.
Io, dal canto mio, muovendo i miei piccoli passi, prima con le prove a due chitarre in cucina, poi facendo a pugni con un bassista incapace ed arrogante, un mese dopo la pubblicazione di How To Control, ho prestato le mie corde vocali al servizio di due pezzi, una demo del cazzo, una produzione del cazzo, da cui è uscito questo pezzo qua sotto.
Ero fuori allenamento per via dell'estate. Avevo la consegna della tesi una settimana dopo e spazzavo l'ansia a sigarette, caffè e birra, la sessione diretta di registrazione era andata abbastanza male e mi rimaneva a disposizione solo mezz'ora per registrare due brani.
Niente mastering, solo un giro veloce per un banco solido. Niente New York. Eppure, nonostante tutte le scusanti, sentite che cazzo di pacca.

E questa è la versione col mix sbagliato! Infine quest'estate, a conclusione di un tour molto più ridotto rispetto a quello precedente, i The Circle si sono sciolti dopo 5 anni di onorato servizio, lasciandosi dietro un tenero video di addio, con un reportage dei quattro amici in tour, il tutto immancabilmente filtrato con un effetto stile vintage, per non mancare di calcare le tendenze attuali.

Fine 2017. Qualche settimana fa ero a Firenze con un mio amico di Torino e ci siamo messi a parlare dei The Circle. Abbiamo parlato dell'assurda pubblicità dell'articolo della Stampa che li aveva definiti faziosamente "gli Italiani che minacciano i Coldplay" (ci fu un articolo molto critico nei confronti di questo tipo di giornalismo al tempo, che parlava proprio di questo caso) e di quanto ancora più fuori luogo sembrasse loro recente inserzione in una playlist di Youtube, che aveva portato un loro brano ai 100mila ascolti, ed al passaggio sugli altoparlanti di San Siro. Il nostro punto era: 100mila visualizzazioni non le fa nemmeno il brano più conosciuto degli Afterhours ora che Agnelli è un giudice di X-Factor. Com'è possibile che i The Circle si possono permettere tanta visibilità, se il tour promozionale non arriva nemmeno a venti date?

Il mio amico mi ha confidato che pagavano fiori di soldi per avere visualizzazioni, che internet lo permette e c'è chi lo fa: i Circle non sarebbero che un gruppo tra tanti. A me continua a sembrare un'ipotesi assurda, per quanto, in effetti, continuano a rimanere alcuni aspetti di quella formazione, un insieme mezze verità, mezze bugie o bugie bianche, per come le si voglia interpretare, che non mi sono mai quadrati del tutto.
Un cantante di famiglia benestante, un chitarrista-fonico con uno studio di registrazione in casa (vedi il video sotto). E fin qui, insomma, niente di nuovo.
Però un primo album prodotto e registrato, stando alle dichiarazioni ufficiali dei social e delle testate, da un personaggio alla ribalta sulla scena indie internazionale (Omid Jazi) ma che, stando ad una confidenza di un interno alla band non solo ha funzionato solo da produttore/consulente esterno, in quanto il disco è stato registrato dal chitarrista-fonico, ma il missaggio è stato fatto da un intermediario, che ne ha sempre fatto le veci, così che di fatto la band e Jazi non si sono mai incontrati, seppure il suo nome fosse su ogni webzine, ogni giornale, ogni social.
Un articolo de La Repubblica fazioso, iperpromosso dalla band, che prendeva in considerazione i dati fluttuanti della classifica di Itunes, descrivendo la band come una minaccia al trono dei Coldplay - vi siete dimenticati di quando gli Stato Sociale balzarono per un giorno davanti a Pharrel Williams? Una recensione persino su un numero dell'Internazionale. Decine di migliaia di visualizzazioni difficilmente correlabili al numero di fans sulla pagina o all'attività del gruppo. C'è sempre stato una palese incorrispondenza tra l'apparente portata virale del gruppo e la loro dimensione reale: I Circle non sono mai arrivati ad essere i nuovi Verdena, non sono gli Afterhours, ma nemmeno i Be Forest, o i Soviet Soviet, ma hanno sempre dei canali mediatici solitamente riservati a band più "main".
A questo aggiungerei un peccato più veniale, che è quello delle montagne di filtri di Instagram, di selfie, di decisioni estetiche ed artistiche un po' paraculo che mi sono sempre sembrate subordinassero il discorso musicale vero e proprio.
Ma, in fin dei conti, una band che presenta ai suoi fan, in pompa magna, l'inserzione di un loro brano in una playlist americana altamente popolare su Youtube, in che direzione andando? Io ce li ho avuti i coinquilini che ascoltano la musica su Youtube. Non si ricordano il nome di centinaia di canzoni, non hanno nemmeno idea dell'artista. Quello è il target delle playlist. Però se ti inserisci nel canale giusto, i numeri si gonfiano in un attimo. Ma di per sé, per te questo, cosa rappresenta? A cosa serve essere ascoltato da migliaia di persone intorno al globo se nessuno fa nemmeno caso alla tua canzone, se non hai i mezzi per potergliela suonare davanti, se di fatto cercavano altre canzoni, più note? A me sembra che sia un po' come suonare di colpo di fronte a Vasco, o ai Coldplay: se non sei ancora qualcuno, la gente vedrà la tua apertura solo come una perdita di tempo. Questa è la differenza tra un ascoltatore virtuale (visualizzazioni, numeri) ed uno reale - il tipo che cerca il tuo concerto su internet e che è disposto ad investire nella tua musica.
La musica è un veicolo. Come la pittura. Di artisti capaci di dipingere il ritratto perfetto il mondo è pieno. Quelli capaci di catturare un'emozione, un sentimento, o il proprio animo su tela sono passati alla storia. Non è un caso che si parli ancora di Syd Barret e che tutti si siano già dimenticati di Gangnam Style. Anche se i numeri diranno il contrario. Eppure le celebrità del momento scompaiono nell'abisso, e tutti i poveracci come i Kafka, i Foscolo, i Barret, ma anche gente che ha fatto contropensiero più paraculata come Seneca, passano alla storia. Altrimenti studieremmo i personaggi del Grande Fratello sui libri di storia, e Wittgenstein chisseloincula, no?
 How To Control suona come una rincorsa alla visibilità, ed i suoi brani, impeccabili, perfetti...leziosi, suonano uno più piatto dell'altro.
Il mio nuovo progetto, Le Pietre Dei Giganti, è molto più sfigato, ma è un progetto come lo era quello degli Acid Food, forse da un certo punto di vista persino meglio. C'è più consapevolezza. Non c'è più l'approccio creativo precedente, ma ogni canzone è un parto sofferto che nasce dallo stomaco, c'è di mezzo la nostra sofferenza, non c'è molta attenzione per le mode e le possibilità di rimorchio. Siamo probabilmente anacronistici, forse non avremo mai successo né visibilità, ma abbiamo anche noi un'etichetta ed abbiamo già incontrato il produttore del disco di persona. Scriviamo i testi nella nostra lingua per connettere chi ci ascolta al nostro universo interiore, fatto di insicurezze, di angoscia, di gioia, di amore e di fatica. Al grafico della madonna ci penseremo quando avremo finito di suonare i pezzi come Dio comanda. Al fonico ci penseremo quando investiremo sul disco.
Noi siamo vivi, i Satoyama di Marco M. spaccano il culo. I The Circle non ci sono più.
Insomma, a distanza di cinque anni dalla mia partenza, malgrado tutto, gli Acid Food, o l'idea che c'era alla base, sono ancora vivi. Malgrado tutto.

   Per concludere, i The Circle rappresentano la delusione minore di quest'anno. La delusione sta nel fatto che avevo dei dubbi su quali fossero le intenzioni artistiche del gruppo, e purtroppo me li hanno confermati, sfornando un disco tutto sommato onesto nelle intenzioni del cantante, che è sempre stato un onestissimo autore di canzoni pop, ma un disco pur sempre sfacciatamente easy-listening.
Io comuque voglio fare pubblicamente ammenda a distanza di questi tre anni, e credo che questo sia l'unico modo per riscattarmi da quello che fu un errore senza possibilità di giustificazione.
Sbagliai di brutto a scrivere quella recensione, avrei dovuto stare dalla parte di Ale di Marco comunque, perché è quello che gli amici fanno, ed anche se i The Circle furono per gli Acid Food quello che Apple II è stato per Macintosh - un prodotto che vendeva, ma privo delle intuizioni e della visione dell'altro - erano comunque un gruppo di amici affiatato che si stava divertendo, affiatati ed impeccabili dal vivo, realizzando un piccolo sogno, mettendo insieme un tassello indimenticabile delle loro vite.



Caro Marco, mi dispiace che le cose siano andate così.
Eri un vero amico, e rimani un grandissimo musicista.


mercoledì 3 maggio 2017

Eugenio In Via Di Gioia - Giovani Illuminati

Spoiler alert (per i lettori): se non avete voglia di leggere qualcosa di lungo, non fatelo.
La seguente recensione non nasce per un pubblico di superficiali tweetwriters, illuminati da uno schermo elettronico per il 90% della loro esistenza.
Se volete andare a fondo, dovete cominciare ad accettare anche "la magia della noia".
-Esterl Bangs-






01 Giovani Illuminati
02 La Punta Dell'Iceberg
03 Chiodo Fisso
04 Sette Camicie
05 Silenzio
06 Obiezione
07 Scivola
08 Selezione Naturale (ft. Willi Peyote)
09 La Prima Pace Mondiale


La realtà è aumentata a tal punto da rendere esigua la fantasia/ ed ora che non ho più niente da inventare/ divento uno spettatore/ lontano dal gusto/lontano dal tatto/ lontano da tutto

Comincia così il nuovo album degli Eugenio In Via Di Gioia. Al posto delle stelle filanti, una marcia funebre. Non siamo neanche al terzo verso e la polifonia s'arresta. Divento uno spettatore. La trasformazione irreversibile è avvenuta. La voce di Eugenio Cesaro non è mai stata così seria, così ferma, così sapientemente priva di estro, così sapiente nel narrare la realtà di una generazione.
La mia.

Pensateci. Sono circa le 23:54 e non riesco a chiudere occhio. La mia serata mi è passata davanti e tutto quello che riesco a ricordare è il simbolo roteante del buffering. Le puntate che ho visto erano scialbe come un piatto di pasta preparato da un francese. Avrei dovuto scrivere progetto per un posto di lavoro a cui sto lavorando da giorni.

Mentra a-spetto questa barra del caricamento, incapace di alzarmi dal divano, prendere la chitarra, o semplicemente di farmi una camminata per il vicinato, mi sposto su facebook, su qualche sito di notizie, rimpinzandomi d'informazioni pressoché inutili. I successi, forse millantati, degli altri mi scorrono davanti uno dietro l'altro, ma non c'è modo che riesca a giore dei loro meriti. Sarei un santo se lo facessi. Siamo fatti d'invidia e di rancori al 50%, d'impulsi sessuali al 40%, e quello che resta sono le buone intenzioni, peraltro spesso ipocrite. Posso solo assistere, mentre il fegato s'affetta da solo, la barra continua a caricare, ed il mio tempo si consuma, si sbricola, muore.

La sensazione, quella dello spettatore, me la porto dietro da anni. Diciamo che ho sempre litigato con facebook. Da quando è arrivato, qualcosa si è rotto. Una piattaforma dove non esiste il pollice giù, ma che ti bombarda delle idiozie della gente. Gli schermi fanno male. Per le stronzate della gente mi bastava leggere le scritte nei cessi. Ed ho sempre apprezzato la carta (fanculo gli alberi). Da piccolo, pensate, adoravo masterizzare i dischi, stamparne la copertina, anche l'immagine da incollare sul cd, e gioivo delle giornate spese a realizzare i miei fac-simile. Poi sono arrivati gli mp3 e qualcosa si è rotto. Poi lo streaming, ed anche gli mp3 non valevano più un cazzo. Poi mi si è rotto l'hard disk. Una, due, tre volte. A volte mi sento quasi un relitto del passato. Ed ho solo 25 anni.

"Forse ero più felice quando avevo pochi soldi. Ricordo che mi capitava spesso di andare nei negozietti di roba usata e di trovarci quasi sempre dei piccoli tesori e...era davvero molto divertente, una specie di salto nel buio. Non sapevi che cosa cercare e se ti potevi permettere di prendere quello che alla fine ti piaceva di più. Beh, avere migliaia di dollari e poter comprare tutto il negozio non è poi emozionante".

Questa è una dichiarazione che ha rilasciato Kurt Cobain all'età di 27 anni. Pochi mesi dopo sappiamo tutti che fine ha fatto.


Effettivamente, sto ancora a domandarmi se tutto questo mondo ipertecnologizzato stia servendo a qualcosa. La gente è sempre più arrogante e disperatamente materialista. Io sono cambiato solo in peggio. Non è che la tecnologia in sé mi crei problemi. Ho sempre saputo usare i computer, giocavo su DOS a soli 6 anni. Usare un Ipad è più semplice che mescolare il caffé. Ma le cose che mi fanno perdere di più le staffe sono i miei aggeggi elettronici. Posso persino sopportare un coinquilino che mette per sbaglio una canzone di Eros Ramazzotti...ma i computer, il cellulare, un caricatore...Io ho costantemente bisogno di un cazzo di computer, altrimenti sono fottuto. Fottuto. Ed il peggio è che non posso tornare indietro. La realtà è arrivata a tal punto. Rispetto ai miei genitori, per avere la mia età, so veramente un fottio di cose. Non c'è limite alla mia conoscenza. Ho girato il mondo su internet. I miei studi mi hanno dischiuso le leggi della natura e della quantistica. Ma sono sempre stato in camera, a fissare uno schermo, cadendo nel baratro miopia e nella sordità a velocità esponenziale. Mio padre alla mia età risparmiava per portare la ragazza in moto in Corsica, lavorava alle poste e frequentava l'uni, mia madre conviveva e di lì a poco, lavorava, sfornava il primo figlio. Anche io sono un giovane illuminato. Ma sono povero, perché "povero non è chi possiede, ma chi costantemente necessita (J. Mujica)". Ed io, l'onnisciente figliolo, rimango qui, a farmi seghe mentali su facebook.

Gli Eugenio In Via Di Gioia hanno fatto di nuovo centro. Giovani Illuminati è l'inno di una generazione. Chapeu. Poco importa se alcune scelte musicali restano discutibili. Io, del resto, me ne sto in fissa con gruppi che non si incula nessuno come gli All Them Witches, i Goat, gli Shellac e non c'è verso che trovi un coinquilino che condivida i miei gusti musicali. Anche quelli che hanno i miei stessi gusti, spesso, sono dei fissati che dormono sotto ad un post di Ian Curtis che fuma una sigaretta, e li vedi sempre in prima fila ad un concerto di Motta, o degli Zen Circus. Oramai, tanto, il mondo gira solo per mode. Aggiungiamo un'amara banalità: il capitalismo ha trionfato in maniera irreversibile. Non tanto perché ha cambiato il nostro modo di vivere, ma quello di esistere.

Invidio, invidio a morte queste ragazzine che saltano fuori come funghi su youtube, a fare il verso a Jesse Greenberg, pur non avendo né le sue poppe, né il suo talento, che propongono le canzoni dei suddetti Motta e degli stessi EIVDG. Loro in questa merda ci sono cresciute. Non vivranno affatto le mie preoccupazioni. Quando è venuto fuori fb avevano sì e no 7 anni. Ma intanto Letizia Vitali, per dirne una, che pur non essendo affatto la peggiore del lotto, non ha nemmeno imparato a spostare un capotasto per prendere la tonalità giusta per la sua voce (e te lo dico da uno che se ne intende, nel senso che è sufficiente un anno di lezioni di canto: sul serio, se non hai ancora imparato a capire la tua estensione, cambia insegnante) , apre i concerto de Lo Stato Sociale, ed a me è già tanto se mi vengono a vedere i compagni di università.

(riassunto breve del perché l'Italiano medio preferisce andare a sentire Letizia Vitali a me, oltre il fatto che lei è belloccia, ed io ho la maglietta sporca di sugo)

Perché, diciamolo, questo è il Paese del "non importa se sei bravo, l'importante è che ci provi". Sì, certo, (COL CAZZO!!!) e poi da qui a "Non suonare questa, non la conosce nessuno, suona la Canzone del Sole!" ed alle stonature da gesso sulla lavagna di Lodo Guenzi il passo è brevissimo.
(non ti preoccupare, Letizia, anche se ti sforzi non canterai mai male quanto Lodo Guenzi)
Io, invece, rivendico profondamente la dignità del ruolo del critico cinico e frustrato. Riconoscere la dignità del musicista non è roba da poco. Fare musica è una cosa seria. Cercare consensi è un'altra. Ma la critica musicale è ormai sommersa dalle critiche funeste di una mentalità sempre più superficiale ed accondiscendente. Una realtà in cui l'attenzione per il dettaglio scivola via. Una realtà fatta di palliativi, di toppe e non di cuciture.



Tutti su per Terra: il ritorno degli Eugenio In Via Di Gioia sulla lunga distanza. Si scrive.
Ma intanto, gli EIVDG non erano affatto scomparsi. Ora vi spiego come funziona oggi. La realtà è arrivata a tal punto. Su ogni pagina esiste una sezione chiamata "strumenti di pubblicazione". Ti permete di programmare i post in automatico, in modo da pubblicarli a intervalli regolari e garantire costante visibilità ai tuoi contenuti. Un'altra sezione, infatti, ti permette di monitorarla: in sostanza, guardi quanto facebook "quota" i tuoi contenuti multimediali. Più i tuoi contenuti vengono visualizzati, più facebook ti concede spazio. La borsa del social. Per cui un album nel 2014, due o tre video tratti dall’album (uno dei quali su Vevo), la finta sostituzione del bassista con un personaggio di matrice pirandelliana, con tanto di video casting diviso su più episodi, un videogioco per cellulare in cui il protagonista-Eugenio raccoglie le prugne al Pam e tutta una serie di minivideo che li vedono coinvolti a suonare muri, biciclette, o a cantare sulla spiaggia, e...puf! Dal 2014 ci ritroviamo al 2017. Artisti dell'autopromozione e, soprattutto, del social marketing, gli Eugenii prima vincono una targa per la "migliore strategia di promozione web", girano l'Italia in lungo ed in largo, raddoppiano i loro fan, arrivano al secondo disco.





Sono proprio i Giovani Illuminati gli artefici della scalata degli EIVDG. Liceali, millennials. Gli stessi che hanno fatto la fortuna di un Fedez, o di un Rovazzi, ma che trovano nei versi e nella musica degli Eugenii qualcosa di confortevole. Un pop non scontato, diverso, ma non respingente come l'alternative stile Alberto Ferrari. Gente, per lo più, che non capisce un cazzo di musica, sempre aggiornata com'è sulle tendenze pop iperprodotte del momento, ma che, in qualche modo, trova un linguaggio brillante, diverso, non scontato come potrebbe essere quello di Marco Bianchi, un alternativa alle rime cuore e amore, spontaneo, sincero, alla portata di tutti.

Tutto questo per dire che la maggior parte del pubblico degli Eugenio, questo tipo di pubblico, non ha gli strumenti generazionali per capire il dramma intrinseco delineato in Tutti Su Per Terra.
Gli Eugenio In Via Di Gioia sono dei nostri. Dei Miei. Ed in quest'album ci sono tante, tante amare riflessioni che sono cari a quelli che, come me, non sono inclini ad arrendersi, o sono semplicemente ad un passo dallo sbando totale.

Essere inqualificabili dal punto di vista del genere (cantuautorato/pop/folk/indiequalchecosa?) è un merito che si possono permettere in pochi. Rimpiazzare le schitarrate alla Mumord And Sons, i ritornelli faciloni, le soluzioni armoniche scontate (A- F C G) con un album ben prodotto, una sostanziale revisione della forma canzone in funzione delle effettive potenzialità dei singoli membri e dei testi crudi, affascinanti, intriganti e, soprattutto, veri, nel giro di questi quasi 3 anni, non è un'impresa da tutti. La prova del secondo album, in genere, è quella del pubblico. Giocarsela sulla critica non è un impresa da pochi, ma gli Eugenii ce l'hanno fatta benissimo, ed hanno raccolto tutta la mia stima e la la mia ammirazione.
Mi dispiace per quelli di Ondarock che si sono persi l'occasione di cagare un album come questo. Spocchiosi snob.
Di Giovani Illuminati se n'è parlato in abbondanza. Di per sé il pezzo vale l'album.
La punta dell'iceberg
, pur non essendo proprio di mio gusto, è una riuscita riflessione di un cantastorie da vilaggio vacanze sulle isterie da ventunesimo secolo.
Chiodo fisso è il pezzo pop. Quello che piace tutti, tranne a me, ma che piace a Linus di radio Deejay, quindi capirai: la sua opinione conta molto di più della mia.
Sette camicie è il pezzo preferito di Emanuele Via, e non c'è dubbio, è una dimostrazione tecnica notevole. Un altro pezzo bellissimo che potrebbe essere nato dallo Jannacci più ispirato e che non fa che confermare le mie riflessioni precedenti: "se io se fossi pAzzo/butterei tutto via/ anche il cellulare/ se io se fossi pAzzo/ non mi farei più rintracciare." E quindi, ripetendo il concetto: ve lo immaginate un 2000 ad un concerto degli EIVDG, smartphone in mano, videodiretta su facebook, a cantare questo brano? Eppure queste cose succedono!
Silenzio è un pezzo che mi piace tantissimo, soprattutto perché il riff è fatto dalle linee vocali. Anche qui, riemergono le mie riflessioni:
Silenzio in classe/ scena muta/ all'interrogazione/ ma è un silenzio assenso/ quello di chi tace/ che ha imparato la lezione/ tutti dieci in condotta/ e sincera commozione / per questi giovanotti/ più bravi di noi coi mezzi di comunicazione.
Abbiamo risolto il problema dell'inquinamento acustico
.
Forse perché la gente non parla più. Non comunica. O forse perché è troppo impegnata a fissare il proprio cellulare. O forse, semplicemente, perché l'attenzione è così bassa che nessuno applaude, nessuno si esprime, nessuno ascolta.
Un problema, questo, che emerge anche in Scivola. Una bella ballatona pianistica anni 70, che descrive un "mondo impermeabile", in cui le notizie possono solo toccare la superficie degli animi, ed in cui "il sasso fa notizia solo se Frana è sceso a valle", in cui si sfrutta la scia della notorietà di un fenomeno, o di una persona, per mettersi al centro dell'attenzione, in cui la vanità è l'unico motore e fine delle nostre azioni ed aspirazioni.
Obiezione continua sulla strada inaugurata da Bennato di portare la favola di Collodi nel cantautorato italiano, e riprende certe soluzioni indie-pop già affiorate in Egli ed in Chiodo Fisso. Non mi sconfiffera troppo, ma c'è una parte che è degna di nota, in cui Eugenio s'impersonifica col "nemico" descritto finora, il Pinocchio, il superficiale, e ne invidia la capacità di stare al mondo:
Genitore di me stesso/ incapace di punire/ riluttante a sgridare per paura di soffrire/ sono il figlio di me stesso/ viziato/ da balocchi che in fondo io mi sono meritato/ sono orfano/ delle critiche di Kant/ e di onestà intellettuale/ burattino io son mosso dai fili/ e non dalla coscienza/ non dalla morale/ e allora tienitela tu/ se ti fa stare meglio/ questa differenza/ io non ho grilli per la testa/ e sto tanto bene senza.
Una capacità preclusa alle persone intelligenti, che vedono troppe sfumature nelle cose. Persone che hanno studiato, sono state rinchiuse troppo tempo sui libri e sono rilevate inadeguate per un altro aspetto: non sanno difendersi. Qui entra in gioco la Selezione Naturale. Forse un pezzo non troppo riuscito, un po' più frivolo rispetto al resto del lotto, che strizza nettamente l'occhio al pubblico liceale (più bulli/più bulli e meno ciccioni) con un Willy Peyote tutt'altro che eccezionale ma che fa di sicuro gran spettacolo. Interessante però il tentativo di tirare fuori un sound aggressivo. Anche solo il fatto che il pezzo esordisca con "Il Male esiste/è un dato di fatto" denota un cambiamento di rotta netto ed interessante. Emilia ormai sta ad anni luce di distanza.
Chiude il lotto l'ukulele de La Prima Pace Mondiale, un pezzo che non riesce a rimanermi in testa. Ma non è facile scrivere un pezzo in maggiore, ed un pezzo finale che inciti ad un futuro migliore era necessario. Ed il ritornello a la Tribalistas non me l'aspettavo proprio. Ma anche qui c'è una chicca, che è riprendere la dignità del ruolo dello "spettatore" di cui parlavo prima: fare gli eroi/ restando in disparte. Ossia, sottolineare la sapienza di chi, pur avendo qualcosa da dire, riesce a sottrarsi a questa logica del social del dover prepotentemente dire la propria, ad essere superiori tra le parti. Sono queste le persone che riusciranno a generare La Prima Pace Mondiale. Per cui, ancora, un po' di speranza c'è.

In conclusione, quindi, voglio dire che gli Eugenio In Via Di Gioia non solo mi hanno convinto, ma mi hanno sorpreso, con un album compatto, con una visione lucida ed organica, che mi regala qualcosa di nuovo ad ogni ascolto e che ha finalmente appianato tutti i miei dubbi sul futuro della band. Riuscire ad entrare nella logica di una produzione professionale, uscendone tutto sommato indenni, ed anzi sfruttando l'aspetto peculiare del proprio sound, è un'impresa per pochi eletti, ma gli EIVDG ci sono riusciti benissimo, mantenendo il loro sorrisone irresistibile e la loro voglia di divertirsi. Il resto, cari miei, è tutta strada in discesa. Vi ho conosciuto che avevate qualcosa da dire, adesso l'avete detta. Non resta che andare in giro e diffondete il vostro verbo.



P.S. Non do più voti numerici. Ho già scritto abbastanza.

mercoledì 14 dicembre 2016

X factor 10 - retrospettiva ad un passo dalla finale



Vi chiederete che cos'abbia spinto un blogger così appassionato ed acculturato come a ritornare su un argomento tanto frivolo dopo tutto questo tempo.
La risposta avreste potuto già dedurla dal titolo: ho passato tutto questo tempo a guardare X Factor.
Scherzi a parte, lo ammetto. Un po' per pigrizia, un po' perché mi sono appena laureato e sono finalmente (ep, finalmente...) disoccupato, ho deciso di non perdermi una puntata fin dalla dichiarazione di Manuel Agnelli.
L'aspetto curioso è stato scoprire che anche Francesco, il mio coinquilino, che è una delle persone più profonde che io conosca, non si perde mezza puntata del programma da anni.
 Francesco è una persona allo stesso tempo estremamente semplice e profonda. Ha qualche anno in più di me e lavora come crowdfunder e come graphic designer per una scuola di bambini. Nel tempo libero cerca di imparare a suonare la chitarra ed io da un paio di mesi ho preso ormai a fargli da maestro.
Il suo interesse per la musica lo porta a considerare X Factor uno dei programmi musicali più interessanti della televisione italiana per un semplice motivo: non ce ne sono.
Da anni la televisione italiana ha smesso di fare promozione attiva della musica emergente. Ne sono passati di anni da quando la Dandini ospitava i Nirvana in TV o da quando la Paula Maugeri conduceva Segnali Di Fumo:




Il talent è l'unico format rimasto per fare promozione attiva della musica all'interno del network televisivo.

Per quanto se ne dica, sono convinto che la presenza di Manuel Agnelli (e non solo) all'interno del programma abbia causato un'importante punto di rottura con le edizioni precedenti ed un'importante svolta per la cultura musicale di massa del Belpaese.
Ma vediamo con ordine i motivi:

1) La scomparsa di Morgan

Morgan è da anni la brutta imitazione di sé stesso. Persona colta, elegante, rispettabilissima e degna di tutta la mia stima ma, allo stesso tempo, di una aridità creativa imbarazzante. La differenza sostanziale tra lui e Manuel e che, mentre il primo non sforna un disco decente da anni, oltre ad aver praticamente perso le capacità sia come musicista che come cantante, il secondo continua a fare musica da quasi 30 anni, tra cambi di formazione, punti bassi e rinascite, come il nuovo, superbo album degli Afterhours. Sentire per credere:




Ecco. Imbarazzante. Questa, invece, è la resa dal vivo di Manuel all'edizione X Factor di quest'anno, ed un estratto dall'ultimo disco:




2) Manuel ha portato una trasformazione culturale del programma

Manuel è un musicista in senso proprio, ha saputo sfruttare una voce difficile e tirarne fuori la timbrica particolare, hadato vita ad un progetto musicale imprevedibile e di difficile catalogazione, ha fatto musica "alternativa" ed è riuscito allo stesso tempo ad arrivare alle orecchie di un'intera nazione. Molti detrattori lo hanno accusato - e lo accusano di aver assassinato l'immaginario indie, "alternativo" che finora rappresentava per il solo fatto di essersi esposto ad una massiccia esposizione mediatica.
E perché, invece, a Bollani non hanno detto nulla?


Io, invece, credo che Manuel Agnelli abbia fatto una delle mosse più coraggiose e più sagge che un musicista nella sua posizione avrebbe saputo fare. Assumere la dignità di un giudice agli occhi di un'intera nazione, con la competenza acquisita da trent'anni di duro lavoro all'interno della musica indipendente, non è mica un'occasione da poco.  Solo lavorando così all'interno di una struttura apparentemente precostituita e stabile era possibile riuscire a portare quel suo (e mio) mondo culturale, ad imporre le sue decisioni nei casting, rendendo pan per focaccia sia chi pensava che bastasse scegliere un brano orecchiabile per impressionare il pubblico



e si permetteva di giustificare la propria ignoranza, con l'arroganza di chi crede che solo il piattino già scaldato, il cibo già conosciuto, il nome già noto, potrà attirare l'attenzione dell'ascoltatore medio.



3) I giudici che rappresentavano il "popolino" l'italietta, sono rimasti con un pezzo di pane

In questo modo, i due giudici più impreparati, Alvaro Soler ed Arisa, sono rimasti ridicolizzati in più di un'occasione dalle loro scelte sbagliate o dai loro commenti imbarazzanti.
Al contrario, i concorrenti di Manuel hanno portato una bella, genuina ventata di freschezza, cantando dei pezzi nati dalla loro impostazione vocale naturale, in un'ottica di crescita culturale e personale che vuol'essere finalizzata all'aver i piedi per terra, a conoscersi, a sfruttare il proprio talent-o per dare il meglio di sé, nella consapevolezza.


A seguito riporto l'elenco delle canzoni che Manuel ha fatto finora cantare ai suoi pupilli:
Eva:


Aimee Man - Wise Up
Alabama Shake - Don't Wanna Fight No More
Iggy Pop - Lust For Life mashupped with Amy Winehouse - Valerie
Lucio Dalla - Caruso
The Beatles - Across The Universe
Hooverphonic - Mad About You
Gino Paoli - Senza Fine

Pezzo inedito: Voglio Andare Fino In Fondo (G. Sangiorgi)



Andrea:

Radiohead - Fake Plastic Trees
Afterhours - Ballata Per La Mia Piccola Iena
Micheal Jackson - Black Or White (acoustic version)
Nine Inch Nails - Hurt
Mick Ronson - Uptown funk (scat version)
Oasis - Wonderwall
The Smiths - Please, Please, Please, Let Me Get What I Want

Pezzo Inedito:  Il Mare Dentro (Diodato)



Silva Fortes:

Damien Rice - The Blower's Daughter
Jack White - Another Way To Die
Seu Jorge - Life On Mars (David Bowie cover)

Insomma, c'è materiale sufficiente da fare una playlist di tutto rispetto.
In confronto, Alvaro ha perso i primi concorrenti proprio a causa della sua mancanza di fantasia (sarebbe bastato far cantare gli Editors o i New Order ai Les Enfants...), mentre Arisa, in preda ad una crisi di orgoglio/desiderio di maternità, ha adottato dei giovanotti senza carisma pur essendosi ritrovata davanti dei veri e propri fuoriclasse: Giovanni Diana, Lorenzo Arciero ed Enrico Matheis.





4) I Daiana Lou hanno portato l'immaginario del fricchettone sui grandi schermi

Pur essendo probabilmente stati i giovani più talentuosi di tutte le edizioni viste finora, i Daiana Lou sono, nel loro idealismo, stati ingenuamente superficiali. Hanno fatto i conti senza l'oste. La loro uscita moralista nei confronti del programma ha lasciato una polemica abbastanza sterile dietro di sé, che dubito gioverà alla loro carriera. Questo è un peccato, perché avrebbero potuto vincere, diventare famosi, vendere un po' di dischi e fare opere di beneficienza. Attirare l'attenzione come Manuel, acquisire credibilità, guadagnarsi un pubblico e, a quel punto, predicare, portare un messaggio, portare la propria visione al pubblico di massa. Sarebbe sufficiente che più persone come loro cercasse un po' di sovraesposizione mediatica, e questo Paese potrebbe cambiare più in fretta, perché la visibilità, ormai, sembra che sia proprio tutto. Peggio per loro. La qualità che hanno portato in televisione era una cosa che non si vedeva da anni. Ed invece hanno fatto la figura dei cannati e basta...peccato...non ci sono artisti e basta, c'è solo gente che ha il talento e sa vendersi e gente che, invece, ha il talento e basta.


5) Fedez è sopravvissuto solo dimostrando di non essere il solito rapper gangsta

Fedez non è un deficiente. Sarebbe più corretto dire, a guardarlo, che sembra di più una lucertola. Un lucertolone, un dinosauraccio, un varano. Penalizzato - e frustrato- in partenza dal non essere più il belloccio del programma, ha saputo riciclarsi come producer. Perché diciamocelo, come rapper non vale una sega, sebbene qualche suo testo si salvi.


Come producer, talent scout, icon manager ed ascoltatore, invece, è una vera volpe, tant'è che il 99% della sua carriera si basa su scelte basate su pure logiche di mercato: overproducing, mastering a New York, collaborazioni con DJ set internazionali, autotune, pubblicità di vestiti. Quell'1%, quella specie di cloaca che resta, è la musica, e generalmente è un impastone melodico-similrappato che aspetta di esplodere sul ritornellone La- Fa Do Sol (per intenderci, The Passenger, Passenger, i The Circle, Madonna, Lady Gaga, Axis Of Awesome ecc ecc...).
Quanto si può dire di lui lo si può applicare alle sue concorrenti: tutte belle, tutte pulite, tutte vendibili. Per questo motivo, Fedez non va giù e vincerà probabilmente il programma, vendendo al suo pubblico delle mosse assolutamente paraculo (scelta del testo in inglese, pezzo iperprodotto, generi che vanno alla moda negli USA e che non sono ancora troppo virali in Italia - lo saranno tra quanto...2 mesi?) come scelte coraggiose per ingraziarselo. Che vinca Gaia o Roshelle è ormai praticamente scontato.
Eva, coi suoi tatuaggi ed il suo look da borghese che frequenta i centri sociali, rappresenta quel genere di ragazze "alternative" che piacciono tanto a me e che in genere, in una trasmissione di questo tipo, non avrebbero avuto mezza possibilità, Andrea era il musicista belloccio e capace e, come si sapeva fin dall'inizio, è durato sin troppo. Silva Fortes avrà pure avuto una bella timbrica, ma non sapeva cantare. Gaia, invece, ha delle gran belle tette; Roshelle ha persino il culo da pornoattrice brasiliana. Poi, cercando di non essere troppo di parte, è giusto ricordare che la prima canta da spavento, mentre la seconda pur essendo molto bene impostata vocalmente, rimane quasi sempre al limite delle sue possibilità vocali e compensa vendendosi molto bene, tra pezzi di orecchiabilità immediata, uno spacco di cosce ed una scollatura. Anche fuori al palco.


La vittoria di Fedez dimostrerà quello che hanno già dimostrato tutti e cioè che, se non altro, nella giungla che è il mondo, solo il più abile a giocare le sue carte sa vincere.
Al resto ci penserà sempre questo sistema eccessivamente democratico, alla mercé di un pubblico (o di un elettorato) sempre più incapace di fare la scelta giusta per il proprio Paese.

6) Lo StraFactor è il primo programma a la Dandini da anni a questa parte

Nel valutare l'edizione di quest'anno non bisogna dimenticare lo Strafactor. La nascita del programma satirico postpuntata ha riportato la cultura musicale emergente, il vero ruolo del talent scout sul grande schermo. A parte il fatto che Elio e Mara hanno dimostrato di non aver minimamente perso il loro spessore dopo la partecipazione al talenti, non ho potuto fare a meno di notare che, nelle ultime puntate, mi sono reso conto che il livello di alcuni partecipanti è forse superiore a quello dei veri concorrenti. Come sempre accade in questi casi, è la trasmissione migliore quella con meno finanziamenti. Ma, intanto, qualcosa si è smosso.

Manuel Agnelli va in televisione
uno dei suoi partecipanti - il suo alter ego giovanile, Andrea Biagioni, più bello, col look da chitarrista da strada - sfiora la finale con un pezzo inedito che gli italiani non dimenticheranno facilmente
l'altra fricchettona, Eva, tatuatrice professionista, approda alla finale, mentre fighe e ventenni patinati vengono rimandati a casa
la giudice incaricata di rappresentare l'italia di Sanremo, e della canzonetta, Arisa, raccoglie regolarmente fischi
viene creato un programma musical-satirico dove degli ex-partecipanti accettano di farsi prendere per il culo da una giuria allargata, professionale e faceta allo stesso tempo

Se vi sembra roba da poco..

Ad ogni modo,  Io giovedì mi sono organizzato con Francesco per guardarmi la finale.
Voi fate quello che volete, andate a teatro, a leggere libri, o a parlare della rivoluzione che non farete mai. Io mi guardo la mia televisione, il mio Paese che cambia e mangio popcorn.





mercoledì 25 maggio 2016

John Frusciante should have been R.E.M.'s guitarist

Although recognized as one of the most eclectic guitar players and songwriters of the 2000's, it seems that still nobody has pointed out how John Frusciante's poppy style era should have been influenced by the band from Athens.
I came up to this idea listening to Country Feedback, one of the song from the R.E.M. most famous album, 



Document, which went out in 1991, the same year of Blood Sugar Sex Magic.



The main chords of the totally match with the one from the outro - and the solo - of one of BSSM ballads, I Could Have Lied, which could be indicated as one of the first "Frusciante" song in Red Hot Chili Peppers
As a Frusciante fan, I don't know what to think about. Either the guitar playing  from the R.E.M. song totally sound like there was Frusciante in the studio (even how they sound all these tremolo-cruchy vibrating riffs that fills through the voice's singing), either the RHCP song totally sounds like a R.E.M. ballad. I can also say, the R.E.M. song could actually fill perfectly in one of Frusciante's recordings between 2004 and 2005.
So, who was the one that stole the idea from the other?
Maybe John Frusciante is not that teacher at all. I don't know. I repeat - I'm a big Frusciante fan. But I have to consider it was just 21 at the time. Maybe he loves R.E.M so much that all his career during the 2000's was just an attempt to make a couple of pop songs that could sound just as good as one from Out Of Time album. Not an easy task, though.